5 lezioni da Tadao Ando

Ripercorriamo la carriera dell’architetto giapponese attraverso alcuni estratti presi dagli archivi storici di Domus. Ne ricaviamo alcuni insegnamenti sulla sua coerenza, rigore e determinazione.

Tadao Ando, Museo della Foresta delle Tombe, Kumamoto, 1993. Foto Hiroshi Ueda

È difficile trovare in epoca contemporanea un architetto prolifico e coerente come Tadao Ando. Sono innumerevoli le volte che l’architetto di Osaka è stato pubblicato su Domus: la prima risale al febbraio 1980 (Domus 603), l’ultima è recentissima (Domus 1019, dicembre 2017). La sua carriera è una lezione di rigore e riservatezza. Ogni linea tracciata è dettata dalla ragione e possiede una struttura logica. La sua architettura è semplice, ma frutto della cristallizzazione della complessità e della ricchezza del mondo. È sempre attenta alle condizioni formali e climatiche del luogo, alle tradizioni e alla “coscienza della natura”.

Lo scopo di Ando è “la fusione dell’architettura di numerosi ‘scenari’ tramite l’espressività immediata dei materiali, la semplificazione delle forme e la ricerca di uno stile organico. Adotto sempre il punto di vista più essenziale e quotidiano, cercando di elevare gli spazi quotidiani al livello di spazi simbolici. Cerco di introdurre la natura nell’ordine artificiale dell’uomo, e di creare un luogo dove possano realizzarsi incontri tra esseri umani o tra un essere umano e un oggetto materiale.” Gli spazi disegnati dall’architetto giapponese sono sempre in equilibrio tra astratto e concreto, artificio e natura, mito e ragione, ordinario e simbolico, semplicità e complessità, autonomia e relazione.

Su Domus 712 (gennaio 1990), troviamo una delle sue opere più celebri, la Chiesa della Luce a Ibaraki. L’edificio religioso è una scatola pura di cemento, recisa violentemente da un muro inclinato di 15° e con nessun’apertura se non grande taglio a forma di croce sul prospetto corto che vuole simboleggiare l’incontro tra uomo e la natura. Con questo edificio Ando ci insegna l’uso elementare e raffinato della materia. Gli unici materiali utilizzati sono la luce, il cemento dei muri, il legno grezzo del pavimento e delle panche. “Ho sempre impiegato materiali naturali per le parti dell’edificio che vengono a contatto con le mani o i piedi, perché sono convinto che materiali come il legno o il cemento siano preziosi per l’architettura e che la consapevolezza della qualità vera dell’architettura si raggiunga attraverso il corpo.” La luce diventa brillante solo in uno sfondo molto scuro. La chiesa, come molte delle sue architetture è quindi un “elogio all’ombra” e alla riservatezza.

Tadao Ando, Chiesa della luce, Osaka, 1989. Foto Yoshio Shiratori
Tadao Ando, Chiesa della luce, Osaka, 1989. Foto Yoshio Shiratori

Il Museo d’Arte Contemporanea nell’isola di Naoshima Okayama, in Giappone, è una lezione di sottile armonia tra artificio e natura. Scrive Masao Furuyama: “L’edificio irradia un senso di liberazione. Presenta una potente volontà centrifuga, come se, sciolto dal rigido ordine della geometria, fosse pronto a spiccare il volo all’intorno, nella natura, rincorrendo la libertà. Pareti, terrazze e spianate di pietra naturale, collocate qua e là sul terreno in modo da suscitare efficacemente la coscienza della pace dello scenario, fungono da nodi di forze centrifughe che inscrivono nella natura varie traiettorie dinamiche. Qui l’architettura dialoga con la natura; la geometria è fusa nel paesaggio.”

Adotto sempre il punto di vista più essenziale e quotidiano, cercando di elevare gli spazi quotidiani al livello di spazi simbolici.

Nel numero di luglio-agosto del 1989 (Domus 707), Manolo De Giorgi scrive sui suoi disegni di architettura: “Ando utilizza nei suoi disegni una forma sovrapposta di rappresentazione. L’assonometria sta sopra la sezione che sta sopra la pianta oppure pezzi di prospetto lasciano leggere in filigrana un’assonometria che poi diventerà generale. Così nelle tavole, grazie alla sovrapposizione, l’architettura una scatola che ruota davanti a noi come se fosse un modello di interni perfettamente controllabile. (…) Lezione: perché lo spazio non riservi sorprese bisogna sovrapporre tutto nella tavola e in contemporanea”.

Infine, nell’articolo “La Osaka di Tadao Ando” (Domus 995, ottobre 2015), l’architetto giapponese ripercorre le strade della sua città natale. Guardando le architetture storiche e moderne della città, Ando sente fortemente lo spirito orgoglioso, pragmatico e determinato degli Osaka-jin, gli abitanti di Osaka. È proprio questo spirito che in giovane età lo ha portato a iniziare la sua carriera: “Quando iniziai la mia temeraria carriera senza né un titolo di studio, né una raccomandazione, furono proprio gli abitanti di Osaka i primi a fidarsi di me e a darmi incarichi dicendo: ‘sembra un tipo interessante’. Quindi, per rispondere alle loro aspettative, ho continuato a lavorare febbrilmente e, mentre costruivo la mia attività da architetto, ho sempre riflettuto su come dovrebbe essere la città.” Fin dall’apertura del suo studio nel 1969, Ando ha pensato a proposte concrete per la sua città, anche se non richieste e consapevole della loro difficile realizzazione. “Finché sarò architetto, il mio desiderio sarà quello di impegnarmi nello spazio urbano contemporaneo – l’Osaka di oggi – e di collegare al futuro la storia di questa orgogliosa città, mercantile.”

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