Dalle hypercar agli appartamenti: il design oltre il lusso di Horacio Pagani

Costruiva camper in Argentina, ora il brand che porta il suo nome disegna auto che costano ciascuna dai due milioni in su. La sua ultima impresa? Spazi abitativi iperlusso a Dubai. Il poliedrico industriale si racconta a Domus.

Quand’erano in vita i padri fondatori dei marchi delle supercar non erano persone semplici; e avevano avuto vite non semplici, sia messo agli atti a loro discolpa. Il carattere umbratile di Enzo Ferrari era il risultato di una vita di luci – le auto e i trionfi sportivi – e di buio – la morte del figlio Dino. La verve campagnola prossima alla spacconeria di Ferruccio Lamborghini era quella di un figlio di agricoltori di Cento, provincia di Ferrara, che abbandonò gli studi neanche alle medie: alle elementari. Restando nei dintorni di Modena, a San Cesario sul Panaro – quasi metà strada tra Maranello e Sant’Agata Bolognese – oggi c’è Horacio Pagani: tutt’altra cosa.

Pagani, figlio di un fornaio di origini lombarde, è nato a Casilda – provincia di Santa Fe, Argentina – il 10 novembre 1955, vive in Italia dal 1983 e quarant’anni dopo è riuscito ad affermare un brand automotive ambito dai più ricchi appassionati del mondo, e, ora, perfino a progettare uno spazio abitativo a Dubai nella DaVinci Tower, dove oltre 80 appartamenti saranno decorati con pezzi della linea firmata Pagani. Oggi Horacio Pagani appare sereno, quanto può essere sereno chi a 67 anni è riuscito a creare partendo dal niente le hypercar più desiderate del mondo e a battezzarle col suo cognome, con una Pagani Automobili che produce sogni che vivono in un altro mercato, ancora più prestigioso rispetto a Ferrari, Porsche o Lamborghini, sono oltre.

Oltre proprio come gli appartamenti della DaVinci Tower di Dubai, un progetto da 880 milioni di dirham, circa 200 milioni di dollari, finanziato dal gruppo DarGlobal: residenze “above the luxury” promette il sito internet, e non c’è motivo di smentirlo: vista sul Dubai Water Canal – il canale artificiale che scorre al centro della città – e sul Burj Khalifa, aree comuni con palestra, piscina, sky garden, spazi la cui cura per il dettaglio travalica l’accuratezza per avvicinarsi all’ossessione e accontentare una clientela disposta a spendere per il più piccolo dei “tagli” di appartamento disponibili 1,5 milioni di dollari.

Horacio Pagani. Foto Gabriele Ferraresi

Secondo Pagani, il ruolo dell’architetto in un contesto del genere è “migliorare la qualità della vita, con le cose che può fare e creare. Ogni volta che cominciamo un lavoro di questo tipo non dobbiamo mai farlo come se fossimo noi ad andare a viverci. È sempre una cosa che mi scoccia molto, quando incontro un architetto e mi dice “Io lo farei così, io lo farei cosà”: lo faresti così perché a te piace così, ma lo devi fare come vuole il tuo cliente, che magari ha un gusto o esigenze completamente diverse”.

Le esigenze dei clienti sono sì diverse, ma i punti in comune tra la progettazione di un’auto e di uno spazio abitativo sono molti: “Soprattutto chiedersi – che sia un’automobile, l’interno di un jet privato o di una casa – come vivrà il cliente questo ambiente, è un tratto comune di questi progetti. Progettare una macchina però forse è ancora più complesso: noi omologhiamo in tutto il mondo, come se fossimo dei grandi costruttori, ma siamo piccoli, e omologare come fanno Mercedes, BMW o Toyota è uno sforzo enorme”.

Horacio Pagani, oggi industriale leonardesco e poliedrico, venerato dall’1% dell’1% dei più ricchi del pianeta, tutto questo l’ha imparato da ragazzo, in Argentina, quando progettava luoghi da vivere più umili rispetto agli appartamenti della DaVinci Tower: camper e roulotte. “Ne ho fatte una decina, perché in Argentina al tempo non c’erano fabbriche dove andavi e sceglievi il camper o la roulotte. Li facevo dalla A alla Z: mi portavano un pickup e magari c’era anche da allungarlo. È stata un’esperienza che mi sono portato dietro per tutta la vita, soprattutto per il rapporto con le esigenze del cliente, su come organizzare gli spazi quando i metri quadrati a disposizione sono pochissimi, e magari bisogna far convivere due adulti, tre bambini piccoli…”.


Passando al car design di oggi e domani, Pagani è sicuro che “la politica sta imponendo al mondo, forzatamente, un passaggio alla macchina elettrica, ma il mondo non è preparato per assorbire l’auto elettrica”. Facendo questo stiamo dando un grosso aiuto alla Cina, dice lui, “il più grande produttore di batterie” ma dal punto di vista del car design, aggiunge, “credo che in una città con alta densità di abitanti sia importante avere piccole macchine elettriche per muoversi: esistono anche già, quella è la direzione in cui andare, in cui insistere”.

“Non ti servono tanti cavalli in città, non ti serve una Tesla”, dice Pagani. “Il car designer per me dovrebbe andare in questa direzione e pensare per le città automobili non individuali ma collettive, che le usi e poi le lasci lì. Per me questa sarà una strada dove si lavorerà ancora. Si va poi anche verso la guida autonoma, per cui l’auto sarà anche un ambiente di lavoro, ma lì è tutto un altro discorso… e poi ci sarà un’altra macchina ancora, la macchina che si usa per i viaggi con la famiglia, e lì, ecco, per me sarà sempre più come disegnare una casa, con un design dell’automotive che andrà alla ricerca della personalizzazione tagliata su misura dell’individuo, e a costruire un oggetto che vivremo di più”.

La personalizzazione e il travaso tecnologico tra automotive e interior poi sono uno altri punti interessanti, e conseguenti, a proposito di car design e interior design, da affrontare insieme a Pagani, che da ormai venticinque anni – e più ancora, fin dai tempi in Lamborghini e della Modena Design – realizza auto su misura per una clientela fuori dal comune, portando nell’automotive sia l’artigianalità inestimabile del lusso italiano, sia la tecnologia aeronautica e del motorsport.

“Facciamo macchine che vanno dai due ai quindici milioni di euro – riprende Pagani – e l’impegno in termini di ricerca che c’è dietro è enorme. Essendo una ‘ditta’ di design e tecnologia che si è messa a fare automobili, sui materiali nel corso degli anni abbiamo sviluppato una certa esperienza. Per esempio: quando fai un’automobile utilizzi pelle automotive, che deve resistere a tutta una serie di cicli specifici. È una pelle molto trattata: perché magari l’auto la lasci fuori tutte le sere, subisce forti sbalzi di temperatura, è esposta alla luce del sole per ore e ore… quindi al tatto non è come la pelle di un divano, che sta sempre bene o male alla stessa temperatura e subisce trattamenti più leggeri. Noi però volevamo una pelle automotive – e che fosse resistente come una pelle automotive – ma che avesse le stesse caratteristiche di una pelle da divano. Che al tatto fosse come la pelle di una borsetta, però capace di resistere a ogni tipo di sollecitazione che richiede un materiale esposto a quel che ti raccontavo. Già vent’anni fa grazie a un nostro fornitore siamo riusciti a creare questa pelle, e oggi questa tecnologia la mettiamo a disposizione i divani della DaVinci Tower, per esempio”.

Pagani Automobili, Horacio Pagani
Pagani Automobili, Horacio Pagani

Una ricerca tecnologica sui materiali che porta su oggetti statici come letti e divani caratteristiche nate per le prestazioni delle hypercar più eccezionali e costose al mondo: “Facciamo letti e divani con tecnologie che sono molto simili a quelle di un’auto: la parte strutturale la facciamo esattamente con lo stesso criterio di un’auto. E così come quando abbiamo presentato la Zonda nel 1999 costava tre volte un’auto simile dei tempi – ma aveva dei contenuti tecnologici che man mano la gente ha apprezzato – il nostro divano o il nostro letto non saranno economici. Tutta la viteria è in titanio, per esempio”.

Nessuno però, nella DaVinci Tower, sarà costretto a un arredamento 100% Pagani-inspired. Anzi, nemmeno Pagani stesso – che nella torre si è tenuto l’ultimo piano – arrederà solo con suoi pezzi lo spazio: “Lo stiamo arredando ora e non sarà tutto firmato Pagani, metteremo anche altra roba. Io voglio una cucina della Valcucine, perché è piena di tecnologia come le nostre auto. Certo, potrei farla io la cucina: ma le cose iconiche degli altri vanno benissimo”.

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