Il design della privacy: 13 progetti di consapevolezza e resistenza alla sorveglianza digitale

Nella società digitalizzata i nostri dati personali sono diventati la nuova merce di scambio: ecco come il design interviene per proteggere la vulnerabilità della privacy e sensibilizzare intorno a tematiche spesso sottovalutate o poco conosciute.

Telecamere posizionate ovunque nelle nostre città e tecnologie biometriche sempre più sofisticate proteggono la nostra sicurezza ma contemporaneamente possono ledere i nostri diritti di cittadini e registrano, spesso senza il nostro consenso, enormi quantità di dati personali dei quali non conosciamo la destinazione e l’impiego. L’irrinunciabile smartphone, l’assistente vocale, i wearable device e molti altri oggetti ‘smart’ che l’Internet of Things (IoT) ha introdotto nel nostro privato, ci semplificano la vita rendendo tutto interconnesso, ma allo stesso tempo tracciano movimenti e azioni della nostra vita online e offline.  

I dati che tutti questi device di uso o di contatto quotidiano estraggono da noi sono, nelle parole di Shoshana Zuboff, il “petrolio” di una nuova forma di capitalismo, che la studiosa definisce come “capitalismo della sorveglianza”, titolo anche del suo celebre libro in cui spiega come nuovi mezzi di produzione, le Intelligenze artificiali, elaborano questa materia prima per creare il prodotto che alimenta il nuovo mercato, in rapida evoluzione: le previsioni sui nostri comportamenti.

Un altro aspetto significativo è la componente discriminatoria dei dati, che nasce dall’illusione che essi siano oggettivi e scevri da quei pregiudizi che istintivamente riconduciamo all’umanità, e non alle macchine. Kate Crawford, esperta di Intelligenze artificiali e curatrice della mostra “Excavating AI: The Politics of Images in Machine Learning Training Sets”, spiega che i dati sono interventi politici. Non sono neutri e oggettivi come appaiono, ma organizzati in data-sets che inevitabilmente incarnano i pregiudizi ideologici di chi li costruisce. La loro gestione, quindi, può portare al proliferare di “discriminazioni automatizzate” in base a razza, genere, status sociale, situazione finanziaria, e anche a stile di vita, gusti e personalità. 

Tricking Biometrics, Alix Gallet, 2016
Tricking Biometrics, Alix Gallet, 2016

Di fronte a questo scenario, complesso e in continua evoluzione, il design non è rimasto fermo. Oltre alla progettazione di oggetti semplici come i “privacy shutter”, oscuratori per webcam  già spesso integrati nei laptop, nella sua dimensione critica il design ha proposto progetti provocatori che hanno innanzitutto la finalità di creare consapevolezza sulla minaccia che il tracciamento digitale costituisce per la privacy, ma che possono anche concretizzarsi in oggetti commerciabili e utilizzabili dall’utente per eludere il controllo dei device, permettendogli di proteggersi senza ritirarsi in un anacronistico eremo anti-digitale.

Diversi sono i metodi che i vari progetti adottano per salvaguardare la privacy individuale: alcuni per esempio isolano l’utente dai sistemi di tracciamento, altri confondono le varie tecnologie attraverso il sovraccarico di dati o la loro falsificazione.

La gallery qui proposta presenta una selezione di progetti che si concentrano principalmente su due temi: la difesa dal riconoscimento facciale e la protezione dalla sorveglianza degli oggetti smart, toccando quindi l’ambito sia pubblico che privato del cittadino di oggi. 

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