È stata una felice intuizione di Carlo
Amadori quella di voler rilanciare l'artigianato
di ispirazione classica dando
vita a una manifestazione di alto livello
sia dal punto di vista della sua identità
culturale sia da quello della sua autenticità
come prodotto. Siamo nel 1984
quando la direzione della Fiera di Verona
si rivolge all'iniziatore di quella
che diventerà una nuova tipologia di
manifestazione, che prenderà il nome
di Abitare il Tempo. La sua prima edizione
è del 1986.
La fiera non è stata solo finalizzata a
sostenere il mercato del mobile, ma
anche ad avvicinare architetti, artisti e
designer ai produttori, per innovare e
riqualificare il concetto di prodotto artigianale
di qualità. Amadori aveva colto
l'occasione – allora favorevole per
via del dibattito in corso intorno al concetto
di postmodernità – di rilanciare
la contaminazione fra classico e contemporaneo,
cercando una formula
che riuscisse a valorizzare una qualità
'intermedia' tra i due. Una tale apertura
era stata possibile grazie ai suoi
rapporti con un gruppo di personalità
romane tra le quali Francesco Moschini,
ma soprattutto Paolo Portoghesi,
che aveva esposto i quadri di Amadori
nella sua Galleria Apollodoro. Con le
loro gallerie, i due teorici e architetti
animavano una ricerca trasversale per
la quale Abitare il Tempo rappresentava
una nuova apertura: quella di mobili
ispirati alle opere pittoriche dei grandi
classici. "Il tempio abitato" (1986) presentava
la ricostruzione del Telerio ripresa da Il sogno di Sant'Orsola (1494)
del Carpaccio, e invitava designer e artigiani
a esprimersi nel cosiddetto "arredo
in stile". Un inizio che avrà una
sua continuità nelle edizioni successive
alla scoperta del mito della riedizione
o, come l'aveva definito Nicola Pagliara,
"il calembour della memoria". Ma
si trattava di riedizioni di un nuovo genere,
da mettere sul mercato, come per
esempio la maestosa seduta ispirata a
I littori portano a Bruto le salme dei figli del
pittore Jacques Louis David (1789).
Gli organizzatori e i loro consulenti
considerano il rinnovamento del mobile
in stile come "un pensiero forte
che non porta alla monotonia e pensano
che i criteri a disposizione lascino
sufficiente spazio alla libertà individuale"
(Amadori). Questa operazione,
condotta con la volontà culturale di riportare
l'artigianato del mobile alla
"gamma alta" attraverso qualità formali
perdute e ritrovate nel design e nell'arte,
si rivelerà ardua ma praticabile.
Sarà un artista-designer di nome Ugo
La Pietra – militante nel gruppo dell'avanguardia
radicale milanese degli
anni Settanta – a segnare profondamente
il decennio seguente. È una figura
che più di ogni altra ha saputo
definire concetti interessanti per il
mondo dell'industria del mobile e dell'artigianato.
Attraverso Abitare il Tempo,
La Pietra ha lanciato il suo concetto
di "fatto ad arte", che egli descrive come
l'idea di un particolare rapporto
tra design e oggetti d'arte in cui rientrano
alcuni comparti di produzione come per l'appunto quello del mobile.
Non bisogna dimenticare, precisa, come
in quel periodo si fosse alla ricerca
di nuovi modelli di comportamento
sempre più desiderosi di mantenere e
recuperare riti antichi da cui deriva,
secondo La Pietra, la necessità di trovare
loro una collocazione fra nuovo e
antico. In occasione del primo convegno
su "Il concetto di classico" (1986),
La Pietra definì tre modelli operativi
per la nuova fiera: il primo si basava
sulla replica fedele di oggetti originali
classici sia dal punto di vista dei processi
tecnologici e dell'utilizzo dei materiali,
sia da quello della manualità. Il
secondo si fondava sulla salvaguardia
del modello originale, adattato alle
nuove esigenze culturali, produttive o
d'uso. Il terzo riguardava gli oggetti
classici le cui nozioni del passato stimolavano
nuove idee utilizzando la memoria
come serbatoio per generare
innovazione.
Il secondo asse introdotto da La Pietra
è quello delle mostre "Progetti e territorio",
che valorizzavano tecniche e
materiali legati a particolari regioni o
luoghi. Le mostre hanno saputo intessere
una maglia che riuniva know-how,
tecniche e conoscenze dei materiali locali,
oltre a stabilire contatti sul piano
nazionale con federazioni e associazioni
artigianali. In seguito, questa trama
veniva riportata su un piano internazionale.
Selezionando artisti, designer
o architetti e proponendo loro una collaborazione
con le imprese artigianali,
Abitare il Tempo ha saputo fornire alle aziende un ottimo servizio di mediazione
e un interessante scambio di
competenze; allo stesso tempo, per un
effetto culturale a ricaduta all'interno
delle stesse aziende, ha consentito di
concentrasi maggiormente su segmenti
di prodotti specifici. Per raggiungere
questo obiettivo, Carlo Amadori ha
perseguito una politica fondata sulla
selezione e sull'alta gamma, non ha affittato
gli spazi espositivi a chiunque
glieli chiedesse: le aziende partecipano
solo su invito o se selezionate, un criterio
base che differenzia Abitare il Tempo
dalle altre fiere.
Sul piano commerciale, sappiamo che
più del 50% della domanda del mercato
è costituito dal "mobile in stile",
un segmento che si è degradato a tal
punto da renderne la riqualificazione
un tema serio. Applicando i criteri di
selezione del "good design" anche al
"mobile in stile", il 'buon' mobile rappresenta
solo il 10% della produzione
ritenuta interessante. E il restante
90%? Si tratta solo di mobili di "cattivo
gusto" da disprezzare? Non se si prende
in considerazione la teoria della
"cultura intermedia" valorizzata da
Abitare il Tempo, che li pone come bene
da rivalutare. La fiera veronese ha
contribuito al riconoscimento di quello
che la critica ufficiale e ortodossa
voleva cassare. È infatti una sorta di
eclettismo, che nasce dalla contaminazione
fra classicismo e contemporaneità,
il carattere che si ritrova lungo il
percorso di Abitare il Tempo. Nella lista
di designer e architetti che hanno partecipato alle sue edizioni figurano
in effetti i nomi più ricercati che operano
nelle tendenze più diverse.
Negli ultimi anni, la fiera ha ospitato
un processo di diffusione culturale sulle
tematiche dell'habitat chiamato "Laboratori
di metaprogetti", destinato a
proporre non solo prototipi ma anche
politiche e situazioni intorno al mondo
della distribuzione e dei mercati. La
crescita della manifestazione – passata
dai quattro padiglioni iniziali agli otto
attuali, raddoppiando la propria superficie
– ha fatto aumentare la partecipazione
di aziende di complementi d'arredo,
ampliando la propria gamma tipologica
fino a comprendere oggetti
legati a tutte le funzioni dell'habitat privato
e collettivo. Si è assistito dunque a
una diluizione delle tematiche e a una
perdità di centralità, dovuta anche al
cambio generazionale e all'adattamento
alle esigenze dei mercati della globalizzazione,
ma anche alla mancanza
di contaminazione del settore con lo
sviluppo tecnologico. Nel corso delle
sue venticinque edizioni, grazie al servizio
di mediazione delle imprese, sono
nati oggetti e mobili che verranno raccolti
e presentati al Museo di Arte Moderna
in fase di costituzione negli spazi
della Fabbrica del Ghiaccio – la cui trasformazione
è stata affidata a Mario
Botta – mettendo ancora più in evidenza
l'importante contributo che Abitare
il Tempo ha portato al settore del mobile,
il suo ruolo e la sua influenza sulla
produzione e sui modi di abitare contemporanei.
Abitare il Tempo
Un intreccio intimo e intrigante fra artigiani, architetti, designer, industriali e artisti. È la formula magica di Abitare il Tempo, l'evento di Verona che quest'anno compie 25 anni.

View Article details
- François Burkhardt
- 18 settembre 2010
- Verona