Citroën 2CV, 75 anni d’eclettismo

Il matrimonio tra l’utilitaria della leggenda e la storia dell’automobilismo è alle nozze di platino: nata per la campagna francese, ha fatto innamorare il mondo intero.

Le prime idee sulla possibilità di costruire un’utilitaria per il mercato francese dai costi di gestione molto bassi solcavano la mente di André Citroën già nei primi anni Trenta, ma un eventuale progetto venne accantonato in favore di quello che avrebbe originato la più costosa Traction Avant. Alla morte di Citroën nel 1935, però, salì sul ponte di comando Pierre-Jules Boulanger. Fu lui a rispolverare l'idea di una vetturetta economica la cui diffusione avrebbe dovuto essere capillare, sia per contribuire alla motorizzazione di massa della nazione transalpina sia per permettere – con alti volumi di vendita – il risanamento della Losanga andata in crisi durante la Grande Depressione.

Boulanger incaricò quindi Maurice Brogly – direttore dell’ufficio tecnico Citroën: “Faccia studiare dai suoi servizi un’auto che possa trasportare due contadini in zoccoli e 50 chilogrammi di patate o un barilotto di vino, a una velocità massima di 60 km/h e con un consumo di 3 litri per 100 km. Le sospensioni dovranno permettere l’attraversamento di un campo arato traportando un paniere di uova senza romperle; la vettura dovrà essere adatta anche per la guida di una conduttrice principiante e offrire un confort indiscutibile”. Boulanger, inoltre, chiese di mantenere bassi i costi d’esercizio dell’utilitaria, in modo che anche i clienti più inesperti in fatto di automobili potessero facilmente manutenerla. Dulcis in fundo, doveva esserci spazio sufficiente per consentire al conducente di salire a bordo con in testa il proprio cappello. 

A un tradizionalista come Brogly, l’incarico era sembrato un’autentica assurdità, ma in brevissimo tempo s’allestì l’organico: la supervisione del progetto venne affidata ad André Lefèbvre – che poco tempo prima aveva realizzato la Traction Avant; sotto di lui, Maurice Sainturat per lo sviluppo del motore, Alphonse Forceau per la trasmissione e Jean Muratet al comparto stilistico. Il grande escluso fu Flaminio Bertoni, ritenuto troppo estroso per una quattro ruote dove l’aspetto esteriore non aveva di fatto alcuna rilevanza. Fu così avviato il progetto TPV – Très Petite Voiture.

Il primo prototipo marciante si ultimò nel 1937 ed era ben grezzo: mancavano i fari e un telone faceva da carrozzeria; a muoverlo, un motore da 500 cm³ estrapolato da una motocicletta Bmw. La soluzione, per via delle vibrazioni, si rivelò inaffidabile e fu perciò approntato un bicilindrico raffreddato ad acqua da 375 cm³, ospitato da una carrozzeria in lega di magnesio. Sfortunatamente, durante le prove, un corto circuito incendiò il carburante e con esso l’intera vettura. 

Nel frattempo, ci si accorse dei problemi che stavano sorgendo nella scelta di un adeguato sistema di sospensioni: alla fine si optò per la soluzione a ruote interconnesse, con un braccio oscillante per ruota. Alla fine del 1938 si era ancora lontani dall’aver risolto numerose criticità, come la scarsa accessibilità al motore, le sospensioni troppo cedevoli o la ridotta tenuta del parabrezza in plexiglas agli agenti atmosferici.

Con il tempo, le lacune furono colmate.  Qualche mese dopo, in primavera, arrivò il prototipo definitivo: montava un solo faro anteriore sul lato sinistro – la legislazione francese dell’epoca lo permetteva, la carrozzeria era in duralinox, una lega leggera in alluminio, il tetto era costituito da un telone teso.

Gli interni, ultra spartani, erano caratterizzati da due sedili ad amaca, volante, cambio a tre marce, freno a mano, voltmetro, unico strumento presente, e da due pulsanti – starter e accensione – che consentivano l’avviamento. 

Gli interni della 2CV del 1975

Durante la Seconda Guerra Mondiale il progetto si fermò per ovvie ragioni, ma fu proprio durante l’occupazione nazista che tornò a inserirsi la figura di Bertoni: questi, deluso per non essere stato coinvolto nel progetto Tpv, plasmò in autonomia la sagoma della vettura con della plastilina per presentarla a Boulanger. Lui non la prese bene, perché in effetti la vettura sagomata da Bertoni era più gradevole del prototipo: poi, riconoscendone l’effettivo valore stilistico, il patron decise di coinvolger il designer italiano anche per modernizzarne i tratti stilistici ormai decisamente superati.

Nel 1944 Parigi fu liberata dagli alleati e dopo qualche anno di gestazione, un nuovo propulsore – sempre bicilindrico da 375 cm³ – e delle sospensioni finalmente messe a punto, la 2CV era pronto al debutto.

La presentazione ufficiale avvenne nella capitale il 6 ottobre 1948: tre esemplari in grigio –inizialmente unico colore disponibile – svelati davanti all’allora Presidente francese Vincent Auriol. Le sue forme erano originali, rendendola unica nel panorama automotive; i fari erano due, sembravano due occhi presi in prestito da un cartoon e vantavano una singolare peculiarità. 

2CV Cocorico

Visto che la 2CV era dotata di sospensioni molto morbide – essendo pensata per funzionare anche in mancanza d’asfalto – era facile variare l’inclinazione dell’auto spostando il carico tra i sedili ed il bagagliaio, modificando così la portata del fascio luminoso: la 2CV disponeva di una manetta interna che poteva modificare la portata dei fari senza che il conducente dovesse muoversi dal posto di guida.

Venne criticata aspramente dalla stampa, che non riusciva a digerire le sue linee molto particolari, la sua spartanità giudicata eccessiva e il clima di segretezza mantenuto fino a quel momento per poi svelare una vettura che inizialmente non era questo granché.

Qualcuno la definì un “brutto anatroccolo”, non sapendo cogliere la genialità del progetto. La Stampa, qualche giorno dopo, scrisse di lei: “Non è bella, anzi è brutta. È grigia, del colore che avevano le automobili militari tedesche, è ricoperta quasi completamente di tela e quando è scoperta la carrozzeria pare uno scheletro di macchina incendiata”. Nonostante ciò, la Citroën 2CV resterà in produzione fino al 1990 e verrà prodotta in 5.118.889 unità. Considerando anche le vetture da essa derivate – Dyane, Ami, Méhari e le versioni militari Faf – si stima che il progetto Tpv abbia generato qualcosa come 10 milioni di veicoli.

2CV Charleston

Icona hippie – insieme al Bulli e al Maggiolini della Volkswagen – auto di James Bond in alcune scene della pellicola datata 1981 – ma anche di Angela, protagonista femminile nel film italiano cult ‘Il ragazzo di campagna’ con Renato Pozzetto – compagna di viaggio del cantautore italiano Claudio Baglioni, qualcuno l’ha usata per partecipare addirittura alla Paris-Dakar.

La Citroën 2CV oggi è un oggetto ricercato, sia per il suo valore storico sia per incredibili doti di manovrabilità che offre in qualsiasi situazione, un “brutto anatroccolo” che resterà per sempre un’utilitaria tanto unica quanto fuori dal comune.

Tutte le immagini courtesy Citroën

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