Operæ 2015: il presente del design

Il sesto festival del design indipendente di Torino ha offerto un’istantanea, per quanto mutevole nel suo costante divenire, di uno stato del design col quale non si può mancare di fare i conti.

Operae 2015
Il progetto per sua stessa definizione richiede una proiezione nel futuro (pro-iecto), un “gettare oltre” che suggerisce un superamento e una previsione. Per una volta, invece, ci viene chiesto di fermarci ed ascoltare con attenzione il presente, senza farci distogliere da nostalgie per il futuro o ansie di definizione del passato.
“Qui/Ora Io/Noi. Piemonte Handmade”
“Qui/Ora Io/Noi. Piemonte Handmade”
È stata questa la sfida di Operæ, festival di design indipendente curato in quest’ultima edizione da Angela Rui con un tema acuminato e tagliente dietro l’apparenza festosa della manifestazione da titolo “Qui/Ora. Sotto effetto presente”. A Torino dal 6 all’8 novembre, in concomitanza con Artissima, si è vista chiaramente un’istantanea, per quanto mutevole nel suo costante divenire, di uno stato del design col quale non si può mancare di fare i conti.
“Qui/Ora Io/Noi. Piemonte Handmade”
“Qui/Ora Io/Noi. Piemonte Handmade”
Da un lato, infatti, con “Qui/Ora Io/Noi. Piemonte Handmade” è stato messo in mostra un progetto che ha coinvolto 12 designer e altrettante realtà artigianali piemontesi; dall’altra la dimensione più fieristica con una selezione di design accomunato dall’indipendenza nella produzione, svincolato dai limiti imposti dall’industria e liberamente giocato tra autoproduzione e collaborazione con gli artigiani. Eppure, quello dell’ormai imperante artigianato, con la sua nuova florida stagione ai limiti dell’ideologia e il suo statuto di secessione dall’industria, non è stato il punto centrale della manifestazione.
Maddalena Selvini
Maddalena Selvini
Grazie all’occhio critico di Rui, che ha creato una regia tanto sapiente quanto rispettosa dei progettisti, l’immagine emergente è quella della condivisione partecipativa. Non quindi il luddismo anti-industriale di arti e mestieri, quanto la disponibilità a una circolarità di modi operativi, pensieri, conoscenze che nell’incontro non casuale trovano nuovi terreni di sviluppo. E, infatti, nella mostra che ha aperto il festival nelle prime due sale sono andati in scena i risultati di strane coppie creative che hanno attivato progetti inediti. Molti dei designer chiamati all’appello sono già abituati al confronto con l’artigianato; ma qui è stata la curatrice a sparigliare le carte e a creare accoppiate inusuali, costringendo tutti i partecipanti a uscire dai propri sentieri battuti. “Perché da questo incontro anche i designer avevano molto da imparare dagli artigiani. Di solito, infatti, si casca nell’equivoco che siano i primi a dover dare un input progettuale ai secondi. Invece volevo mettere tutti nella condizione si scoprire qualcosa che non conoscevano, con cui non si erano mai confrontati prima” spiega Angela Rui.
Paysages Desertiques di Josephina Munoz
Paysages Desertiques di Josephina Munoz
Quindi Ulian ha “rinunciato” al marmo a favore dei metalli e ne è nato un lavoro insieme alla Reale Restauri, specializzati nel restauro di lampadari in metallo a sbalzo, dove il punto di partenza della decorazione a foglia è stato originario di una mutazione della forma e di un’evoluzione quasi darwiniana verso un modulo componibile come vaso, vassoio, piano di appoggio. Anche Giulio Iacchetti – per il quale sarebbe stata logica l’associazione al legno – ha trovato nella legatoria dell’editore Alberto Tallone l’occasione per immaginare un libro infinito, dalla doppia costa che faceva pensare a un gioco munariano, ma anche a un oggetto concettuale alla Boetti. Ma se Iacchetti entra nel mondo della legatoria in punta di piedi, Sebastiano Tonelli conduce Luciano Fagnola a seguirlo nel design di prodotto creando un set di borse da viaggio che sembrano faldoni scomposti e ricostruiti in nuove inattese funzioni. E poi ancora Zanellato/Bortotto che hanno progettato intarsi di pietra sul disegno dei palazzi torinesi; gli Zaven che, sempre con la pietra, hanno prototipato un modulo essenziale e archetipico. 
Colour Provenance di Studio Laura Daza
Colour Provenance di Studio Laura Daza
Carlo Contin e la Piccola Falegnameria si sono incontrati sui dettagli di raffinatissimi incastri di un tavolo che gioca tra il rigore geometrico della grande serie e la finitura artigianale delle edizioni limitate, così come tra tecnica antica e design essenziale dialogano Antonio Aricò e Soheila Dilfanian nei loro Cattedrale cabinets. Decisamente più specifici i territori proposti dal Ecat Orologi e Campane a Blumerandfriends, che elaborano una campana capace di suonare senza rintocco o movimento, solo per effetto di un file sonoro trasmesso elettronicamente. Nuove vie per la decorazione sono quelle sperimentate da Federico Floriani con Verbani Velluti, proponendo mantelli dalle simbologie alchemiche; Joe Velluto che immagina cartoline preziose in filigrana d’oro con l’orafo Roberto Figurelli; o Chiara Onida che traduce la pellicceria di Anna Giroli in un giardino fatto di pellami e colori ad alto tasso di tattilità. Infine sulla strada dell’alta decorazione troviamo l’Atelier Biagetti che ha dato lustro al suo già lussuoso progetto Body Building con un sacco da boxe realizzato in passamaneria dorata dall’innata potenza iconica.
Sottoportico di Seraina Lareida
Sottoportico di Seraina Lareida
Dodici progetti chiamati a raccontare un “Qui” ben circostanziato come solo la puntualità geografica dell’artigiano sa fare, con la sua tradizione di stanzialità. Ma se la natura del lavoro artigianale vive da sempre di questa territorialità, meno scontata è la trattazione del tempo. Associato nel luogo comune alle lunghe durate, il tempo dell’artigiano ha dovuto qui accettare la sfida dell’“Ora” che è parte del titolo e del concept della mostra. Una frequentazione accelerata, un tempo stabilito, una cottura breve quasi imposta come provocazione. Buona la prima, come nella migliore delle improvvisazioni, arte sublime ed estemporanea capace solo ai più allenati e preparati. E quindi tutti i progetti sono stati frutto di una durata che ha sostituito i mesi e gli anni con le settimane e i giorni, dimostrando che anche nella rapidità possono generarsi risultati spesso inaspettati.
“Qui/Ora Io/Noi. Piemonte Handmade”
“Qui/Ora Io/Noi. Piemonte Handmade”. Libro infinito

Seguente e conseguente alla mostra piemontese, una selezione di autoproduzioni, edizioni proposte direttamente dai designer e, in quota minore, da gallerie. Tra queste ultime è stata in particolar modo la giovane Camp Design Gallery a distinguersi con i lavori degli Analogia Project, Veronica Todisco e David Lindberg, autori scelti da Beatrice Bianco e Valentina Lucio, fondatrici della galleria, come autori sui quali puntare nel design autoriale e di ricerca.

Nel Festival due sono poi stati i temi conduttori: il rapporto tra natura e artificio e quello del design di relazione nella sezione Io/Noi. La prima coppia Natura/Artificio ha messo in luce quanto debito le nuove strade della ricerca autoprodotta abbiano nei confronti della scienza, soprattutto quando la natura è indagata come maestra di processi creativi più che come repertorio formale. Vividi esempi sono stati in questa sezione i vetri di Laura Couto Rosado, che utilizza la fisica applicata per far crescere in tempo reale cristalli sintetici come fossero forme plasmabili, e gli oggetti di Tijmen Smeulders che nella monomatericità e nella rifrazione della luce trovano una ragione d’essere molto intimista, come nella scultura di alluminio Mirror che è quasi una maschera specchiante e deformante che ci invita a ragionare sul riflesso che percepiamo di noi stessi. 

“Qui/Ora Io/Noi. Piemonte Handmade”
“Qui/Ora Io/Noi. Piemonte Handmade”. Crossover Collective di Floor Nijdeken
Sul fronte del design di partecipazione della sezione Io/Noi grande attrattore è stato Crossover Collective di Floor Nijdeken, il telaio in pubblica condivisione per ricamare a punto croce simboli spontanei. Liberati dalla performance del virtuosismo decorativo dell’alto artigianato, i partecipanti di questa opera collettiva tracciano il diagramma di un’esperienza. Il risultato sono immagini simboliche che ricordano quasi i disegni surrealisti del gioco del Cadavre Exquis, privi di una trama unica, capaci di trarre la propria forza proprio dalla casualità di un accostamento e dall’imprevedibilità di un incontro non programmato. Un bell’esercizio di libertà che ci ricorda la natura compartecipata del fare.
© riproduzione riservata

Ultimi articoli di Design

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram