Jack Stauffacher tipografo stampatore, tra classicismi e avanguardie

Se ne è andato uno degli ultimi grandi stampatori a caratteri mobili americani, colto e raffinato, ha ricevuto numerosi premi ed è stato acquisito dal SFMOMA.

Jack Stauffacher, alla scrivania nel suo studio, 2011. photo Mauro Panzeri

A novant’anni Jack Stauffacher usava ancora la bicicletta, da casa al traghetto e dall’approdo di San Francisco alla sua stamperia. Portava i suoi anni sereno e in gran forma; un dandy d’altri tempi, alto e con gli occhi azzurri, elegante con il farfallino, e sempre circondato da molti amici.

Così lo si ricorda, casco in testa, in partenza dal civico 300 della Broadway a San Francisco, dove ha sede la sua The Greenwood Press, pronto a pedalare per tornare a casa. E solo un mese fa, Jack teneva finalmente tra le mani una copia, fresca di stampa, del suo diario toscano Bue, aratro, bicicletta, un viaggio in Italia negli anni ’50 che gli cambiò la vita. Qualche settimana fa, parlandoci al telefono, ricordava ancora con passione la tradizione della stampa italiana e delle antiche cartiere visitate in Toscana. Amava Aldo Manuzio, il tipografo umanista, studioso e curatore, compositore ed editore del Rinascimento.

Ma se gli chiedevi una definizione di se stesso, Jack era prima di tutto uno stampatore, poi veniva il tipografo: perché “stampatore” rispondeva maggiormente alla sua idea del lavoro. Anche quando la rivoluzione digitale della metà degli anni ’80 scosse il mondo della grafica, Stauffacher affrontò il cambiamento e permise al primo Mac di varcare la soglia della sua officina. In verità, aveva già assistito all’altra grande svolta tecnologica della stampa: accadde nel 1966, quando si trasferì all’indirizzo di una tipografia californiana, che fu l’ultima a fusione calda.

Nato a San Francisco nel 1920, Jack Werner Stauffacher iniziò il suo “viaggio tipografico” appena adolescente nella casa di famiglia a San Mateo. Lavorò in un piccolo laboratorio costruito con il padre, che realizzò per lui le casse per contenere pochi caratteri essenziali, Perpetua, Stymie e Goudy.

Stauffacher divenne ben presto un maestro stampatore. Del suo libro Janson: A Definitive Collection, un critico ha scritto: “La qualità di stampa è tale che non è umanamente immaginabile un ulteriore miglioramento: una qualità nera e vivida, senza troppa pressione.” E fu proprio grazie a questo suo libro che ottenne una borsa di studio Fulbright che lo portò in Italia dal 1956 al 1958 dove studiò i caratteri da stampa dell’umanesimo rinascimentale. Le gite in bicicletta nel paesaggio toscano ispirarono molti paragrafi del suo diario: “La ruota libera risuona come un grillo sulle dolci colline dell’estate toscana”. Rientrato negli Stati Uniti, si dedicò anche all’insegnamento della tipografia. Prima a Pittsburgh, Pennsylvania; poi al San Francisco Art Institute e all’Università della California, Santa Cruz. E negli anni ’70 diresse il Center for Typographic Language a 300 Broadway nel suo atelier, con workshop di collaboratori importanti come il disegnatore di caratteri Hermann Zapf. Contemporaneamente fu editore, tipografo e stampatore di poesie e testi classici e contemporanei in piccole e preziose tirature.

Il lavoro di Jack Stauffacher si divide (e convive) tra due opposti. Da una parte vi è la tipografia classica, di cui è maestro: il suo Fedro di Platone è un gioiello d’invenzione; come pure il più recente The Vico Collaboration, realizzato con Dennis Letbetter, fotografo, dedicato al filosofo napoletano. Dall’altra vi è una passione mai sopita per i grandi caratteri in legno che aveva ereditato, con cui realizza esperimenti quasi futuristi, ironici divertissement tipografici, che sono oggi patrimonio di musei come il San Francisco Museum of Modern Art e importanti collezioni. Nel 1998 Emigre, l’allora controverso magazine che veicolò la sperimentazione grafica di quegli anni, lo omaggiò con un bel saggio e gli offrì di disegnare una copertina, che lui progettò come risposta e omaggio al magazine stesso, in uno stile perfetto, molto avant-garde. Nel 2004, l’American Institute of Graphic Arts (AIGA) gli conferì la sua più importante onorificenza.

Il 16 novembre, Jack Stauffacher ci ha lasciati, ultimo membro di una confraternita di progettisti speciali e fuori del tempo, le mani sporche di inchiostro, le luccicanti macchine per la stampa, le carte intonse e preziose. Ci fa piacere ricordarlo a tavola con gli amici in trattoria, a scambiarsi libri e a chiacchierare.

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