Social Housing Barcelona: un nuovo modello abitativo per gli over 65

Il volume edito da ListLab pubblica le ricerche dell’architetto Francesco Cocco sugli esperimenti di social housing per anziani a Barcellona corredato dalle fotografie di Stefano Ferrando. In un’intervista a Domus, spiegate le scelte che hanno guidato il progetto.

Agire sull’ambiente e sui servizi: questa la profonda convinzione di Francesco Cocco, architetto e consulente urbanista, quando si parla di soluzioni abitative per anziani. A esemplificare il successo di tale approccio sono le esperienze di social housing della città di Barcellona, già riferimento europeo sul tema dell’abitare.

Cocco, un master in residenza sociale presso la Fondazione UPC di Barcellona, ha sviluppato un’estesa ricerca su nuovi modelli abitativi per le persone over 65. Denominate “viviendas dotacionales”, si tratta di alloggi specifici per anziani dalla superficie ridotta, dotati di spazi comunitari e di servizi socio-sanitari, che promuovono la possibilità per i cittadini più anziani di condurre una vita in piena autonomia. Attualmente, a Barcellona, esistono oltre 1.300 soluzioni abitative di questo tipo, come le viviendas Torre Julia, Navas de Tolosa e Reina Amalia analizzate nella ricerca.

Il progetto di Cocco è stato poi pubblicato nel volume Social Housing Barcelona, edito da ListLab, che presenta una selezione degli episodi più significativi di progettazione architettonica con cui la città catalana ha risposto alle esigenze residenziali delle categorie sociali più vulnerabili.

Ad accompagnare gli esiti della ricerca, un reportage fotografico realizzato da Stefano Ferrando, fotografo di architettura presso lo studio Vetroblu e professore allo IED di Cagliari, con immagini che mettono in risalto sia l’indubbia qualità dello spazio architettonico che la fase di utilizzo e gestione di questi edifici.

Approfondendo la tematica in un’intervista per Domus, l’architetto e il fotografo hanno spiegato alcune delle scelte che hanno guidato il loro lavoro.

Perchè Barcellona può essere considerata pioniera di progetti di social housing in Europa?
Francesco Cocco:
In Spagna, Barcellona fa un po’ caso a sè come approccio perchè ha una tensione urbana e una densità di popolazione molto elevata. Questo ha fatto sì che si dovesse ragionare molto sul tema dell’abitare e da questa spinta sono nate le soluzioni più variegate. Poi, da sempre, a Barcellona c’è un grande movimento sociale molto forte, sia per quanto riguarda il tema dell’abitare “digno” (degno) che per il diritto alla casa. Un movimento che ha una storia lunga, con grandi interventi di edilizia popolare e pubblica che hanno portato a soluzioni abitative come quello della Ciutadella / Vila Olimpica riutilizzata per l’abitare sociale. Ci sono poi molti collettivi abitativi che esplorano i modelli nel resto d’Europa e li importano con piani di partecipazione pubblica. È una visione politica che attraversa le varie amministrazioni al di là dei cambi di colore politico.

Il suo progetto di ricerca si è concentrato sul social housing per gli over 65. Come vengono gestite queste realtà?
Francesco Cocco:
I modelli abitativi sono organizzati secondo piani quinquennali gestiti dal comune, mentre la qualità dell’abitare al loro interno dipende da dei concorsi pubblici che selezionano i progetti più interessanti. Da un lato c’è quindi una gestione abitativa di costruzione e manutenzione del progetto, mentre dall’altro ce n’è una di gestione della comunità. Quest’ultima viene affidata a delle cooperative che presentano le loro proposte per servizi di animazione degli spazi comuni degli edifici. Per poter vivere all’interno di uno di questi social housing si fa domanda, ma il tasso di accettazione è elevatissimo.

E quali sono i vantaggi dal punto di vista della sostenibilità economica e di riduzione dei consumi?
Francesco Cocco:
Dal punto di vista della gestione amministrativa, l’indirizzo generale per i progettisti è quello di costruire edifici che abbiano la minor necessità possibile di interventi da parte dell’utente. Quanto meno l’utente mette mano all’edificio e quante più possibilità di rotazione di utilizzo senza manutenzioni esistono, tanto più l’edificio sarà efficiente. Per questa ragione, vengono fatti interventi di efficienza energetica e in alcuni casi si inizia anche a sperimentare la cogenerazione di energia. Dal punto di vista della comunità, il risparmio sta nel fatto che ci si trovi in una condizione abitativa ottimale e con servizi condivisi che permette di fare una vita autonoma e confortevole. La sostenibilità sta quindi sta nel taglio di costi e, al contempo, un salto nella qualità di vita.

Come si è sviluppato il progetto di ricerca prima, e il volume Social Housing Barcelona poi?
Francesco Cocco:
Tutto partì da una ricerca del 2012 sui modelli abitativi specifici per persone giovani e anziane che io ed il collega Raimondo Pibiri realizzammo per la regione Sardegna. Avendo conseguito un master a Barcellona, conoscevamo bene quella realtà quindi la usammo come modello per i nostri studi. Al termine di questa ricerca, il nostro lavoro sul tema del social housing è continuato, anche grazie alla nostra associazione AbitareSociale che si occupa di esplorare modelli abitativi e servizi per persone anziane. Così, quando il professor Massimo Faiferri, coautore del volume, fece partire una collana di libri sul tema, le nostre ricerche furono incluse nel volume dedicato all’abitare sociale di Barcellona.

Il volume è anche corredato da materiale fotografico di Stefano Ferrando. Come è avvenuto il reportage fotografico e quale valore aggiungono le immagini?
Stefano Ferrando:
Sicuramente la fotografia va di pari passo con gli aspetti teorici contenuti nella pubblicazione. La campagna fotografica di questo progetto ha cercato di coprire tutti i macro temi, quali la relazione degli edifici con la città, gli spazi condivisi e quelli privati. Era sicuramente importante valorizzare la qualità architettonica, ma la parte più interessante di questo lavoro è stata mostrare cosa accade all’interno degli edifici. Perciò i tempi sono stati insoliti rispetto a quelli classici del reportage di architettura che generalmente fotografa l’edifico appena costruito. Questa volta, era fondamentale superare la soglia dell’involucro e raccontare quello che succede dentro. È stato interessante documentare il segno dell’utilizzo da parte della comunità creatasi al loro interno. Trattandosi nella maggior parte dei casi di persone anziane e sole, è stato come entrare in un microcosmo molto intimo carico dei loro affetti e memorie. Una delle foto a cui sono più affezionato è quella del corridoio centrale dell’edificio di Torre Julia, dove ci sono una serie di piante allineate e sembra quasi la via di un paesotto. Mi ha colpito il contrasto fra il trovarsi al centro di una città così dinamica come Barcellona e ritrovare delle dinamiche da paese all’interno di questi edifici, dall’inquilina che mette la pianta fuori dalla porta al signore che fa gli esercizi ginnici nel playground esterno.

Mi ha colpito il contrasto fra il trovarsi al centro di una città così dinamica come Barcellona e ritrovare delle dinamiche da paese all’interno di questi edifici.

Ora invece, in tempo di Covid, qual è la situazione all’interno di un social housing over 65? Si sono dimostrati un’alternativa più adatta alle condizioni socio-sanitarie con cui ci si è dovuti confrontare rispetto alle case di cura tradizionali?
Francesco Cocco:
Nonostante questi edifici siano caratterizzati da spazi comuni, gli alloggi minimi per i condomini sono appartamenti privati a tutti gli effetti. Sono per una o due persone e hanno una superficie media fra i 45 e 50mq. I residenti hanno accesso a una serie di servizi ma questi non includono la sanitarizzazione e ciò fa una grande differenza con le case di cura o le residenze per anziani in Italia. È questo che ha fatto sì che tali strutture non siano diventati focolai di contagio durante la pandemia: le varie residenze sono rimaste isolate, hanno interrotto le attività comunitarie e hanno fatto regolarmente la quarantena. Questa è esattamente la direzione verso cui si dovrebbe andare.

Questo si collega al concetto di “invecchiamento attivo” spesso promosso nelle sue ricerche. Di che si tratta?
Francesco Cocco:
L’invecchiamento attivo è un concetto che viene dall’Organizzazione Mondiale della Salute e non è altro che offrire parità di opportunità alle persone anziane. Si dovrebbe capire che le persone anziane non vanno collegate solo alla disabilità o alla limitazione funzionale. L’idea che stiano vivendo una fase residuale della loro vita è uno stereotipo molto datato e lontano dalla loro realtà. Piuttosto che preoccuparsi di tenere gli anziani continuamente monitorati e accuditi, quello su cui bisognerebbe agire invece sono l’ambiente e i servizi offerti in forma di piccole assistenze, quando servono e quando richieste. Gli edifici presi in considerazione in questo progetto sono sempre strategicamente inseriti all’interno di una rete di servizi pubblici limitrofi che rispondono proprio a queste esigenze. Ciò crea anche l’effetto domino del potenziamento dei servizi di quartiere avviando un dialogo con il distretto cittadino che è molto interessante e benefico per l’intera città.

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