Block Notes #3: Magis

L'indagine sull'attività produttiva di Magis parte dalla lettura della produzione degli ultimi tre anni.

Trovare un'azienda di successo, portavoce del design italiano a livello internazionale, che non ha uno showroom, un flagship store o un negozio monomarca a Milano o in qualche capitale del mondo, è già un aspetto interessante su cui riflettere. Magis, una delle società più solide e in espansione tra quelle emerse dal movimento tellurico degli anni Ottanta e Novanta, costituisce proprio quel caso, forse unico. Ovviamente, questa condizione non è casuale, ma è piuttosto la scelta di un modo di essere sul mercato da parte di una vivace e intensa realtà imprenditoriale che cerca di ricostruire un naturale e ampio approccio commerciale con la sua potenziale clientela, sfuggendo così alla logica del consumato concetto di "sistema aperto" interno a un programma monomarca. Questa strategia, dal punto di vista commerciale, si basa su alcune fondamentali scelte imprenditoriali che traspaiono dal carattere deciso del suo catalogo-collezione: alto profilo tecnologico per la grande serie, attenta politica dei prezzi per una fascia ampia di consumatori, ricerche tipologiche e morfologiche ispirate da una propria visione etica del progetto e della forma, grande prontezza e coraggio nell'investimento di risorse economiche e intellettuali nella ricerca (affiancata da un forte sistema di terzisti), ma anche lunghe e severe verifiche nella messa a punto del prodotto finale.
Gruppo di famiglia per la Steelwood
Family in lamiera d’acciaio verniciata e legno
di faggio
Gruppo di famiglia per la Steelwood Family in lamiera d’acciaio verniciata e legno di faggio
Magis è anche, e sopratutto, un imprenditore a tutto tondo, Eugenio Perazza, self-made man nella migliore tradizione della piccola e media industria italiana, autentico progettista primo nell'accezione che abbiamo già detto: ovvero di un imprenditore che fa domande progettuali chiare che sono già una parte importante della risposta, soprattutto se elaborate attentamente con progettisti di talento. È tuttavia interessante osservare che l'imprenditore in questo caso non proviene da una diretta esperienza del fare (com'era una volta), bensì dal mondo commerciale, e questo deve far riflettere. A ogni buon conto anche in questo caso, innanzitutto la grande passione per il prodotto e il buon design, insieme alla forte attenzione per la tecnologia, hanno costituito un mix perfetto per intraprendere una strada originale e innovativa. Non dimentichiamo, infine, che anche Magis appartiene a quel Nordest che tra gli anni Ottanta e Novanta ha funzionato come uno dei motori con più marce della macchina industriale italiana.
Processo di stampaggio
rotazionale della seduta Spun di Thomas
Heatherwick in polietilene, 2010. La forma
è generata da un profilo ruotato per 360°
Processo di stampaggio rotazionale della seduta Spun di Thomas Heatherwick in polietilene, 2010. La forma è generata da un profilo ruotato per 360°
Apriamo la nostra lettura in forma di recensione generale al catalogo 'editoriale' annotando, in primo luogo, che l'incontro con un prodotto Magis risulta spesso analogo alla lettura di un testo chiaro, semplice, discorsivo, espressione di una riflessione precisa e meditata, come un buon libro tecnico-scientifico (del tipo divulgativo di scuola anglosassone), ma che può anche corrispondere alla lettura di un bel racconto appassionante e profondo, al meglio dei fondamentali "libri per ragazzi", come quelli di London e Calvino. In questo quadro, non ci sono spazi per virtuosismi decorativi o spregiudicati esotismi, al punto che anche autori di solito portati a questi temi (pensiamo a Giovannoni, qui raffinato ed elegante con le serie Vanity Chair e la versione in pelle della Chair First, oppure le ricerche in corso di Wanders), senza perdere la loro identità, si sono ricalibrati su una più misurata e incisiva essenzialità della loro cifra. Di riflesso, in qualche caso, si può piuttosto notare un certo citazionismo, forse inconsapevole, che richiama alla memoria certe esperienze già sperimentate da alcuni maestri del design italiano, quali soprattutto Magistretti e Castiglioni e non solo, in particolare sul tema del re-design. Comunque, finché questi spunti progettuali (pensiamo al cavalletto da falegname già riscoperto da Castiglioni con il Leonardo, oppure ai tavolini sovrapponibili di Magistretti, segnalazione Compasso d'Oro 1954, o ancora, dello stesso autore, il tema della sedia da 'trattoria' o popolare, dalla Carimate alla Marocca) rimangono entro certi limiti e vengono aggiornati o riletti con chiarezza ed eleganza, il fatto di ridare corso a buoni testi di un glorioso passato, e fare così anche del buon re-design, può starci benissimo come parte di un discorso articolato e innovativo.
La forma della seduta Spun di Thomas Heatherwick è generata da un profilo ruotato per 360°
La forma della seduta Spun di Thomas Heatherwick è generata da un profilo ruotato per 360°
Per approfondire la nostra lettura sui singoli testi-prodotto delle ultime collezioni (dal 2008 al 2010 come abbiamo già fatto nelle precedenti puntate), il nostro interesse mette a fuoco alcuni progetti che rappresentano, a nostro avviso, un punto di ulteriore sviluppo della visione Perazza-Magis. Intrigante e forte, al limite dell'avventura', è la famiglia di elementi d'arredo Steelwood dove i fratelli Ronan & Erwan Bouroullec fondono ripiani in lamiera stampata con bastoni di legno usati come traverse di collegamento e montanti. Le sagome scavate e nervate di lamiera di ferro, in parte riempite e rinforzate da bastoni di legno, suggeriscono un senso di assemblaggio proto-industriale, dato da una tecnologia apparentemente semplice e 'povera', che ci rimanda ai racconti di Dickens o Jules Verne. Come non pensare alle tecniche costruttive dei primi piroscafi con grande impiego del ferro (che ci rimandano anche al Nautilus del Capitano Nemo), o alle strutture reticolari in legno e giunti in ferro dei primi aerei a doppia o tripla ala (e qui il pensiero corre subito ai nomi di Farman, Caproni, Blériot ma anche al Barone Rosso, tanto combattuto da Snoopy). Analogo discorso vale per la serie Trattoria di Jasper Morrison dove il tema elementare e senza tempo della sedia "da chiesa" o "da trattoria", costruita con massicci bastoni di faggio a sezione circolare, viene ripreso letteralmente come un puro gesto di redesign, connotando l'archetipica forma con una piacevole e spiazzante nota di colore e di contrasto materiale, realizzando lo schienale e la seduta in policarbonato traslucido. L'effetto è gradevole e forse questo basta; tuttavia, la citazione del piano intrecciato di corda, riprodotto in policarbonato e agganciato alla struttura in faggio, lascia l'impressione di un'ibridazione non del tutto riuscita. Nel senso che quello che è sempre stato un tipo di seduta che ci si aspetta di vedere in rustiche ambientazioni italiane, che nel cinema abbiamo ben presenti in film come Novecento di Bertolucci o L'Albero degli zoccoli di Olmi, viene in questo caso rielaborato per essere un elemento straniante che potrebbe trovarsi in un onirico ed astratto ambiente concepito da Kubrick per 2001: Odissea nello spazio.
Jerszy Seymour, Flux Chair,
della serie “Il filo di Magis”,
2010
Jerszy Seymour, Flux Chair, della serie “Il filo di Magis”, 2010
Rimanendo sempre nel campo della fantascienza d'alto rango, vengono alla mente i geniali libri di Isaac Asimov dedicati al mondo dei robot, leggendo attentamente la curiosa figura da personaggio robotico automatizzato che ispira la sedia da lavoro 360° disegnata da Grcic. Un effetto non dato dalla macchinosità che, spesso, possiedono queste sedute, dove comunque il guscio che accoglie l'essere umano viene molto raffigurato ed esaltato; no, all'opposto qui non c'è macchinosità esibita, il particolare effetto è dato dalla forma quasi irriconoscibile della seduta: la sua sagoma, in un unico pezzo di poliuretano espanso, è composta dall'intersecarsi di tre sezioni, di assi- travi morbide, che si fondono l'una nell'altra. Ne risulta una forma insolita e, per certi versi, autonoma sino ad apparire appunto una figura a sé stante, un automa. Immaginiamo che questa particolare soluzione ergonomica per una seduta di lavoro sia stata a lungo studiata e verificata, ma di tale aspetto alquanto rilevante, non intendiamo trattare in questo livello di lettura, quanto piuttosto siamo interessati a osservare il tentativo affascinante di scrivere un nuovo testo, con un nuovo linguaggio per quella che vuole essere una proposta diversa d'uso degli elementi d'arredo negli spazi del lavoro terziario sempre più dinamico e fluido. Ci piace qui ricordare che Ettore Sottsass nel 1972 aveva già intrapreso questa strada con il sistema Olivetti Synthesis 45. Un altro oggetto sicuramente affascinante è la seduta Spun di Thomas Heatherwick. Il gioco è semplice e complesso allo stesso tempo.

Un oggetto di cui è difficile capire la scala e l'uso si svela come una poltroncina 'rotante'. La sua forma con le sue striature, da una parte, ricorda la fase artigianale di un piccolo manufatto ceramico e, dall'altra, rimanda ad alcuni grandi esercizi artistici, come la testa mussoliniana genialmente interpretata in maniera futurista da Bertelli nell'opera Profilo continuo del 1933, oppure più recentemente le sculture fluide di Tony Cragg o alcune forme implose di Anish Kapoor. Il tema non è del tutto nuovo, ma il segno è netto e ben controllato: un aforisma su cui meditare. Altri progetti in forma di aforismi li troviamo in uno spazio di ricerca molto caro a Perazza, che su questo tema ha iniziato a giocare la sua partita nel design. Il filo di ferro è il tema, e su questo vengono chiamati dei designer emergenti a dare prova di chiarezza progettuale, il tutto in uno spazio chiamato "Il filo di Magis". Jaime Hayon, Jerszy Seymour, Martino Gamper sono i primi tre a impegnarsi in questo esercizio: sarà la chiarezza del tema, insieme alla sensibilità dei tre autori, ma queste prove ci fanno capire che in una sedia si può ancora cercare un'essenza magica e ancestrale dell'uomo con i suoi bisogni e le sue utopie. A saper lavorare nei limiti si può toccare l'assoluto: piccoli pezzi di poesia. La nostra ammirazione, in particolare, va a Martino Gamper. Questi sono alcuni capitoli salienti del racconto Magis, o se vogliamo, alcuni dei testi più significativi della recente ricerca dell'editore Magis. Lo spazio della recensione è limitato, mentre la collezione Magis, anche recente, è molto grande: un bel segno di positività e ottimismo. Le nostre scelte le abbiamo fatte, ma certamente altri pezzi meriterebbero una riflessione critica, che per quanto ci riguarda, con onestà e modestia, cercheremo sempre di dare, quando serve, in senso sia positivo, sia negativo. Giampiero Bosoni
Vigna, la sedia della
serie “Il filo di Magis” disegnata da Martino
Gamper
Vigna, la sedia della serie “Il filo di Magis” disegnata da Martino Gamper
Konstantin
Grcic, 360° Chair, 2009
Konstantin Grcic, 360° Chair, 2009
Versione
in cuoio della Chair First di Stefano
Giovannoni, seduta in polipropilene caricato
di fibra di vetro in air moulding
Versione in cuoio della Chair First di Stefano Giovannoni, seduta in polipropilene caricato di fibra di vetro in air moulding
Vanity Chair di Stefano Giovannoni:
la struttura in policarbonato accoglie il sedile
imbottito, 2008
Vanity Chair di Stefano Giovannoni: la struttura in policarbonato accoglie il sedile imbottito, 2008
Sedia Trattoria, design di
Jasper Morrison, struttura in massello di faggio
naturale, sedile e schienale in policarbonato
Sedia Trattoria, design di Jasper Morrison, struttura in massello di faggio naturale, sedile e schienale in policarbonato

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