Questo articolo è stato pubblicato su Domus 963, novembre 2012
In questi ultimi anni, il dibattito sul design è stato prevalentemente occupato da un unico tema: il processo generativo. La standardizzazione della forma, quando non addirittura la pura forma in sé, appare pressoché priva di consistenza a paragone di un nuovo genere di oggetto, esemplare unico all'interno di una serie consapevolmente imperfetta. Per l'utente, queste curiose mutazioni rappresentano un tipo speciale di bene, disponibile ad accogliere valori e memoria. Il processo, a quanto pare, è una sorta di rimedio universale, che cura la stanchezza del design e il senso di colpa consumistica senza sacrificare una briciola di consapevolezza estetica.
Tuttavia, in questo fenomeno c'è qualcosa di curiosamente commerciale. In teoria, la nozione di processo suggerisce una vasta gamma di trasformazioni, transazioni e montaggi nel corso della vita dell'oggetto, ma, in pratica, la situazione è diversa. Il design fondato sul processo tende a definire un preciso arco temporale che inizia con l'acquisizione dei materiali utili al progetto e termina nel momento in cui l'oggetto esce dallo stampo. In questo arco di tempo, il designer, spesso, è l'unico agente della trasformazione; lo studio, come un laboratorio a tenuta stagna, sovente è l'unico contesto della produzione. Quando questi oggetti ostentatamente disomogenei lasciano il laboratorio per il "mondo reale" sono destinati al consumo diretto, "valori intrinseci" compresi.
In effetti, all'interno del dibattito sul design fondato sul processo, spesso si tiene poco conto del processo di acquisizione dell'oggetto: estrazione dei materiali dall'imballaggio, collegamento dei componenti, messa in opera e, infine, dismissione, quando non se ne ha più bisogno.
Certamente, questi eventi non possiedono la qualità cinematografica di un processo di fabbricazione programmato in cui l'oggetto acquista concretezza, come per magia, senza che il designer lo manipoli direttamente: l'opera di laboratori come lo studio Glithero, a Londra, rende evidente che il filmato del processo è un prodotto di design quanto un vaso di terracotta, e forse anche di più. Per contro, le scene implicite nella definizione di processo in senso lato sono abbastanza banali: scegliere un prodotto in negozio, armeggiare con i componenti, sistemare i piccoli difetti, mettere nel giusto bidone i pezzetti ormai inutilizzabili, e così via.
Il processo è bruciato
Partendo da strategie progettuali complementari, due giovani neolaureati mettono in discussione il processo di produzione tradizionale: Gaspard Tiné-Berès punta su smontaggio virtuoso e recupero, Jesse Howard utilizza assemblaggio e manuali fai da te.
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- Tamar Shafrir
- 21 novembre 2012
- Londra
Per apparentemente banali che siano questi gesti, c'è un crescente numero di designer che li adotta come fasi vere e proprie del modo in cui gli oggetti prendono forma. Queste persone costruiscono il loro intervento progettuale come uno tra i tanti input che portano a un risultato materiale e funzionale, accanto all'utente, al mercato, all'economia politica, all'ambiente e alla rete dei rapporti sociali. Da questo punto di vista, non sorprende che molti di loro concentrino il loro interesse sugli elettrodomestici. Più che le sedie e le teiere, gli apparecchi elettrici agiscono in uno scenario molto vasto, condizionato dalle particolarità della produzione globalizzata. Il designer londinese Thomas Thwaites, nel suo fondamentale Toaster Project, in cui ha applicato il principio dell'ingegneria inversa a un tostapane—onnipresente apparecchio da cucina—e lo ha ricostruito letteralmente da zero, ha per esempio scoperto che il 30 per cento di tutta la produzione di nichel del mondo (oltre un milione di tonnellate l'anno) dipende da una singola miniera di Norilsk, in Siberia. Nonostante ciò, l'elemento riscaldante di ogni tostapane è ancora fatto di nichel. Se Thwaites è stato un pioniere in questo campo, usando il design come strumento d'indagine, i neolaureati Jesse Howard (Gerrit Rietveld Academie, 2012) e Gaspard Tiné-Berès (Royal College of Art, 2012) possono rappresentare la fase successiva di questo percorso, in cui il design diventa attore della partecipazione e della riparazione.
Jesse Howard, meglio noto per il bollitore OpenStructures Waterboiler progettato con Thomas Lommée, è il creatore di Transparent Tools, un progetto che ridefinisce il modo di acquistare un aspirapolvere o un macinacaffè. Gli utensili, batterie incluse, non arrivano in una confezione di cartone: ciascuno esiste solo in forma di semplici schemi di montaggio su un unico foglio di carta. Manuali di questo tipo applicano l'etica del fai da te a una cultura della produzione condivisa e personalizzata: Howard contraddistingue le varie parti con stringhe di ricerca di eBay, terminologia da ferramenta e url per scaricare modelli per la stampa tridimensionale. Praticamente, le istruzioni di progetto danno per scontato che verranno fatti degli adattamenti; nel bollitore, per esempio, la caraffa di vetro di recupero può essere sostituita da una brocca di ceramica, da un thermos di metallo o da un altro recipiente a prova di calore che si adatti al coperchio a stampa tridimensionale, che, a sua volta, può essere modificato per adattarsi a un altro contenitore. Ovviamente, alcuni prototipi funzionanti di Transparent Tools sono stati realizzati, ma sono solo una possibile base di partenza per sviluppi futuri: con la crescita del sistema e i contributi di molti autori, essi hanno la potenzialità di diventare qualcosa di molto più importante.
Se Thwaites è stato un pioniere in questo campo, usando il design come strumento d'indagine, i neolaureati Jesse Howard e Gaspard Tiné-Berès possono rappresentare la fase successiva di questo percorso, in cui il design diventa attore della partecipazione e della riparazione.
Mentre Howard guarda all'assemblaggio come al motore del design, Gaspard Tiné-Berès, per creare la sua collezione Short-Circuit, mette in moto un processo di smontaggio. Il progetto è nato dalla collaborazione con Bright Sparks, iniziativa promossa dal consiglio di circoscrizione londinese di Islington per adeguarsi alle direttive ue sulla dismissione dei rifiuti elettronici. In Bright Sparks, dei volontari riparano apparecchiature elettriche guaste o, semplicemente, buttate via, e le rivendono a una frazione del prezzo di mercato (benché, forse, non siano in grado di competere con le economie di scala di grandi società come la Argos, produttrice del tostapane originale di Thomas Thwaites, venduto a 3,99 sterline). Mentre alcuni prodotti possono essere recuperati, altri sono troppo danneggiati per poterli riparare. Short-Circuit fornisce una nuova collocazione a questi oggetti rimasti orfani, usando vetro ordinario come quello delle bottiglie di vino e contenitori da laboratorio con una cornice di sughero naturale, lavorato con utensili computerizzati presso il locale FabLab. Il tostapane, il bollitore e la caffettiera progettati da Tiné-Berès sono solo alcuni esempi di questi apparecchi elettrici dotati di nuova destinazione, che ampliano la sostenibilità finanziaria di iniziative sociali come Bright Sparks.
Se Transparent Tools e Short-Circuit sono prodotti di design inconsueti, la ragione non sta nel fatto che cerchino di apparire unici. Anzi, questi progetti si fondano su un alto livello di omogeneità e di reciproco accordo tra i componenti. Se non esistono due tostapane identici, la ragione è che sono stati costruiti a mano con le risorse più adatte, non che sono la celebrazione degli enigmatici risultati di un teatrale processo di progettazione. O'Neil Howell, responsabile di Bright Sparks, dà forse la risposta più acuta all'ossessione contemporanea per l'unicità della forma: "I bollitori, benché sembrino diversi, nella funzionalità di base e nei componenti che usano sono in gran parte assolutamente uguali". Il dialogo contemporaneo sul design farebbe bene a usare questo linguaggio quotidiano.