La fiera non è stata solo finalizzata a sostenere il mercato del mobile, ma anche ad avvicinare architetti, artisti e designer ai produttori, per innovare e riqualificare il concetto di prodotto artigianale di qualità. Amadori aveva colto l'occasione – allora favorevole per via del dibattito in corso intorno al concetto di postmodernità – di rilanciare la contaminazione fra classico e contemporaneo, cercando una formula che riuscisse a valorizzare una qualità 'intermedia' tra i due. Una tale apertura era stata possibile grazie ai suoi rapporti con un gruppo di personalità romane tra le quali Francesco Moschini, ma soprattutto Paolo Portoghesi, che aveva esposto i quadri di Amadori nella sua Galleria Apollodoro. Con le loro gallerie, i due teorici e architetti animavano una ricerca trasversale per la quale Abitare il Tempo rappresentava una nuova apertura: quella di mobili ispirati alle opere pittoriche dei grandi classici. "Il tempio abitato" (1986) presentava la ricostruzione del Telerio ripresa da Il sogno di Sant'Orsola (1494) del Carpaccio, e invitava designer e artigiani a esprimersi nel cosiddetto "arredo in stile". Un inizio che avrà una sua continuità nelle edizioni successive alla scoperta del mito della riedizione o, come l'aveva definito Nicola Pagliara, "il calembour della memoria". Ma si trattava di riedizioni di un nuovo genere, da mettere sul mercato, come per esempio la maestosa seduta ispirata a I littori portano a Bruto le salme dei figli del pittore Jacques Louis David (1789).
Gli organizzatori e i loro consulenti considerano il rinnovamento del mobile in stile come "un pensiero forte che non porta alla monotonia e pensano che i criteri a disposizione lascino sufficiente spazio alla libertà individuale" (Amadori). Questa operazione, condotta con la volontà culturale di riportare l'artigianato del mobile alla "gamma alta" attraverso qualità formali perdute e ritrovate nel design e nell'arte, si rivelerà ardua ma praticabile.
Sarà un artista-designer di nome Ugo La Pietra – militante nel gruppo dell'avanguardia radicale milanese degli anni Settanta – a segnare profondamente il decennio seguente. È una figura che più di ogni altra ha saputo definire concetti interessanti per il mondo dell'industria del mobile e dell'artigianato. Attraverso Abitare il Tempo, La Pietra ha lanciato il suo concetto di "fatto ad arte", che egli descrive come l'idea di un particolare rapporto tra design e oggetti d'arte in cui rientrano alcuni comparti di produzione come per l'appunto quello del mobile. Non bisogna dimenticare, precisa, come in quel periodo si fosse alla ricerca di nuovi modelli di comportamento sempre più desiderosi di mantenere e recuperare riti antichi da cui deriva, secondo La Pietra, la necessità di trovare loro una collocazione fra nuovo e antico. In occasione del primo convegno su "Il concetto di classico" (1986), La Pietra definì tre modelli operativi per la nuova fiera: il primo si basava sulla replica fedele di oggetti originali classici sia dal punto di vista dei processi tecnologici e dell'utilizzo dei materiali, sia da quello della manualità. Il secondo si fondava sulla salvaguardia del modello originale, adattato alle nuove esigenze culturali, produttive o d'uso. Il terzo riguardava gli oggetti classici le cui nozioni del passato stimolavano nuove idee utilizzando la memoria come serbatoio per generare innovazione.
Il secondo asse introdotto da La Pietra è quello delle mostre "Progetti e territorio", che valorizzavano tecniche e materiali legati a particolari regioni o luoghi. Le mostre hanno saputo intessere una maglia che riuniva know-how, tecniche e conoscenze dei materiali locali, oltre a stabilire contatti sul piano nazionale con federazioni e associazioni artigianali. In seguito, questa trama veniva riportata su un piano internazionale. Selezionando artisti, designer o architetti e proponendo loro una collaborazione con le imprese artigianali, Abitare il Tempo ha saputo fornire alle aziende un ottimo servizio di mediazione e un interessante scambio di competenze; allo stesso tempo, per un effetto culturale a ricaduta all'interno delle stesse aziende, ha consentito di concentrasi maggiormente su segmenti di prodotti specifici. Per raggiungere questo obiettivo, Carlo Amadori ha perseguito una politica fondata sulla selezione e sull'alta gamma, non ha affittato gli spazi espositivi a chiunque glieli chiedesse: le aziende partecipano solo su invito o se selezionate, un criterio base che differenzia Abitare il Tempo dalle altre fiere.
Sul piano commerciale, sappiamo che più del 50% della domanda del mercato è costituito dal "mobile in stile", un segmento che si è degradato a tal punto da renderne la riqualificazione un tema serio. Applicando i criteri di selezione del "good design" anche al "mobile in stile", il 'buon' mobile rappresenta solo il 10% della produzione ritenuta interessante. E il restante 90%? Si tratta solo di mobili di "cattivo gusto" da disprezzare? Non se si prende in considerazione la teoria della "cultura intermedia" valorizzata da Abitare il Tempo, che li pone come bene da rivalutare. La fiera veronese ha contribuito al riconoscimento di quello che la critica ufficiale e ortodossa voleva cassare. È infatti una sorta di eclettismo, che nasce dalla contaminazione fra classicismo e contemporaneità, il carattere che si ritrova lungo il percorso di Abitare il Tempo. Nella lista di designer e architetti che hanno partecipato alle sue edizioni figurano in effetti i nomi più ricercati che operano nelle tendenze più diverse.
Negli ultimi anni, la fiera ha ospitato un processo di diffusione culturale sulle tematiche dell'habitat chiamato "Laboratori di metaprogetti", destinato a proporre non solo prototipi ma anche politiche e situazioni intorno al mondo della distribuzione e dei mercati. La crescita della manifestazione – passata dai quattro padiglioni iniziali agli otto attuali, raddoppiando la propria superficie – ha fatto aumentare la partecipazione di aziende di complementi d'arredo, ampliando la propria gamma tipologica fino a comprendere oggetti legati a tutte le funzioni dell'habitat privato e collettivo. Si è assistito dunque a una diluizione delle tematiche e a una perdità di centralità, dovuta anche al cambio generazionale e all'adattamento alle esigenze dei mercati della globalizzazione, ma anche alla mancanza di contaminazione del settore con lo sviluppo tecnologico. Nel corso delle sue venticinque edizioni, grazie al servizio di mediazione delle imprese, sono nati oggetti e mobili che verranno raccolti e presentati al Museo di Arte Moderna in fase di costituzione negli spazi della Fabbrica del Ghiaccio – la cui trasformazione è stata affidata a Mario Botta – mettendo ancora più in evidenza l'importante contributo che Abitare il Tempo ha portato al settore del mobile, il suo ruolo e la sua influenza sulla produzione e sui modi di abitare contemporanei.












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