Bruno Latour

(1947-2022)


Tutti gli editoriali scritti in esclusiva per Domus dal grande filosofo, sociologo e antropologo francese.


Bruno Latour

“Scusa, San Giorgio, quale drago dobbiamo trafiggere?”

La difficoltà della democrazia quando il suo significato non è condiviso globalmente. L’editoriale del novembre 2004, per il numero 875 di Domus.

Strana figura, questo San Giorgio tanto venerato a Venezia – soprattutto nell’isola di San Giorgio Maggiore, dove la Fondazione Cini ha tenuto di recente i suoi ‘dialoghi’. Le leggendarie gesta del santo sono state usate da belligeranti d’ogni tipo, dai cristiani di Cappadocia ai re d’Inghilterra, passando per i dogi di Venezia e i papi cattolici. Il fatto che la sua tomba sia venerata anche dai musulmani – sotto il nome di Al Khadir, “lo schietto” – nella città palestinese di Lod, non gli ha impedito di diventare il simbolo dello “scontro di civiltà” tra Islam e ‘crociati’ cristiani. È dipinto dappertutto nei palazzi veneziani nelle vesti del più grande di tutti gli sterminatori di mori, e come tale compare nel prezioso dipinto del Carpaccio nascosto nella sala papale che si trova nella chiesa costruita dal Palladio: il drago è bellamente fatto fuori; la principessa è salva, i musulmani sono pronti alla conversione.

Ma il pubblico che si è presentato al convegno, lo scorso settembre, ha potuto osservare l’incarnazione più strana della lunga storia di San Giorgio: la grande statua del santo, in cima alla portentosa cupola, era stata colpita da un fulmine…

Il drago era ancora lì, annaspante sotto i piedi del santo; l’ufficiale romano era ancora in armatura completa, ma la lancia con cui trafiggere il nemico era sparita. Che simbolo per il gruppo di studiosi riuniti per discutere dell’“ecologia del buono e del cattivo governo”! In questi tempi di “guerra al terrorismo” il santo stesso era diventato, a causa della furia degli elementi, schietto in maniera disarmante: “Fate attenzione a quale drago scegliete per nemico, anche a voi potrebbe capitare di essere colpiti dalla folgore!”

Domus 875, novembre 2004
Come ha osservato ironicamente Peter Sloterdijk, neppure i soldati americani possono paracadutare un 'parlamento gonfiabile' per offrire ai traumatizzati cittadini iracheni una 'democrazia istantanea'…

Ed è vero che recentemente è diventato sempre più difficile scoprire i veri nemici. Quando eravamo moderni la democrazia non era altro che l’estensione a ognuno del diritto di sedere sotto la vasta cupola formata dal parlamento mondiale di tutti gli illuminati. Un sogno grandioso da ricordare mentre le voci degli oratori risuonavano nel refettorio perfetto, anch’esso opera del Palladio. Ma questo ideale democratico è stato in certo qual modo infranto, oggi che il Mondo non c’è più. Come ha osservato ironicamente Peter Sloterdijk durante il convegno, neppure i soldati americani possono paracadutare un “parlamento gonfiabile” per offrire ai traumatizzati cittadini iracheni una “democrazia istantanea”…

Nelle tre giornate del convegno era come se ognuno degli studiosi invitati – e qualcuno dei rompiscatole non invitati – desse per certo che il pacifico ideale della democrazia non sarebbe stato raggiunto tanto presto né tanto a buon mercato. Insistevano sul fatto che coloro a nome dei quali parlavano – indios amazzonici, antichi saggi cinesi, mullah contemporanei – avrebbero certamente rifiutato di prender posto in un’assemblea prefabbricata. Prima avrebbero voluto riprogettare tutto, compresa la forma della sala e l’intera tecnologia dell’assemblea. Avrebbero potuto contestare perfino lo stesso valore dell’essere riuniti… Essere rappresentati come un popolo solo sotto lo stesso tetto richiede la più inconsueta e la più rara di tutte le ecologie, una cosa fragile e rischiosa come la sopravvivenza in serra di un gran numero di piante esotiche e antagoniste.

Secondo Philippe Descola una vasta fetta di umanità semplicemente si rifiuta di pensare se stessa in termini politici: essere parte di una polis, costituire una società civile, essere una cellula del Grande Leviatano non è un impulso universale che qualche benevola UNESCO possa semplicemente dare per certo. È una peculiarità rara e fragile dei nostri climi. L’atmosfera democratica non è ovvia come l’aria che respiriamo, ma un sistema di aria condizionata attentamente pianificato e artificiale, che porterebbe la maggior parte dei popoli della Terra al soffocamento… Non era proprio una gran partenza per il tentativo di ridefinire che cosa significhi vivere insieme sotto lo stesso tetto!

Copertina Domus 875

Le prospettive della pace non sono migliorate quando François Jullien ha spiegato come i padri del pensiero cinese non avessero mai elaborato i concetti di politica, dissenso, rappresentanza, retorica, contestazione e parlamento! Il punto non è semplicemente l’individuazione delle peculiarità cinesi in una vasta e aperta democrazia mondiale: i cinesi, secondo lui, non vogliono soltanto essere differenti, ma anche restare indifferenti alle modalità del pensiero politico europeo. A questo punto allo sconcertato pubblico non veniva semplicemente chiesto di immaginare un insieme, né tanto meno un insieme di modi di stare insieme, ma un insieme di modi di stare separati… Come si fa a ottenere questa convergenza, si chiedevano? Come si può dotare la democrazia di uno stomaco così forte? E taluni hanno cominciato a rimpiangere che San Giorgio avesse perso il braccio che brandiva la lancia…

Essere rappresentati come un popolo solo sotto lo stesso tetto richiede la più inconsueta e la più rara di tutte le ecologie, una cosa fragile e rischiosa come la sopravvivenza in serra di un gran numero di piante esotiche e antagoniste.

Le prospettive di pace si sono fatte ancor peggiori quando Gilles Kepel ha attirato l’attenzione del pubblico sulle connotazioni peccaminose della parola ‘democrazia’ in molte nazioni belligeranti arabe. Non solo esse non possiedono un’idea autoctona di società civile autonoma, ma perfino i concetti di ‘città’ e di ‘popolo’ formato da ‘cittadini’, nel loro percorso verso la democrazia, sono prodotti stranieri d’importazione. Ciò non significa che questi concetti non possano essere accolti, ma piuttosto che un’assemblea comune non può essere realizzata in tempi brevi. Come riunire in un mondo comune coloro per i quali la parola damakrata suona come un insulto e coloro per i quali essa riassume invece l’ideale più grande, da Pericle a Rawls? Non sarebbe più ragionevole abbandonare la ricerca di un unico mondo comune e permettere che tutti gli sterminatori di draghi riprendessero le armi?

Sarebbe giusto se non fosse per l’isola di San Giorgio, questo miracolo costruito proprio nel mezzo del miracolo di Venezia. Accanto alla chiesa e un piano sotto una mostra sul Tiepolo, la piccola mostra sull’”iconografia del Buono e del Cattivo Governo” offre una soluzione al problema di mettere insieme tanti recalcitranti modi di stare insieme. Si dà il caso che la Serenissima abbia sempre pensato a se stessa, per otto secoli, come all’incarnazione stessa del Buon Governo. Grazie alle opere d’arte esposte in mostra appare chiaro al visitatore che questa antica potenza mondiale era riuscita a tenere vivo un complesso meccanismo di coabitazione la cui tecnologia di flessibilità e resistenza è valida ancor oggi. Sì, naturalmente la democrazia parrebbe impossibile, ma altrettanto impossibile parrebbe Venezia… eppure eccola qui, nel tramonto dorato; e San Giorgio ancora protegge questa fragile realtà, anche senza lancia.

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