Le 70mila pietre d’inciampo posate da Gunter Demnig

Mentre crescono le affermazioni revisioniste relative a statue e memoriali, Anja Löesel commenta la quieta potenza degli Stolpersteine, le pietre d’inciampo di Gunter Demnig in memoria dei perseguitati dal regime nazista. Da Domus 1049.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1049, settembre 2020

È capitato a tutti di vederle, quelle piccole placche quadrate di ottone incastonate nel selciato stradale o sul marciapiede: le pietre d’inciampo, Stolpersteine in tedesco. Sono targhe commemorative che riportano il nome e le date biografiche di coloro che furono deportati e uccisi nei campi di concentramento e di sterminio nazisti perché erano ebrei, comunisti, omosessuali, rom, oppositori del regime totalitario o malati e disabili mentali di cui ci si voleva sbarazzare.

L’idea è dell’artista tedesco Gunter Demnig, classe 1947. Il progetto è nato un po’ per caso con la posa delle prime pietre nel 1996 a Berlino in occasione della mostra “Künstler forschen nach Auschwitz” (“Gli artisti esplorano Auschwitz”). Da allora, è il suo progetto di vita: ha posato oltre 70.000 pietre in 24 Paesi, sempre davanti all’ultima abitazione delle vittime dello sterminio nazista. Il suo messaggio: l’orrore non iniziò ad Auschwitz o Buchenwald, ma fra di noi: tra i vicini che fecero finta di non vedere, tra gli amici che non trovarono il coraggio d’intervenire.

Il mosaico di pietre d’inciampo è diventato il più grande monumento diffuso del mondo. Un’idea che ha preso piede senza finanziamenti pubblici o progetti d’istituzioni, architetti o designer. Da una piccola iniziativa privata è nato un vasto movimento d’impegno civile che continua a crescere. In Germania ci sono quartieri (come l’Hansaviertel a Berlino o Eppendorf ad Amburgo) dove le pietre sono presenti quasi in ogni strada. Nel migliore dei casi, riescono ad avvicinare i cittadini fra loro e a promuovere il dibattito. A volte, però, danno fastidio, sono osteggiate, imbrattate, divelte. Non è certamente il loro design ad attirare l’attenzione. Sono sobrie e discrete: cubi di calcestruzzo, 9,6 cm di lato, su cui è fissata una targa di ottone. Non è possibile inciamparvi davvero, poiché sono a livello della pavimentazione. Chi non le vuole vedere ci passa semplicemente sopra. Non sono invadenti. Forse è proprio questo il segreto del loro grande successo: questo carattere discreto e modesto. Niente espedienti per richiamare l’attenzione, niente gesti eclatanti. Le pietre d’inciampo giacciono semplicemente lì. Sobrie e belle.

Gunter Demnig durante la posa di una pietra d’inciampo, Berlino Hansaviertel, 2013. Foto John MacDougall/AFP via Getty Image

Sono una forma d’arte? Sono design? Piccoli monumenti? Sculture? Gunter Demnig ha una risposta molto semplice: ogni pietra d’inciampo è tutte queste cose insieme e molto di più. In altre parole, è una “scultura sociale”. Ciascuna targa di ottone incisa è dedicata alla memoria di un singolo individuo e allo stesso tempo simboleggia l’immane scempio dei crimini perpetrati dai nazisti. Rappresenta però anche tutto ciò che la pietra d’inciampo stessa suscita nei sopravvissuti durante la cerimonia di posa, nei mesi precedenti e negli anni successivi.

Una pietra d’inciampo non si può semplicemente commissionare, ha bisogno di uno ‘sponsor’. Per desiderio di Demnig, è compito degli sponsor approfondire la vita della persona a cui viene intitolata la targa. Fare ricerche, esaminare vecchi indirizzari e registri anagrafici, visitare gli archivi, decifrare lettere e documenti ingialliti. Sono sempre gli sponsor a reperire le informazioni sulle date e sui luoghi rilevanti per rendere possibile l’iscrizione sulle pietre. Come dice Demnig: “Una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome”. Gli sponsor possono essere associazioni, comitati condominiali, scolaresche o singoli cittadini. Spesso, oltre ai documenti, gli sponsor impegnati nelle ricerche rintracciano anche i discendenti delle vittime, i loro nipoti e pronipoti. Improvvisamente, si ritrovano immersi in storie familiari che parlano di terrore, di fuga, di morte. Nascono amicizie, ci si scambiano lettere ed e-mail. A volte, qualcuno si reca per la prima volta ad Auschwitz o Terezín per visitare i campi di concentramento e vedere con i propri occhi dove le persone a cui è intitolata una pietra d’inciampo trascorsero gli ultimi mesi della loro vita.

Dopo le lunghe ricerche, quando le pietre vengono finalmente posate, ci s’incontra sul marciapiede con i vicini. Si tiene un discorso, si cantano canzoni. I passanti si fermano, partecipano alla cerimonia, oppure tirano dritto, volgendo lo sguardo altrove. Non c’è lezione di storia che valga l’esperienza vissuta da uno sponsor: il cordoglio e la rabbia per le persecuzioni e le uccisioni; la gioia e la commozione per la partecipazione alla cerimonia di posa; l’orrore per l’odio ancora presente nella nostra società.

ÈproprioquestoilsignificatocheDemnigattribuisce alla “scultura sociale”, concetto che ha ripreso da Joseph Beuys. L’opera d’arte non è la pietra d’inciampo in sé, bensì tutto ciò che le accade attorno.

In Germania sono stati fatti molti tentativi per ricordare gli orrori della Shoah con monumenti e memoriali. L’esempio più celebre è il Memoriale dell’Olocausto di Peter Eisenman che il Governo tedesco ha fatto erigere a Berlino per un costo di 27,6 milioni di euro. Con le sue 2.711 stele di calcestruzzo su una superficie di 19.000 m2 è davvero un colosso, un’enorme calamita per i turisti.

Le pietre d’inciampo sono il modello antitetico al memoriale monumentale. Costano 120 euro ciascuna e, finanziate da privati, non danno nell’occhio

Le pietre d’inciampo sono il modello antitetico al memoriale monumentale. Costano 120 euro ciascuna, sono finanziate solo da privati e non danno nell’occhio. Si acquattano discretamente nel marciapiede. Chi non vuole fare lavoro di memoria tira semplicemente dritto. Ma proprio perché sono così piccole e per niente appariscenti, molti passanti si soffermano e iniziano a leggere le iscrizioni che recitano, per esempio: “Qui abitava Elisabeth Pick, nata Bäumel nel 1889, deportata 2.3.1943, assassinata ad Auschwitz”. Un testo secco, che racchiude così tanto. Chi era questa donna? Che cos’avrà dovuto patire ad Auschwitz e lungo il tragitto per arrivare? Aveva amici? Perché nessuno la poté aiutare? Istantaneamente, ci si ritrova catapultati dentro l’indescrivibile orrore del periodo nazista.

Oppure ci si può imbattere nelle 11 pietre d’inciampo dedicate al dottor Nachman Schlesinger, alla moglie Käthe e ai loro nove figli. Un’intera famiglia, 11 persone, tutti assassinati ad Auschwitz nello stesso giorno. Il figlio più piccolo aveva solo otto anni. Un’atrocità inconcepibile. La forma della lapide commemorativa qui diventa quasi invisibile. Passa in secondo piano di fronte al suo contenuto così forte, così terribile e inafferrabile.

Il progetto si è affermato perché è semplicemente un gran bel progetto. È una valanga inarrestabile. Le richieste di diventare sponsor sono sempre più numerose. Ci sono liste d’attesa lunghe anche due anni.

Berlino ha oltre 8.600 pietre d’inciampo, Amburgo circa 5.700. Solo poche città tedesche non partecipano all’iniziativa, tra queste Monaco di Baviera. L’opposizione viene da Charlotte Knobloch, presidente della comunità ebraica di Monaco, contraria al fatto che “si calpesti la memoria delle vittime”. Dopo anni di discussioni, la città di Monaco ha deciso di erigere al loro posto delle stele di acciaio inossidabile alte 1,86 m. Sono disagevoli e ingombranti, una decisione poco saggia. Con la popolarità delle pietre d’inciampo crescono, purtroppo, anche lo scetticismo e l’ostilità nei loro confronti. Potranno continuare ad avere successo? Oppure sono ormai troppe e nella loro individualità non vengono più considerate? Ha senso che Gunter Demnig oggi, oltre a posare pietre per le vittime, ne posi anche per i sopravvissuti all’Olocausto? E cosa succederà quando Demnig non potrà più viaggiare? A oggi, infatti, cerca di posare personalmente ogni singola pietra. Nel 2018 il deputato del Land Baden-Württemberg Wolfgang Gedeon, del partito nazionalista Alternative für Deutschland (AfD), ha chiesto che si metta fine alle pietre d’inciampo. Ha parlato di “dittatura della memoria” e di ‘inflazione’ del ricordo, definendo gli sponsor “petulanti moralisti”.

L’artista Gunter Demnig durante la posa di una pietra d’inciampo, Torino, 2015. Foto Stefano Guidi/Corbis via Getty Images

Le critiche, però, arrivano anche dall’altra parte. Alcune vittime dell’Olocausto e le loro famiglie temono che gli sponsor tedeschi vogliano lavarsi ogni colpa posando una pietra d’inciampo davanti alla loro casa: sponsorizzare una pietra d’inciampo per potersi sentire una persona migliore, moralmente irreprensibile. Questo spiegherebbe anche le numerose iniziative di ripulitura promosse soprattutto in ricorrenze come la notte tra l’8 e il 9 novembre, la “notte dei cristalli”: inginocchiarsi sui marciapiedi per lucidare le targhe annerite finché non tornano a brillare, posando a lato delle candele, oppure dei fiori. Sì, in questo senso le pietre d’inciampo hanno il potere di alleggerire la coscienza riducendo una complessa storia di persecuzione a meri gesti e rituali simbolici.

A quasi 25 anni dalla loro prima apparizione, le pietre d’inciampo sono diventate un elemento integrante e imprescindibile della società tedesca. Nel 1996 erano una novità assoluta, una forma discreta e, proprio per questo, estremamente efficace di commemorazione. Il loro inventore non aveva alcuna intenzione di diventare designer, eppure senza volerlo è riuscito a realizzare quello che di fatto è il sogno di ogni designer: creare un oggetto unico nel suo genere, riconoscibile a prima vista, discreto, utile, sobrio e immediato, a disposizione di tutti gratuitamente. Non si tratta di un oggetto fruibile nel senso proprio del termine, in quanto può solo essere osservato e fare riflettere. Ma è un oggetto di enorme utilità sociale poiché ciascuna pietra d’inciampo rappresenta un destino individuale, e ciascun destino individuale rappresenta la mostruosa portata dell’Olocausto, impossibile da raffigurare nel suo insieme. Le pietre d’inciampo sono la cosa migliore che potesse capitarci.

Anja Lösel ha lavorato come redattrice per le riviste Art e Stern scrivendo di arte, architettura e design. Sta lavorando a un libro sulla sua esperienza di sponsor di una pietra d’inciampo. Abita a Berlino.

Gunter Demnig (Berlino, 1947), artista, ha studiato Arte e Industrial a Berlino. Nel 1985 ha aperto il suo studio a Colonia e nel 1993 ha avviato il progetto delle pietre d’inciampo.

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