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Immutabili stati luminosi

Tra i protagonisti dell’ultima edizione del Salone del Mobile 2013 troviamo il designer norvegese Daniel Rybakken, con la nuova lampada Ascent disegnata per Luceplan.

Andrea Pugiotto
Non è una sorpresa trovare Daniel Rybakken tra i designer che lavorano nelle file di Luceplan, una delle aziende più attente all’innovazione nel campo degli apparecchi per illuminazione. Anche se appena ventottenne, il designer norvegese ha all’attivo progetti e installazioni—tutti incentrati sulla luce, direttamente o indirettamente—che lo hanno fatto conoscere internazionalmente a partire dal 2008, quando ha esposto al SaloneSatellite il suo progetto di diploma, Subconscious Effect of Daylight: un tavolino con un proiettore nascosto, che irraggiava a terra uno spicchio di luce e la sagoma di un’ombra. È curioso comunque notare come a portare nuove idee e progetti in questo campo sia un designer poco interessato a concepire una nuova lampada o a sperimentare una determinata tecnologia illuminotecnica, quanto piuttosto a progettare l’esperienza della luce e a manipolare la qualità di quella artificiale.
Andrea Pugiotto
In apertura: Daniel Rybakken, lampada Ricochet, 2012. Sopra: lampada Counterbalance, prodotta da Luceplan nel 2012

Questa sua ‘ossessione’ ha una genesi chiara, dichiarata: la vita in un Paese dove la luce naturale cede il posto a lunghi periodi di buio, obbligando a ricorrere a quella artificiale, che però fa sembrare gli ambienti angusti. Il primo intervento luminoso lo ha messo in atto in una stanza della casa della madre, a Oslo, ancora sedicenne. Nonostante la camera avesse soffitti alti, una finestra ampia e un balcone, l’arrivo della sera e il ricorso alla luce artificiale lo trasformava in un locale piccolo. Bastò mettere dei neon dietro le tende per ampliare percettivamente lo spazio e ridurre la sensazione di reclusione e isolamento.

Prende le mosse da questa idea giovanile il suo primo progetto, Daylight Comes Sideways: una finta finestra che, in realtà, è uno schermo a led, in cui si muove un albero dalla sagoma sfocata, lontana. Era il 2007, e Rybakken era alla ricerca di soluzioni che dessero la sensazione che la luce naturale entrasse dalle pareti, come farà con il progetto del tavolo—una lampada sotto mentite spoglie—e poi ancora per il foyer dell’azienda svedese Vasakronan, rivestito con lastre di Corian che nascondono fogli di alluminio con led incorporati, montati a formare la sagoma di finestre. Solo alla sera, nell’intenzione del designer, l’inganno diventa evidente.

 

Daniel Rybakken accende e poi regola l’intensità luminosa di Ascent facendo scorrere il piccolo paralume lungo lo stelo; proseguendo nel movimento, la lampada si spegne. La calotta può ruotare liberamente, così da proteggere i meccanismi interni e le parti elettroniche. Sul basamento, una miscela di gomma e acciaio rende la versione da tavolo di Ascent più resistente, consentendo un’inclinazione di 15 gradi
L’approccio concettuale di Rybakken ne determina tutto il lavoro, che si sviluppa sempre in stretta relazione con lo spazio e che, a livello formale, conduce a ridurre ai minimi termini l’apporto di dettagli decorativi. “Avere un concetto chiaro in mente è quel che conta”, precisa. “Poi servono forme essenziali, dalle proporzioni e dalle dimensioni estremamente curate, che possano incarnare degli oggetti archetipici, un’astrazione del reale”. Non a caso, i suoi riferimenti estetici sono Donald Judd, Dieter Rams, Anish Kapoor e Jeff Koons. Le scelte estetiche, insieme all’esigenza di lavorare con grande precisione, lo portano a controllare tutto il processo progettuale (disegni, modelli, qualche volta prototipi e fotografia), ma determinano anche la scelta dei materiali: l’alluminio invece dell’acciaio, perché si possono ottenere spessori inferiori; niente legno perché troppo malleabile e quindi instabile. La tradizione del design scandinavo non ha presa su Daniel. “Non sarò un altro carpentiere”, specifica laconico. “Sono attratto dai materiali ‘morti’ come il Corian e l’alluminio, forse perché molti dei miei progetti ricreano qualcosa di estremamente vivo come la luce naturale: il contrasto accresce la forza del risultato finale”.
L’intensità luminosa della lampada da tavolo Ascent di Daniel Rybakken si deve a un circuito elettronico, nascosto nello stelo, che trasmette degli input a un microprocessore

Nonostante la tecnologia abbia un certo peso nello sviluppo dei porgetti sulla luce, Rybakken la ritiene secondaria rispetto al concept. E la nasconde, come ha fatto con la nuova lampada Ascent per Luceplan, che presenterà al Salone. Ideata inizialmente come variante da tavolo di Counterbalance — messa in produzione lo scorso anno per la stessa azienda—, ne ripropone la calotta, inserita qui a scorrimento su uno stelo sottile, nel quale si nasconde l’apparato tecnologico che consente di accenderla, regolarne l’intensità e spegnerla semplicemente muovendo la calotta verticalmente. Il circuito elettronico, deputato a trasmettere gli input al microprocessore che interpreta il cambio di stato della lampada, si intravede appena guardando nella sottilissima fessura che c’è sullo stelo.

L’intensità luminosa della lampada da tavolo Ascent di Daniel Rybakken si deve a un circuito elettronico, nascosto nello stelo, che trasmette degli input a un microprocessore

“Anche se sotto un certo profilo sono un fanatico della tecnologia”, aggiunge, “penso che farne la forza guida di un progetto significhi condannarlo all’obsolescenza nel giro di poco tempo. Basta guardare le lampade a led di cinque anni fa per rendersene conto, o anche progetti di un designer come Ingo Maurer, in cui è la fonte luminosa a costituire il carattere di novità”. Le sue lampade sono pensate per resistere nel tempo perché concettuali; la tecnologia può essere aggiornata lasciando intatta l’idea che ha dato loro vita.

 

In linea con questa filosofia, Rybakken vuole concentrarsi sullo sviluppo di pochi progetti — di design ma anche installazioni — molto ben curati e forti. Crede nel lavoro in profondità fatto da professionisti, e non condivide gli entusiasmi per le stampanti 3d (“forse perché le usavamo già a scuola, io mi sento un designer 2d”) o per il progetto open source (“mi spaventa un po’ che il progetto esca dalle mani dei professionisti”). Non si può certo dire che Daniel Rybakken risponda agli schemi canonici del giovane designer scandinavo, e probabilmente proprio questa è la sua forza.       

L’intensità luminosa della lampada da tavolo Ascent di Daniel Rybakken si deve a un circuito elettronico, nascosto nello stelo, che trasmette degli input a un microprocessore
L’intensità luminosa della lampada da tavolo Ascent di Daniel Rybakken si deve a un circuito elettronico, nascosto nello stelo, che trasmette degli input a un microprocessore

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