Big spiega la nuova città del Bhutan: modulare, aperta, per un milione di abitanti

Nel regno himalayano un masterplan ambizioso e un nuovo aeroporto mettono alla prova l’idea di sviluppo di un paese fondato sulla felicità. Domus ne ha parlato con Giulia Frittoli e Frederik Lyng, partner dello studio di Bjarke Ingels.

BIG, Gelephu Mindfulness City, Bhutan

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BIG, Gelephu Mindfulness City, Bhutan

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BIG, Gelephu Mindfulness City, Bhutan

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Quando il re del Bhutan Jigme Khesar Namgyel Wangchuck ha deciso di immaginare il futuro del suo Paese, non è partito da una capitale da rinnovare, ma da un territorio agricolo semi-abbandonato ai margini della giungla, al confine con l’India. Qui, nell’area di Gelefu, nascerà la Gelefu Mindfulness City, una zona amministrativa speciale pensata come hub economico e porta d’ingresso internazionale del regno.

“Per quattrocento anni il Bhutan è stato davvero chiuso a qualsiasi influenza esterna”, racconta Giulia Frittoli, partner di Big e responsabile del masterplan urbano e paesaggistico. La chiusura ha preservato lingua, tradizioni e paesaggio, ma oggi si traduce in una forte dipendenza da turismo e idroelettrico e nella migrazione delle generazioni più giovani verso Australia o Canada: “Tutta la nuova generazione sta lasciando il Paese”.

Il nodo del masterplan è giuridico oltre che economico. “Nessuno che non sia bhutanese può possedere nemmeno un pezzo di terra o aprire uno studio in Bhutan”, spiega Frittoli. Per questo il re decide di istituire a Gelefu una special economic zone con un proprio quadro legale per attrarre imprese e talenti dall’estero. “L’idea era creare una città che permettesse al Bhutan di crescere restando fedele ai suoi valori. Per farlo – aggiunge – abbiamo dovuto capire quali fossero davvero questi valori”.

BIG, Mindfulness City, Bhutan. Copyright ©Brick Visual

Il riferimento è la Gross National Happiness, indice introdotto negli anni Settanta come alternativa al Pil. Nel lavoro di Big i suoi principi diventano tre ambiti progettuali – individuo, ambiente, comunità – che guidano il disegno urbano. “Non si trattava solo di disegnare un piano regolatore efficiente”, sintetizza Frittoli, “ma di costruire un ambiente che sostenesse la cura di sé, il rispetto della natura e la vita in comunità”.

Non si trattava solo di disegnare un piano regolatore efficiente, ma di costruire un ambiente che sostenesse la cura di sé, il rispetto della natura e la vita in comunità.

Giulia Frittoli, partner di BIG e responsabile del masterplan urbano e paesaggistico di Gelefu Mindfulness City

La trasformazione del sito parte da un gesto rovesciato rispetto alla pratica corrente: salendo sulla montagna che domina l’area, il team mappa prima fiumi, canali e corridoi ecologici da non toccare. “È diventato evidente che, invece di partire con strade ed edifici, dovevamo disegnare prima le aree che non si devono toccare: i fiumi, l’acqua, i percorsi degli animali che scendono dall’Himalaya verso l’India”, racconta Frittoli. Da questo negativo emerge un sistema di quartieri separati da corsi d’acqua e collegati da tre grandi assi che funzionano anche come ponti abitati; le pianure lungo i fiumi restano campi allagabili e corridoi per la biodiversità. Il costruito occuperà circa il 4% dell’area, il resto rimane paesaggio produttivo e naturale.

Numericamente invece, il Bhutan conta oggi circa 700mila abitanti. Gelefu Mindfulness City è dimensionata per crescere fino a un milione, con una prima fase di circa 100mila persone e uno sviluppo per tappe fino al 2035. “Non sappiamo chi si trasferirà qui, né a che ritmo”, osserva Frittoli. “Per questo abbiamo costruito una struttura molto flessibile, ma allo stesso tempo fortemente pianificata, per ridurre il rischio di errori”. Frederik Lyng, partner di Big e responsabile delle tipologie edilizie e del nuovo aeroporto, insiste su questo carattere organico: “La città può crescere a velocità diverse e il piano è pensato per restare coerente anche se la crescita si fermasse a metà”. Nel definire il costruito, Big parte da un quadro normativo quasi inesistente. “In pratica non c’è codice edilizio, avremmo potuto fare qualsiasi cosa”, ricorda Frittoli. Lo studio sceglie invece di imporsi limiti stringenti: niente grattacieli, altezze tra tre e sei piani per utilizzare quasi esclusivamente legno strutturale e pietra locale, riducendo al minimo cemento armato e acciaio. Questo richiede la creazione, a Gelefu, di una filiera del legno ingegnerizzato. “Per la prima volta il Paese produrrà su larga scala legno strutturale”, spiega Lyng, “e noi li aiutiamo a capire come farlo bene, in una zona sismica e umida”.


Elemento chiave del masterplan è il nuovo Gelephu International Airport, seconda infrastruttura aerea internazionale del Paese. Progettato da Big con Naco, è concepito come una grande struttura modulare in legno lamellare, organizzata in telai indipendenti che possono essere smontati e ricomposti. “Il problema degli aeroporti in crescita è la somma di aggiunte successive, spesso poco coerenti”, osserva Lyng. “Qui la possibilità di espandersi è già incorporata nel sistema strutturale, così l’edificio resta leggibile anche fra decenni”.

Metà del lavoro è nostra, l’altra metà è affidata agli intagliatori e ai pittori delle scuole d’arte, che completano il progetto e se ne assumono l’autorialità.

Frederik Lyng, partner di BIG e responsabile delle tipologie edilizie e del nuovo Gelephu International Airport

Dentro e intorno all’aeroporto il progetto integra una forte dimensione artigianale. Il Bhutan conserva una tradizione di mestieri che va dalla carpenteria alla pittura, ancora molto presente nel paesaggio costruito. “Non consegniamo un edificio finito al 100%”, dice Lyng. “Metà del lavoro è nostra, l’altra metà è affidata agli intagliatori e ai pittori delle scuole d’arte, che completano il progetto e se ne assumono l’autorialità”. La stessa logica si ritrova nelle fasi iniziali del cantiere, quando volontari, membri della famiglia reale e abitanti partecipano alle operazioni di sgombero controllato della vegetazione, mappando gli alberi e trasformando il legno in risorsa per arredi ed elementi non strutturali.

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Nel discorso corrente sull’architettura sostenibile, Gelefu Mindfulness City si colloca su una scala inusuale. Non è il singolo edificio certificato, ma un tentativo di riscrivere allo stesso tempo masterplan, codice edilizio, filiera dei materiali, strumenti finanziari e perfino quadro normativo. “È una città che, pur aprendosi a capitali e imprese globali” conclude Frittoli “resta leggibile come bhutanese e non trasferibile altrove”. 

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