Presence, la mostra di Daan Roosegaarde, è una chiamata all’azione per salvare il pianeta

Al Groninger Museum, la mostra dell’artista olandese si attiva con la presenza e l’interazione del pubblico. Partendo dal concetto d’impronta ecologica, cinque installazioni fanno riflettere sull’impatto degli esseri umani sulla Terra.  

Ottocento metri quadrati di “paesaggio da sogno”, dove sono i visitatori a creare le opere d’arte. Con queste parole Daan Roosegaarde – artista, architetto, geniale inventore olandese, con base a Rotterdam – introduce “Presence”, la sua prima grande mostra, aperta il 22 giugno a Groningen, 150 km a nord di Amsterdam. “La sfida più grande è stata padroneggiare la tecnologia in modo da fare emergere la poesia”, spiega. Niente dimmer, cavi, schermi o proiezioni quindi. Niente effetti speciali, né installazioni spettacolari. L’unica fonte di stupore è data da un sottile filo di luce in mezzo al buio. Materiali innovativi e principi fisici sono gli unici ingredienti alla base delle installazioni, frutto della stretta collaborazione di designer e ingegneri.

La mostra è frutto di tre anni di lavoro, che ha impegnato lo studio di Rotterdam tra progettazione, ricerca, test e prototipi, e propone un concept radicalmente nuovo sotto più punti di vista. La prima rivoluzione, rispetto a un tradizionale percorso espositivo, è che senza visitatori la mostra non funziona; è la presenza del pubblico ad attivarla. Muovendosi all’interno delle cinque stanze e, soprattutto, mantenendo un atteggiamento aperto, curioso e attivo, i visitatori diventano gli autori delle opere.

Durante il percorso, i visitatori sono invitati più volte a lasciare la propria orma, ma anche a riflettere sulle tracce che lasciano.

“Presence” ha poi anche un altro non meno importante significato sociale. La mostra, curata da Mark Wilson e Sue-an van der Zijpp, è ispirata dal concetto d’impronta ecologica e di cambiamento climatico. Ogni stanza mostra l’impatto di ognuno sul mondo che lo circonda, l’impronta che ognuno lascia dietro di sé. “Questa mostra”, spiega Roosegaarde, “è una call to action, una chiamata all’azione”. L’obiettivo è rivelare in modo tangibile e coinvolgente l’impatto della presenza degli esseri umani sul pianeta. Durante il percorso, i visitatori sono invitati più volte a lasciare la propria orma, ma anche a riflettere sulle tracce che lasciano.

La libertà è massima. L’unico cartello lo si trova all’inizio del percorso e l’ha disegnato lo studio olandese: è il palmo di una mano aperta, che indica “Please touch”. Insieme con un breve testo introduttivo, è la sola indicazione per la visita che segue. Sono stati aboliti perfino i cartelli delle uscite di sicurezza: troppo luminosi perché le sale sono tutte fotosensibili. Dalla prima stanza, dove un raggio di luce scannerizza le persone, si passa a una sorta di camera oscura, dove i visitatori sono osservati e fotografati dall’opera e non – come di solito avviene – viceversa. Nella terza sala comincia il divertimento: il pavimento è coperto da migliaia di leggerissime micropalline fatte di un polimero biodegradabile rivestito da una sostanza fotoluminescente e tenute in posizione da alcuni ventilatori alle pareti. È un paesaggio alieno o un parco giochi? In entrambi i casi, la sua forma dipende da noi. La quarta sala è invasa da grandi globi fotoluminescenti che reagiscono al contatto e rivelano le nostre impronte, ma l’ultima sala il vero campo da gioco: una trentina di palline luminose – calciate, spinte, accompagnate – disegnano un bellissimo paesaggio di luce su un pavimento interamente fotosensibile.

“Non ci sono passeggeri sulla nave spaziale Terra. Siamo tutti parte dell’equipaggio”. La celebre frase di Marshall McLuhan, che Roosegaarde ha già usato in più occasioni nelle sue conferenze, chiude il percorso e condensa in poche parole l’essenza della mostra.

È la prima volta che l’artista – noto per audaci progetti nello spazio pubblico urbano, come la torre mangia smog (Smog Free Tower a Beijing), una pista ciclabile dalla pavimentazione luminosa (Van Gogh Path a Nuenen, città natale del pittore), un’installazione fatta di 60 edifici retroilluminati che s’illuminano con i fari delle auto (Gates of Light, sulla diga di Afsluitdijk) – si cimenta con uno spazio interno. “Alcune stanze sembrano disegnate per la vita futura su un altro pianeta. Provo nostalgia per gli anni Sessanta e Settanta, quando gruppi come Archigram, Superstudio e Smithson provavano ad immaginare che forma avrebbe avuto il futuro. Con questa mostra spero che torni quel desiderio”, racconta Roosegaarde.

Non ci sono passeggeri sulla nave spaziale Terra. Siamo tutti parte dell’equipaggio. La celebre frase di Marshall McLuhan chiude il percorso e condensa in poche parole l’essenza della mostra.

Una mostra così tattile crea anche numerose sfide dal punto di vista pratico: tutto andrà continuamente pulito. “Questo mi ricorda Gerrit Rietveld”, prosegue Roosegaarde. “Quando aveva progettato la sua casa Utrecht, tutta gialla, rossa e blu, si è reso conto che la maniglia gialla della cucina si sporcava in fretta e quindi l’ha ridipinta di blu. Ma, così facendo, ha modificato l’intera composizione. Se sei pratico, ma lo sei in modo estremo, la praticità diventa poesia. Alla fine della mostra, potremo disegnare nuove stanze basandoci su quello che avremo imparato dalle reazioni delle persone”.

È stato difficile convincere il museo a investire su una mostra così diversa dal solito? La risposta non si fa attendere: “Il Groninger Museum, per la sua posizione, decentrata rispetto ad Amsterdam, ha bisogno di statement radicali. Ha una lunga storia di mostre coraggiose: la mostra di David Bowie, per esempio, è nata qui e poi è andata al V&A di Londra. Per questo motivo, concedono sempre molta libertà. Questa mostra non sarebbe mai stata possibile in nessun altro museo”.

Titolo mostra:
Daan Roosegaarde. Presence
Date di apertura:
22 giugno 2019 – 12 gennaio 2020
Curatori:
Mark Wilson, Sue-an van der Zijpp
Sede:
Groninger Museum
Indirizzo:
Museumeiland 1, Groningen
Video:
Felix Kops

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