We don’t embroider cushions here: la chaise longue di Le Corbusier da icona di design ai film per adulti

La leggendaria chaise longue LC4 di Le Corbusier e Charlotte Perriand è anche uno dei fuck-prop più usati nei film per adulti. Lo racconta, con 192 immagini, il volume di Augustine e Josephine Rockebrune.

Ormai defunto, Just Another Ikea Catalog era un tumblr che setacciava il mondo del porno amatoriale alla ricerca di credenze e divani del marchio svedese. Oltre a essere molto divertente, era anche utile. Perché di ogni articolo presente nell’inquadratura forniva nome e prezzo, qualcuno avesse mai voluto recarsi di corsa nel negozio più vicino. Sebbene nell’ambiente del design siano sempre circolati commenti ironici sulla mobilia usata nelle produzioni pornografiche, era difficile ipotizzare un’operazione di upgrade. Eppure, We don’t Embroider Cushions Here fa proprio questo, focalizzandosi sulle comparsate proibite di un pezzo leggendario del design: la chaise longue LC4 di Le Corbusier. Centonovantadue immagini scabrose raccolte in un libro che per impenetrabilità – sigillato com’è in una busta di plastica sottovuoto – ricorda il packaging di un caso editoriale altrettanto scottante: Sex di Madonna (1992).

Ma l’intento delle curatrici Augustine e Josephine Rockebrune, sorelle e artiste, non è quello di dimostrare come in pochi anni i set dei film porno siano passati dalle librerie Billy al design modernista. No. Il concept che sottende la ricerca di We don’t Embroider Cushions Here è più complesso. “Noi non ricamiamo cuscini qui” è infatti la risposta sessista con cui nel tardo pomeriggio del 14 ottobre 1927, Le Corbusier liquidò le ambizioni di Charlotte Perriand, arrivata nello studio di Rue de Sèvres per mostrargli il suo portfolio. L’architetto l’assumerà di lì a pochi mesi, ma solo grazie alle ottime recensioni del suo show al Salon d’Automne, a cui si recherà, che lo convincono a farne la responsabile del prodotto e dell’interior design.

Ora, siccome Le Corbusier conservò per tutta la vita ogni traccia cartacea della sua attività – compresi il biglietto da visita che Charlotte riuscì comunque a consegnarli quel pomeriggio infausto e il contratto di lavoro che non prevedeva stipendio (oggi probabilmente una scelta giustificata con “vuoi mettere la visibilità”) – è sorprendente che non esistano testimonianze sulla gestazione della LC4. Quel che è certo è che fu creata un anno dopo l’innesto di Charlotte nello studio. Il sospetto di Augustine e Josephine è quello di un insabbiamento dell’apporto di Perriand, frammentario o totale che sia. Sebbene Cassina, il produttore attuale della chaise, accrediti entrambi come designer, unitamente al cugino di Le Corbusier, Pierre Jeanneret, a tutt’oggi persistono molti dubbi. Tanto che nella percezione collettiva rimane la chaise di Le Corbusier.

Lo scoop eccezionale di We don’t Embroider Cushions Here, cioè che la LC4 è uno dei fuck-prop più usati nei film per adulti, fa di questa collezione d’immagini bollenti un affascinante regolamento di conti tra i celebri designer. Una storia moderna di revenge porn che trasferisce l’ingratitudine e l’umiliazione professionale subite da Charlotte direttamente alla LC4. Degradata a oggetto promiscuo come le pornostar che ospita. Ridotte, appunto, a cuscini ricamati. Una denuncia inaspettata che in quest’epoca di #metoo e rottura del silenzio, trasforma We don’t Embroider Cushions Here, più per ragioni di timing che per solidarietà vera con le vittime di abusi sessuali, in un prodotto di estrema attualità.

Ciò nondimeno, We don’t Embroider Cushions Here è anche, suo malgrado, la storia di un successo progettuale. “You can’t invent a design”, diceva lo scrittore inglese D.H. Lawrence. “You recognize it, in the fourth dimension. That is, with your blood and your bones, as well as with your eyes”, In altre parole, la fotogenia è fondamentale, ma il vero plusvalore di un oggetto risiede nella scoperta che il suo uso e possesso permette di accedere a una sorta di “realtà aumentata”. Di se stessi e dell’ambiente in cui s’inserisce. Grazie a un misto di bellezza, status symbol e feticismo strutturale. Caratteristiche che la LC4 sembra esacerbare in grande quantità. E, siccome ruota attorno al piacere, l’industria a luci rosse queste qualità le ha capite al volo. Un po’ come era successo nel 1974 con la Peacock chair di Emmanuelle, la poltrona in rattan la cui fama è diventata ormai indistinguibile dal film.

Se sono poi esistite nei caldi anni Settanta manifestazioni per bruciare la Peacock, in quanto simbolo di mercificazione femminile, la Rete sembra non averle registrate. È anche improbabile che, nel corso del 2018, anno del suo centenario, la LC4 corra il rischio di subirne. Difficilmente il design provoca risentimento sociale. Tuttavia, la domanda da farsi, alla luce delle rivelazioni di We don’t Embroider Cushions Here, è se sdraiarsi sulla LC4 equivalga a tradire Charlotte. A un quesito simile – su cosa fare, ora, dell’arte creata da questi uomini mostruosi che nel cinema hanno provocato tanto dolore – Claire Dereder sulle pagine di The Paris Review  rispondeva che mostri lo siamo un po’ tutti, alla fine. E che il prodotto artistico porta con sé sempre molta sofferenza. E questo vale anche, evidentemente, per un capolavoro del design modernista.

Titolo libro:
We don't Embroider Cushions Here
A cura di:
Augustine e Josephine Rockebrune
Casa editrice:
Èdition Monumental
Pagine:
212
Prezzo:
39 €
Grafica:
Boris Datore

Ultimi articoli di Design

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram