Tutto questo trapela poco dai principali mezzi di informazione nei Paesi del Nord, dove i ricchi sono stati gli ultimi a essere colpiti. Nei Paesi più industrializzati i costi alimentari rappresentano il 10% della spesa familiare, contro il 30% della Cina. Nell'Africa subsahariana il 60% del reddito familiare viene speso in cibo: la crisi è già acuta. Molte civiltà, dai Sumeri ai Maya, hanno vacillato quando l'entità e la complessità della produzione alimentare resero i guadagni sempre più magri. Nelle fattorie americane dei primi dell'Ottocento, il rapporto fra le calorie bruciate e quelle prodotte sotto forma di cibo era abbastanza equilibrato; oggigiorno ci vogliono sedici calorie per produrre una caloria di carne e l'impatto ecologico di una città moderna può dipendere fino al 40% dai suoi sistemi alimentari.
La maggior parte dei prodotti alimentari lavorati è confezionata e la fabbricazione della confezione (acciaio, alluminio, plastica) rappresenta il 70-80% delle emissioni globali dell'industria alimentare. Una volta confezionato, il prodotto viene in genere acquistato nei supermercati che consumano elettricità per conservarlo, soprattutto in banchi frigo aperti. Anche i negozi di alimentari fanno un consumo dissennato di energia, sette volte maggiore rispetto a quello di un normale uf?cio. Nei negozi alimentari più grandi, un quarto dell'energia viene consumata dall'illuminazione che serve a conferire al cibo un bell'aspetto e non a renderlo buono, mentre il resto è impiegato in buona parte per la refrigerazione. Nei Paesi sviluppati, più del 50% del cibo viene venduto surgelato. Un banco frigo costa al negoziante 20.000 € l'anno solo di energia, senza calcolare la cosiddetta embergy (NdR = embodied energy, ovvero l'energia incorporata) consumata in ogni fase di lavorazione del prodotto.
Quando il cibo viene immesso nell'economia formale e industrializzato, i costi indiretti salgono alle stelle. Una dieta povera e l'inattività fisica rappresentano il 35% (e il dato è in aumento) delle cause evitabili di morte negli Stati Uniti; i soli costi dell'obesità rappresentano il 10% della spesa sanitaria complessiva. In Europa i consumatori "mordi e fuggi" probabilmente non si rendono conto che i panini che mangiano contengono la stessa quantità di sale di sette sacchetti di patatine (si veda: http://news.bbc.co.uk/2/hi/health/ 6266164.stm). Ma il cibo lavorato non ci ostruisce solo le arterie. Due geogra?, Simon Marvin e Will Medd, hanno scoperto che i depositi di grassi degli scarichi domestici e dei fast food provocano un aumento di intasamenti fognari e tracimazioni nelle città americane. Le città diventano grasse, dicono gli esperti, perché i ristoranti e le catene di fast food riversano i grassi della cucina negli scarichi e i governi locali non dispongono delle risorse per controllarne lo smaltimento o applicare le regolamentazioni del caso (vedi: http://www.surf.salford.ac.uk/Events/UrbanVulnerability Abstracts.htm). John Thackara
