Come può il design partecipare alla democrazia?

L’abbiamo chiesto a Carl Di Salvo, autore del libro Adversarial Design, che mostra come pratiche ed esperimenti sociali siano le nuove prospettive del progetto contemporaneo.

Adversarial design è un’attenta indagine attorno alle dinamiche sociali e politiche del progetto. Puoi evidenziare i temi declinati nel tuo fortunato saggio?
Nel libro ho deciso di esplorare in che modo il design può partecipare alla democrazia. Spesso pensiamo al design come un contributo alla democrazia che rende i processi della politica più semplici e accessibili. Un elemento sicuramente importante che però riduce la democrazia a una serie di meccanismi. Il concetto di agonismo, in particolare come sviluppato da Chantal Mouffe, ci sfida a pensare in modo diverso. Da una prospettiva agonistica, la democrazia non è solo il modo di partecipare ai vari meccanismi della politica, è anche la capacità di contestare, di sfidare le strutture e le condizioni, la pratica e i valori delle società. In Adversarial design m’interessa il modo in cui gli oggetti progettati possono sviluppare un potenziale antagonista ed esprimere una contestazione.

Nel suo libro On the Political Chantal Mouffe scrive che la politica è uno spazio empirico e il politico è il dominio dei filosofi che indagano sulla sua essenza. Sei d’accordo con questa definizione? Qual è il ruolo del design in questo campo allargato?
Il ruolo del design non deve essere quello proprio della filosofia, ma il progetto può fornire le basi per esperimenti filosofici. Il design può mettere in campo pratiche progettuali che ci forniscono nuovi strumenti per comprendere cosa potrebbe essere il mondo, o cosa potremmo desiderare (o non desiderare). Il design non deve riguardare solo la risoluzione dei problemi, può essere utilizzato per articolare meglio un problema, anche senza risolverlo, questo è un contributo importante. Tornando a Mouffe, forse compito del design è quello di essere un dispositivo che altri potrebbero usare nel fare ricerche: il progetto può essere un modo per sondare e conoscere il mondo attraverso la creazione.

Tu guardi al computational design come ambito in cui gli oggetti offrono nuove sfide e opportunità. Quali sono queste potenzialità?
Le sfide del computational segnalano che il mondo del design ha ancora un rapporto ambivalente con la tecnologia. Sembra che per alcuni, gli ambiti ad alto contenuto tecnologico e il design siano campi distinti, e allo stesso modo per altri la tecnologia e il sociale sono mondi separati. Dal mio punto di vista, la tecnologia è una delle condizioni fondamentali della vita contemporanea e, come tale, non è distinta né dal design né dal sociale. Due questioni urgenti sonola dimensione dei Big Data, e insieme a questa, i problemi di quanto poco noi (come designer) capiamo come il computational/calcolo funzioni su larga scala. Stiamo progettando sistemi di sistemi, in cui i sistemi stessi sono parte del problema. In alcuni di questi abbiamo accesso o siamo in grado di accedervi, ma molti rimangono opachi. Eppure, dobbiamo progettare con loro.

In un mondo in cui il lavoro umano sta cambiando e non è più necessario per il sistema produttivo, quale futuro potrebbero avere il design e i designer?
Sembra ormai evidente che alcuni aspetti della progettazione diventeranno sempre più automatizzati e che anche quelle attività che le persone considerano “creative” – e quindi immaginano di essere al di fuori dei limiti dell'automazione – possano, di fatto, essere replicate attraverso un’intelligenza artificiale sofisticata. Tuttavia, sono meno preoccupato di ciò che accadrà nell’ambito del design come lo conosciamo, e sono più preoccupato di come i designer potrebbero contribuire a una svalutazione delle competenze e del lavoro in altri ambiti. La domanda per me non è ciò che i futuri progettisti faranno, ma quale futuro del lavoro i designer modellano per gli altri?

Potresti dirci qualcosa sui tuoi progetti futuri?
Sto lavorando a un nuovo libro che guarda a interessanti esperimenti di design in ambito sociale. Soprattutto indago le modalità progettuali che intrecciano relazioni sociali “alternative” provando a suggerire modalità diverse di esistenza e convivenza. Il design come modalità di civismo sperimentale, un modo di testare e contestare come strutturiamo e viviamo un momento collettivo di creazione del mondo. Nella mia ricerca mi lascio accompagnare da una serie di teorici contemporanei, tra cui Isabelle Stengers, Donna Haraway, Anna Tsing e J.K. Gibson-Graham, per cercare di dare legittimità a un’idea di design come laboratorio di nuove forme di solidarietà. Il materiale descrittivo del libro trae ispirazione da una serie di progetti nei quali sono stato coinvolto negli ultimi anni che hanno al centro il lavoro con diverse comunitànche cercano di attuare il cambiamento attraverso l’uso di dati e media differenti, quindi affronto anche questioni legate alla tecnologia e alla politica, ma da una prospettiva più di processo e pratica attiva.

Ti andrebbe di suggerire ai lettori di Domus qualche autore da studiare e alcuni designer di cui apprezzi il lavoro?
Gli studi e le ricerche di J.K. Gibson-Graham sono, a mio avviso, importanti e per certi versi commoventi perché ci mettono davanti alla domanda “di che altro potremmo parlare quando parliamo di economia?” e nel rispondere l’autore dà spazio per esplorare economie alternative: un insieme di pratiche che coinvolgono il lavoro e lo scambio, ma non fanno parte dell'economia di mercato dominante. Questo è importante per il design perché apre nuovi scenari economici con cui il mondo del progetto potrebbe interagire. Quindi, quando consideriamo il design come una pratica storicamente definita in relazione all'economia, ciò che questo lavoro fa è ampliare la portata di tali relazioni. Il design non funziona solo come parte di un'economia di mercato, ma opera anche in relazione ad attività economiche alternative come il baratto e il volontariato. Questo è un modello generale di come essere più fantasiosi e generosi nei nostri ambiti operativi e nelle nostre pratiche. Ad esempio, possiamo utilizzare il lavoro di Gibson-Graham come ispirazione e come guida per esplorare la domanda “di che altro potremmo parlare quando parliamo di design?”. Per dare un immediato riferimento e avvicinarci alla risposta consiglio di studiare il lavoro dei designer coinvolti in “Decolonising Design”, del collettivo Brave New Alps e dei vari designer e collettivi che si stanno impegnando attraverso il progetto “Mapping Eco-Social Design”.

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