Sulla nascita del “vintage”: Bruno Munari commenta un interno di Breuer negli anni ’80

Nel 1984, in veste di critico del design, Munari partiva da una conversazione per raccontare a Domus la nascita di tendenze ed estetiche cui lui stesso aveva partecipato, alla ricerca di una definizione di “gusto”.

Domus 656, dicembre 1984

Se c'è qualcosa che un po' a tutti potrebbe interessare rispetto alle mode o ai fenomeni culturali di massa, quella cosa sarebbe poterne conoscere le origini, poter aprire una finestra sul loro making of invece che doverne solo consumare i risultati, sentendone al massimo qualche racconto retrospettivo già influenzato dal successo o dall’insuccesso. Un’occasione davvero rara, un unicorno della critica che si mostra sulla Domus di Alessandro Mendini nel dicembre 1984 (n. 656): Bruno Munari, ormai monumento vivente della stagione gloriosa del good design italiano, commenta con Rosa Maria Rinaldi gli arredi anni ‘50 scelti per una casa progettata da Marcel Breuer. Nel farlo, ci regala un punto di osservazione irripetibile su di un gusto che all'epoca stava prendendo la forma del “modernariato” — oggi più comunemente vintage — sul perché certi stili si fossero imposti negli anni precedenti, e sul formarsi del concetto stesso di gusto, ormai lontano dalle tassonomie dell'Encyclopédie Française e pronto a consolidarsi come idea di massa.

Domus 656, dicembre 1984
Domus 656, dicembre 1984

Above all it was stylish

Gli anni '50 sono simbolo di un periodo particolarmente creativo, sinonimo di un segno particolare: la linea curva. È abbastanza curioso che oggetti di trent'anni fa siano considerati da collezione.

...Sembrano oggetti vecchi. In realtà è un “antiquariato moderno”. Quali pezzi preferisce? 
...La poltrona a sdraio di Mathsson, poi la lampada di Guariche, poi il telefono progettato da quel famoso svedese. Sicuramente gli arredi di Bertoia, che è stato il primo a fare le sedie in tondino saldato. Quella poltroncina (pag. 38) che potrebbe essere di Eames, ma non credo, ha una struttura, le gambe, completamente slegata dalla scocca... Nel soggiorno c'è un vetro di Murano che potrebbe essere di Barovier e Toso poi ci sono dei tappeti che sono una specie di interpretazione di Mondrian e altri... comunque il pezzo più spurio resta quel carrello: i cassetti con quei bordini e quegli orribili bulloni che si vedono fuori...

Domus 656, dicembre 1984
Domus 656, dicembre 1984

Come esperto di visual design, che ne pensa di queste linee tondeggianti?
Non ho preferenza tra l'angolo retto e la linea curva. Uso tutto quello che c'è nel campionario degli elementi di composizione e cerco di usare quello più appropriato alla funzione. Cerco di operare in modo da uscire dagli stili e dalle mode e dalle datazioni. Anche se ci sono degli oggetti necessariamente datati che si continuano a produrre perché essenziali.

Il suo “segno” è cambiato dal '50 ad oggi?
Non ho un segno che mi contraddistingue, ne ho tanti. Il “segno” è un fatto di tipo commerciale, non un fatto creativo. Con questa voglia di classificare, si tende a datare la linea curva, legandola a quell'epoca. In realtà non è tanto il segno curvo che importa quanto il pensiero che ha generato quella cosa. Altrimenti sarebbe una formula. Per esempio c'è stato un illustratore degli anni '40 che si era prefisso di non usare mai la linea curva per cui quando doveva fare un cerchio faceva tanti piccoli segmenti. Anche se è vero che secondo la geometria il cerchio è un poligono con un numero infinito di lati, la sua scelta gli impediva di fare delle libere curve e perciò si bloccava. Cioè se mi limito ad una scelta, mi impedisco di usare tutto il resto.

Domus 656, dicembre 1984
Domus 656, dicembre 1984

La sua esperienza di partecipante attivo alla progettazione di quegli anni, come glieli fa ricordare?
C'era una esasperazione, in quel periodo, di uno degli elementi compositivi della progettazione: questo ha determinato lo “stile”. Per esempio si era detto: solo angolo retto; allora si erano tirati fuori Mondrian e tutti i pittori del genere, si erano messi tutti i mobili costruiti con l'angolo retto e si era creato uno «stile» basato sull'angolo retto. Succede poi che oltre a quelli che hanno ideato questo “stile”, ci siano stati tutti gli imitatori che hanno realizzato una ampia produzione di questa merce, che ha saturato il mercato. Questo ha creato il desiderio dell'opposto. È quello il momento in cui è nato lo “stile” delle linee curve. Di fatti il razionale seguiva il liberty e il futurismo in fondo non era che un liberty a spigoli invece che a curve. Oggi penso che il problema dello stile non ci sia più.

Domus 656, dicembre 1984
Domus 656, dicembre 1984

E il gusto cos'è?
Il gusto potrebbe essere un'educazione che può avere chiunque, che permette di osservare, capire, conoscere anche gli elementi naturali e poi di scegliere. In natura c'è tutto. In natura noi troviamo tutte le forme. Noi siamo natura.

Cosa pensa del fenomeno di mitizzazione di uno stile o di un'epoca, come quello degli anni '50? 
Da un lato il fenomeno ha un aspetto commerciale: dopo un periodo di decantazione dovrebbero restare solo i prototipi, che diventano veicolo di commercializzazione. Così gli antiquari che sempre più accelerano il passato, che ormai è il nostro ieri, cercano di vendere quegli oggetti che sono ancora nella nostra memoria recente. Il fenomeno si lega allora ad una certa nostalgia. Dall'altro lato c'è invece l'aspetto della reazione ad una saturazione: per esempio il “post-modern” nasce da un eccesso di rigore da geometri i quali hanno ripreso le idee degli autori originali e le hanno pedestremente moltiplicate. Da qui le case tutte uguali e la conseguente noia. È un fatto naturale che nasca poi l'opposto: secondo me, i contadini dipingono le case di rosa e di rosso, perché sono saturi di verde e quindi scelgono un colore che li riequilibra. Questo vale anche per le mode. Ad una moda basata sul giallo, segue quella basata sul viola... Yin, Yang l'antichissimo simbolo che rappresenta l'equilibrio instabile tra forze opposte esiste dappertutto.

Estratto da Mid-Century Modern, by Cara Greenberg, House & Home, New York 1984

“Sulla scena dell'arte c'erano Jackson Pollock e Alexander Calder. Sull'hi-fi, Thelonious Monk e Charlie Parker. Una casa sofisticata dei primi anni '50 conteneva avvolgenti 'womb' di Saarinen rosso fuoco o il tavolino asimmetrico di Isamu Noguchi.

Ho scritto questo libro per riaccreditare la fama degli anni '40 e '50, anni straordinari per gli oggetti d'arredo. È raro vedere una collezione di mobili moderni nel loro contesto originale: Finney Farm è proprio questo, una delle poche case che Marcel Breuer progettò in America. Costruita nel 1953 su una collina che guarda sul fiume Hudson, la casa è lunga, bassa e trasparente, eccetto che per poche luminose superfici colorate. I soffitti in legno di cipresso, i pavimenti in pietra e il camino centrale in laterizio bianco danno calore agli spazi interni. Una casa così deve essere abitata dalla gente adatta, e fu per caso che, quando fu messa in vendita dal suo proprietario originale, Barry Friedman e sua moglie, Patricia Pastor, la comprarono; la casa era l'ambiente perfetto per la grande quantità di mobili — tutti esempi di modernismo anni '50 — che Friedman, mercante d'arte, andava collezionando da anni.

Questi mobili sono un estratto della più bella produzione internazionale del dopoguerra. Oltre ai divani e agli armadi a muro, disegnati da Breuer stesso, ci sono tappeti francesi, lampade italiane, alcuni pezzi scandinavi, e moltissimi mobili americani: Eames, Nelson, Saarinen”.

Articolo a cura di Rosa Maria Rinaldi

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