In the making

Attraverso 25 oggetti in mostra al Design Museum di Londra, i designer britannici Edward Barber e Jay Osgerby hanno tentato di mettere in luce la trasformazione da materia prima a prodotto finito.

Tutto quel che ci sta intorno è stato fabbricato. Tutto ciò che costituisce la nostra quotidianità materiale è passato attraverso la trasformazione da materia prima a prodotto finito. E tuttavia – che dipenda dalla distanza che ci separa dalla produzione o dalla prevalenza dei beni di grande serie che svelano poco della propria origine – la maggior parte di noi è ignara di questo processo alchemico e il modo in cui il mondo viene fabbricato rimane un mistero.
Vista della mostra "In the making" al Design Museum di Londra
I designer britannici Edward Barber e Jay Osgerby hanno tentato di mettere in luce questo aspetto accessorio della nostra cultura materiale con la mostra “In the Making” al Design Museum di Londra. L’esposizione presenta venticinque oggetti, dai più disparati oggetti quotidiani alle posate e ai mobili di design – tra cui un divano B&B Italia e una sedia Thonet di legno curvato – colti in varie fasi di fabbricazione. La mostra è programmaticamente intesa come celebrazione della bellezza della fabbricazione, e ideata da una coppia di designer noti per il loro stretto rapporto con i processi produttivi.
Vista della mostra "In the making" al Design Museum di Londra. Photo Mirren Rosie
La mostra, pur offrendo uno spaccato del metodo di lavoro e degli interessi dei designer, non è una cinica vetrina delle loro opere personali. Anzi: “In the Making” porta alla ribalta processi produttivi di tutto il mondo, alla lettera. In una saletta oscurata dell’ultimo piano del museo gli oggetti sono collocati su piedestalli neri illuminati uno per uno, splendenti nel buio come artefatti preziosi. La scelta e la disposizione degli oggetti, oltre che la decisione del momento in cui fermarne la fabbricazione, sono state anch’esse definite in funzione dell’estetica, che ha avuto come risultato una serie eclettica ma affascinante di oggetti singolari nella loro familiarità e nella loro incompiutezza. Un vistoso tappeto giallo fluorescente ritagliato in forme geometriche – in realtà la lunghezza del feltro usato per le palle da tennis – sta accanto al tubo non ancora curvato di un corno francese, mentre una specie di arma spaziale – che è invece la capsula in fusione d’ottone di un rubinetto miscelatore – si contende l’attenzione con la tomaia fustellata di una scarpa da calcio. Alcuni oggetti colpiscono per la loro prossimità alle rispettive origini naturali, come il tappo da vino semplicemente ritagliato dalla corteccia di una quercia da sughero tramite una matrice; altri invece possiedono una semplicità che cela la complessità del prodotto finito: come la presenza in questa sede di un MacBook Pro in forma di blocco d’alluminio massiccio, colto prima del compimento degli 85 processi che ne costituiscono la produzione.
Vista della mostra "In the making" al Design Museum di Londra
Sono anche presenti degli esempi recenti del lavoro dei due designer: la sedia Tip Ton per Vitra (del 2011), la Torcia olimpica che ha vinto due premi Design of the Year (del 2012) e la moneta da 2 sterline che celebra il centocinquantenario della metropolitana londinese, dell’anno scorso. Nella didascalia di quest’ultima i designer descrivono come, fino al progetto della moneta, non avessero idea di come le due facce venissero unite. In questo contesto la stessa carenza d’informazione e il fascino di lunga data della fabbricazione fanno di questo personale e dichiarato tentativo di ‘demistificare’ la fabbricazione a nostro uso e consumo un esercizio trasparente e prezioso. E tuttavia sotto molti aspetti la mostra ha l’effetto opposto. La bellezza degli oggetti incompleti, con la concentrazione delle luci su di essi e le didascalie ridotte al minimo, non fa che esaltarne il lato feticista, facendone delle curiosità sconosciute quanto le materie prime della loro evoluzione. Dov’è il contesto della loro produzione: lo sporco e la polvere del pavimento della fabbrica, gli sfridi e i rifiuti, i macchinari e gli operai?
Vista della mostra "In the making" al Design Museum di Londra
Le altre componenti della mostra evitano questo problema. A un’estremità della sala oscura tre schermi mostrano brevi filmati del processo di produzione di tutti gli oggetti esposti. Fuori ci sono fotografie degli oggetti, questa volta colti accanto ai prodotti finiti che sono destinati a diventare. Prima di uscire il visitatore può scegliere tra vari pieghevoli, realizzati per ciascuno degli oggetti esposti, che forniscono informazioni approfondite sui vari processi coinvolti in ogni fase della fabbricazione dell’oggetto, una breve storia della sua produzione e alcune notizie sul produttore.
A sinistra: mazza da cricket. A destra: cappello di feltro. Photo Gyorgy Korossy
I pieghevoli sono stati realizzati da Build, lo studio di design cui si deve tutta la grafica della mostra. Contribuiscono molto ad arricchire la conoscenza dell’oggetto ed è probabilmente un peccato che il visitatore non ne sia fornito mentre osserva gli oggetti, data la ricchezza dei contenuti. Ma, anche considerati nell’insieme, pieghevoli, filmati e oggetti non ci dicono tutto della fabbricazione di questi oggetti. Mancano i fattori economici della produzione, le condizioni di lavoro e le implicazioni ecologiche dei processi, fattori che vanno tenuti in conto nel momento di decidere nel merito di un oggetto e della sua produzione. A parte queste critiche, “In the Making” è comunque una mostra che vale certamente la pena visitare. Barber e Osgerby hanno concepito un’esposizione affascinante e completa, ed è prezioso osservare questi oggetti incompleti: suggerisce la necessità di accertarsi che non sia tale la conoscenza degli oggetti e del modo di produrli.
Edward Barber e Jay Osgerby. Photo Alisa Connan

Fino al 4 maggio
In the making
Design Museum
Shad Thames, London

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