Cosa vi siete persi alle svendite del design italiano?

Di sicuro, una nuova modalità di concepire le svendite, sempre più curatoriali nell’allestimento. Ma anche icone desideratissime di Mari, Magistretti, Castiglioni e tanti altri, a prezzi scontati.

C’erano una volta le svendite. Grandi nomi del design italiano dischiudevano il loro sancta sanctorum per il tempo di un battito d’ali di farfalla, ad un raccolto gruppetto di entusiasti ed estimatori, e questi tornavano a casa stringendo nelle mani qualche iconico oggetto o introvabile chicca, comprata a prezzi irripetibili.

Non è che adesso le svendite non ci siano più. È piuttosto che la dimensione contemporanea del mercato e della comunicazione ha fatto evolvere molte di loro in qualcosa di differente. Ce lo confermano le ondate di creator e influencer che hanno invaso internet (e soprattutto i social) di consigli e di “imperdibili” lungo il mese di ottobre.

La novità, però, sta nella dimensione curatoriale da showroom che i brand più grandi hanno scelto per le loro svendite, mentre altri ancora restavano fedeli alla modalità magazzino, in cui dover scavare per disseppellire pezzi fuori catalogo. 

Non è che adesso le svendite non ci siano più. È piuttosto che la dimensione contemporanea del mercato e della comunicazione ha fatto evolvere molte di loro in qualcosa di differente.

Altissimo il livello di curatela per Artemide: nella sede di Pregnana Milanese si trovavano scontate le icone più celebri come la Tolomeo di Michele De Lucchi, Compasso d’Oro nel 1989 e ormai diventata una famiglia di oggetti, di diverse forme e usi, tutti presenti. Ma anche icone di semplicità come la Falkland di Bruno Munari, nata tendendo un tubolare di tessuto, o di radicalità come Boalum, il “serpente traslucido” – come lo chiamava Domus – in pvc firmato Livio Castiglioni e Gianfranco Frattini. 

Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Mezzadro, 1957. Courtesy Zanotta

Con Artemide si presentava anche Danese, e Danese significa Enzo Mari, con i suoi frutti e i suoi animali che ormai definiscono la memoria visuale del design italiano, ma anche quel solido enigmatico e color-block che potrebbe, alla bisogna, portare ombrelli (Dedalo di Emma Gismondi).

Carlo Scarpa, Cornaro, 1973. Courtesy Cassina

Sconti dell’ordine del 20% non risparmiavano neanche le icone di Flos, come la lampada Arco di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, o le Snoopy sempre firmate Castiglioni che tanto affascinano le estetiche degli interior contemporanei col loro dialogo tra marmo astratto e metallo colorato.

Un altro Compasso d’Oro si trovava invece negli spazi di Cassina: una poltrona Soriana Di Afra e Tobia Scarpa, quasi a metà prezzo. Ma c’era anche lo specchio di Man Ray su cui il brand ha costruito una narrativa di grande successo, mentre da Zanotta l’assalto era alle poltrone Sacco, e anche alle sedute come il Mezzadro – il sedile da trattore più celebre della storia del design – e gli appendiabiti Sciangai, altro caposaldo radical firmato De Pas, D’Urbino e Lomazzi. 

Vico Magistretti, Atollo, 1977. Courtesy Oluce

Le svendite in Italia sono già quasi tutte concluse, e noi ripercorriamo le principali attraverso una decina di oggetti che potreste esservi persi (o presi!).

Ne rimane all’orizzonte solo una per il mese di novembre, quella di Oluce, tutt’altro che da trascurare, visto che si parla del brand di icone come la lampada Atollo di Vico Magistretti, o la Spider di Joe Colombo.

Oltretutto, non c’è proprio da preoccuparsi rispetto all’avere perso delle occasioni: le svendite sembrano in ottima salute e pronte a tornare. D’altro canto siamo in un periodo in cui il design lo si corre a comprare su Vinted, ma ormai la fascia di prezzi è praticamente la stessa.

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