Design Anatomy

Lavorando sul concetto di “anatomia del progetto”, Taku Satoh, curatore della mostra al 21_21 Design Sight, propone un “metodo per osservare il mondo attraverso gli oggetti familiari”.

È opinione comune che ciascuna cultura crei propri specifici comportamenti e prodotti. Ribaltare l’equazione permette di valutare ex novo in quale misura i prodotti che consumiamo ogni giorno finiscano con il dar vita a una specifica cultura progettuale. “Design Anatomy”, la più recente mostra del 21_21 Design Sight di Tokyo, apre un dialogo sull’argomento illustrando un “metodo per osservare il mondo attraverso gli oggetti familiari”.
Allo stesso modo in cui l’architettura usa la sezione come strumento per rappresentare qualità spaziali, l’anatomia umana usa la dissezione del corpo come metodo di ricerca. Taku Satoh, curatore della mostra, lavora dal 2001 sul concetto di “anatomia del progetto”, applicandolo a vari prodotti industriali della cultura contemporanea per decodificarne particolari qualità progettuali. Il suo metodo può essere definito un’analisi esaustiva dall’esterno verso l’interno di tutti i particolari coinvolti nel progetto dei prodotti d’uso quotidiano, che gli permette di scomporne e ricomporne le parti e i rapporti.

 

La “dissezione”, spiega Satoh, svela aspetti nascosti del progetto, della produzione e della distribuzione di specifici beni di produzione seriale, innalzando l’ordinario alla condizione di straordinario. Più in particolare la mostra riguarda la dissezione di cinque prodotti della Meiji Holdings Co., società giapponese del settore alimentare. Il curatore ha scelto di analizzare prodotti che permettono al visitatore di confrontarsi facilmente con beni già appartenenti alla cultura popolare e alla memoria sociale. Perciò vengono analizzati nei minimi particolari prodotti come biscotti ricoperti di cioccolato, yogurt, gelato, latte, una tavoletta di cioccolato.

Design Anatomy
“Design Anatomy”, 21_21 Design Sight, Tokyo
La sala d’ingresso presenta il programma dell’anatomia del progetto e la sua impostazione metodologica, insieme con alcune delle prime dissezioni di prodotti che Satoh ha realizzato in passato. Oggetti come una macchina fotografica usa e getta, il cranio di una celebre bambola e il tessuto di uno degli abiti A.POC di Issey Miyake sono esposti e analizzati a scala micro e macroscopica. Sato suddivide il suo metodo in quattro fasi: fondamenti, diagrammi, decifrazione e ricerca, ciascuno dei quali è indispensabile per proseguire nella sezione successiva della mostra, in cui si esaminano prodotti specifici.
Da questo punto in avanti la mostra si dedica non solo a separare le componenti progettuali dei cinque prodotti citati, ma a raccontare la storia completa di ciascuno di essi, dagli aspetti riguardanti la natura organica e la produzione dei cinque prodotti derivati dal latte ad altri relativi al progetto della confezione e alla collocazione storica nella cultura popolare.
La prima sala presenta con abbondanza di particolari un unico prodotto, un biscotto a forma di fungo ricoperto di cioccolato, popolarmente noto come Kinoko-no-yama. La seconda e più ampia sala prosegue con gli altri quattro prodotti, seguendo strettamente il metodo dissettivo proposto dal curatore. Parallelamente a varie informazioni, a dati storici e a riproduzioni in grande formato di ogni oggetto selezionato Satoh ha invitato altri creativi a collaborare non solo fornendo informazioni ma anche offrendo al pubblico un’esperienza di carattere più ludico. Il grafico Takeo Nadao, per esempio, presenta con l’infografica un’analisi approfondita del sito web del produttore. Il regista Takuya Hosogane ha creato una stampante a matrice di punti basata sul codice di produzione usato sull’etichetta collocata sul retro della tavoletta di cioccolato. Altri, come Syunichi Suge, rappresentano tramite modelli in miniatura la complessa rete dei ruoli coinvolti nella produzione dei cinque oggetti, da chi ne coltiva la materia prima a chi lavora in fabbrica e si occupa delle consegne. La mostra si conclude con la presentazione di altre dissezioni di prodotti realizzate dagli studenti dell’Università d’arte Musashino, dove Sato ha insegnato Anatomia del progetto nel quadro del programma didattico generale.
Satoh intende catturare il progetto in quanto modo di osservare gli oggetti, rendendo omaggio al profondo senso visivo insito nella parola design. Inoltre attribuisce anche grande valore all’ingegnerizzazione del progetto al di là della forma e del colore. Da qui la grande considerazione attribuita nell’analisi dei prodotti ad altre variabili, come il sapore e la trama decorativa delle superfici, anch’esse, secondo Satoh, parte integrante dell’ingegnerizzazione del prodotto.
Mentre la mostra condivide in fondo caratteristiche analoghe di precedenti mostre di design ospitate nelle stesse sale, ne differisce sostanzialmente perché guida il visitatore in un ossessivo e meticoloso processo di analisi di ciascuno dei prodotti esposti. E tuttavia riesce in definitiva ad ampliare al pubblico generale il discorso sulla progettazione degli oggetti quotidiani; ovvero, come meglio dice Satoh, “Gli oggetti familiari sono la porta dell’universo”. Resta ancora un problema aperto: se la cultura crea prodotti, quale tipo di cultura viene creato dai prodotti contemporanei?
© riproduzione riservata

fino al 22 gennaio 2017
Design Anatomy
21_21 Design Sight
9-7-6 Akasaka, Minato-ku, Tokyo
Curatore: Taku Satoh

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