Come progettare le infrastrutture della città-territorio del futuro?

Le metropoli sono cambiate e con loro anche le condizioni di progettazione del territorio urbano: ne parliamo con Paola Viganò, Lina Ghotmeh, Nicolas Swetchine e Ubaldo Occhinegro.

Illustrazione Alessandra Scandella

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1058, giugno 2021.

Ubaldo Occhinegro:
assessore all’Urbanistica e all’innovazione del Comune di Taranto
Paola Viganò:
urbanista e docente
Lina Ghotmeh:
architetta
Nicolas Swetchine:
head of Infrastructure Markets at LafargeHolcim

Paola Viganò: La città si è radicalmente trasformata nelle ultime decadi e, in questo senso, è diventata un paesaggio ibrido. È una città-territorio e, di conseguenza, le sue infrastrutture hanno assunto una scala territoriale: dal sistema di gestione delle acque alla mobilità, non assomigliano più a quelle del XIX secolo. Proprio questa loro complessità rende sempre più difficile comprenderne la stratificazione e riconoscerne le logiche implicite. Questo determina nuove condizioni per il progetto architettonico e urbano, poiché significa lavorare con qualcosa di parzialmente obsoleto e contraddittorio, che non si conosce a fondo e che ha generato nuove ecologie. 

Lina Ghotmeh: È vero, l’architettura dialoga principalmente con il terreno e con le infrastrutture che nasconde. Queste esprimono il modo in cui noi siamo interconnessi e usiamo gli spazi. Vale lo stesso per l’uso e la produzione di energia. È evidente che l’umanità stia consumando l’ambiente attraverso un rapporto estrattivo, invece di interagire con esso in modo simbiotico. Progettando la riqualificazione del quartiere Maine- Montparnasse a Parigi con RSHP e il paesaggista Michel Desvigne, ci siamo resi conto che la nostra idea di realizzare una foresta urbana era una sfida, proprio perché la città non ha più la profondità necessaria di terreno per la crescita di alberi ad alto fusto. Lo spazio era occupato dalle infrastrutture nascoste, limitando ciò che potevamo fare, cosa che succede spesso in architettura. Penso che oggi abbiamo bisogno di rendere visibili queste infrastrutture per produrne di più ecosistemiche e sostenibili. 

Illustrazione Alessandra Scandella
Illustrazione Alessandra Scandella

Nicolas Swetchine: I piani di recupero messi in atto in tutto il mondo ci dicono che abbiamo un’opportunità unica di investire in infrastrutture verdi. Le persone vogliono migliorare le città in cui vivono, creare posti di lavoro e costruire in modo sostenibile. Le infrastrutture urbane sono complesse perché devono soddisfare esigenze multifunzionali come sistemi di trasporto efficienti, infrastrutture energetiche, utilizzo degli spazi; allo stesso tempo, devono piacere alle persone che vivono in queste aree. Oggi, un quarto di tutti i materiali da costruzione e utilizzato per le infrastrutture: è quindi fondamentale sviluppare questi progetti in modo sostenibile.

Paola Viganò: Ci sono tanti modi per essere sostenibili, ma il dibattito sulle diverse visioni non sta avvenendo, nonostante sia urgente. Se la nostra fosse una prospettiva, per esempio, di decrescita, le infrastrutture da progettare sarebbero diverse da quelle ispirate dai principi del cradle-to-cradle. È urgente un dibattito etico-politico per orientare queste decisioni: non basta più semplicemente dire che vogliamo essere sostenibili. 

È urgente un dibattito etico-politico per orientare queste decisioni: non basta più semplicemente dire che vogliamo essere sostenibili.

Ubaldo Occhinegro: Con il piano strategico di Ecosistema Taranto, abbiamo guardato alla città come laboratorio di sperimentazione sulla resilienza, seguendo gli obiettivi dell’Agenda Urbana 2030 dell’ONU. Questa è la prospettiva per trasformare Taranto da città postindustriale a sostenibile. Pur essendo una città media per l’Italia, ha caratteri precisi: è un arcipelago di isole e penisole, è stata capitale della Magna Grecia e ha una storia di contaminazioni culturali. È però anche sede dell’acciaieria più grande d’Europa, fra le industrie più inquinanti d’Italia. Il Piano vuole renderla epicentro economico e culturale del Mediterraneo, puntando su grandi obiettivi come i XX Giochi del Mediterraneo del 2026, attraverso importanti investimenti infrastrutturali e di rigenerazione urbana. 

Illustrazione Alessandra Scandella
Illustrazione Alessandra Scandella

Nicolas Swetchine: Dovremmo anche considerare quello che accade sulle coste, poiché la conservazione degli habitat marini è una questione globale urgente. È possibile usare materiali nuovi per tutelare la biodiversità marina. Abbiamo, per esempio, creato scogliere artificiali per sostenere l’ecosistema marino, sviluppando un cemento bioattivo avanzato su cui le alghe crescono quattro volte più velocemente rispetto al cemento standard. Marsiglia sta attualmente sperimentando questo materiale per le sue infrastrutture costiere. È solo un esempio che offre una visione delle nostre soluzioni sostenibili per costruire meglio. La scelta dei materiali e degli approcci utilizzati in fase di progettazione può dare un enorme contributo per rendere le infrastrutture più sostenibili. 

Lina Ghotmeh: Il ruolo delle infrastrutture è quello di permettere alla vita di svolgersi, però spesso generano anche divisioni geografico-sociali. Non abbiamo bisogno di costruire una nuova unica grande infrastruttura, ma dobbiamo invece ripensare lo spazio e dare nuovi servizi ai cittadini senza ulteriore consumo di suolo, preservando ciò che è essenziale anche in termini ecologici. 

...dobbiamo invece ripensare lo spazio e dare nuovi servizi ai cittadini senza ulteriore consumo di suolo, preservando ciò che è essenziale anche in termini ecologici.

Ubaldo Occhinegro: Come amministrazione, stiamo lavorando sulle diverse parti di città simultaneamente, in modo ecosistemico, partendo dalle infrastrutture, in stretta relazione con l’ambiente. Dal punto di vista della mobilità, il PUMS – Piano Urbano della Mobilita Sostenibile – mira ad abbattere il traffico veicolare del 50 per cento in dieci anni. Il Piano Isola Madre si concentra sulla città vecchia, fino a qualche anno fa quasi disabitata. Qui, con il progetto CASA +, Il gruppo multidisciplinare Kcity ha lavorato sul social housing come motore della trasformazione. In periferia, invece, stiamo attuando il Piano di Ambientalizzazione e Bonifica del quartiere Tamburi, confinante con l’ex Ilva. A questi progetti stanno partecipando grandi nomi: il nuovo Palazzo della Cultura e di Mario Cucinella Architects, Foresta Urbana Tamburi e di Land, mentre StudioSilva sta lavorando sullo spazio pubblico. La riforestazione riguarda tutta la città: con Green Belt Taranto prevediamo di piantare 1 milione di alberi. Sui principali waterfront abbiamo studio MAS con Peluffo & Partners Architecture e Guendalina Salimei. Ciò che avverrà nei prossimi anni cambierà la storia di Taranto per riabilitarla dal punto di vista infrastrutturale, economico, ambientale e sociale. 

Paola Viganò: Sono convinta, infatti, che per realizzare la transizione ecologica sarà necessario adattare, anche in profondità, il nostro sistema economico, sociale e produttivo. Per questo dovremmo preoccuparci dell’ingiustizia che è implicita nello spazio, come ricordava Bernardo Secchi ne La città dei ricchi e la città dei poveri. Con la visione per la Grande Ginevra, la riflessione sul “progetto della transizione” si appoggia alle strutture territoriali deboli generando un’infrastruttura multifunzionale fatta sì di acqua e foreste, ma anche di servizi ecologici e sociali. Il suo spazio è il banco di prova per un’economia sociale e solidale.

Immagine di apertura: illustrazione Francesca Bazzurro

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