Il nostro itinerario è iniziato da Translations, dove un gruppo di laureati del Royal College of Arts presentava opere nuove. Quella che preferiamo è la lampada Flatland di Oscar Diaz, realizzata in Tyvek. Il designer ha sfruttato una tecnica usata per sigillare le buste imbottite: "Mi piace che i bordi si trasformino in qualche modo in struttura", dichiara. Roger Arquer ha presentato un vaso con un elegante quanto utile tubicino che esce dal collo, per sostituire l'acqua dei fiori, e Simon Donald ha aggiunto un particolare utile a un oggetto quotidiano realizzando un contenitore ispirato al portacenere intorno a un temperamatite, per raccogliere gli sfridi.
Donald aveva parecchie buone idee esposte alla mostra "Variability", più avanti nella stessa strada. Il suo bel candeliere Nightlight incorpora su un lato un foro per contenere i fiammiferi e sull'altro una superficie ruvida per accenderli. Al primo piano dello stesso edificio una mostra di opere concettuali sul tema Objects with a Void è stata tra le più gettonate. Particolarmente divertente era Fuzz di Study O Portable. I designer hanno steso strati di resina ceramica colorata intorno a un recipiente di cera per costruire una forma, l'hanno tagliata in due e hanno estratto la cera per creare un contenitore. A parte la forma misteriosamente organica dell'oggetto, l'aspetto migliore sono gli strati di resina colorata a vista. Ci sono piaciuti anche la bella Plate Table di Hiroko Shiratori, fatta di ritagli, e Prisms di Max Lamb: una serie di oggetti con dei vuoti, utili o inutili secondo la fantasia di ciascuno.
Il FoodMarketo della rivista Apartamento faceva un bel po' di fumo (gli organizzatori non hanno messo in conto i problemi legati alla cottura in un sotterraneo privo di ventilazione), ma non per questo abbiamo interrotto la visita. Ci sono piaciuti i sistemi Shelve di Jochem Faudet per coltivare piante sulle finestre (eccellente per chi vive in città), e la lampada di Peter Marigold (fatta con una lampadina, una forchetta e una patata dolce) era di un candore che toccava il cuore.
Più avanti Studio Toogood si era impadronito di un vecchio garage della NCP (la società che gestisce i parcheggi londinesi) per presentare la sua prima collezione di mobili interamente realizzati da artigiani locali con tecniche tradizionali e un'originale collezione di maniglie fatte di materiali di recupero e ossa animali, prodotte come complementi d'architettura da Izé. Anche il Royal College of Art meritava una visita: la scuola ha messo insieme una mostra-mercato dei lavori che spera di poter collocare sul mercato (idea partorita dal nuovo responsabile della scuola Tord Bootje). Era molto interessante vedere alcuni dei pezzi più sperimentali, come gli indumenti Avatar di Marc Owens muoversi sul pavimento del negozio.
E infine non potevamo lasciare questa parte di Londra senza una visita al Victoria and Albert Museum, dove il London Design Festival si è trasferito per tutta la settimana. Stuart Haygart ha realizzato sulla scala un'interessante installazione utilizzando vecchie cornici per quadri. Ma la mostra di Noam Toran e Onkar Kular I Cling to Virtue è stata una delle più apprezzate del festival. La mostra si serve di oggetti fabbricati con sistemi di prototipazione rapida, film e artefatti per raccontare le vicende dei Lövy, un'eccentrica famiglia di origini miste della parte orientale di Londra. Grazie a oggetti che vanno dal banale (un paio di guanti di gomma da cucina) al terrificante (una sonda per l'alimentazione forzata) la coppia racconta parzialmente la sua storia e lascia al visitatore la facoltà di colmarne le lacune. Anna Bates
