Dobbiamo ripensare come abitiamo le coste. In che modo?

Con l’erosione delle coste che procede a ritmi spietati, si fa sempre più stringente la necessità di trovare un nuovo equilibrio tra natura e gli insediamenti abitativi nelle zone costiere.

Chalmette Refinery, St. Bernard Parish, Louisiana. Foto: Virginia Hanusik.

Vi ricordate di quella cartolina un po’ kitsch, dalle tinte Technicolor, che per anni è stata appesa al frigo della cucina della casa dei vostri nonni? Saluti da Venezia recitava, mentre una gondola basculava nell’acqua alta di piazza San Marco domata da virgulti uomini dai volti mid-century in folkloristici cappelli di paglia. Tempo un paio di generazioni e quella cartolina potrebbe risultare ancora più datata di oggi, e non per i mutamenti estetici dei gondolieri. 

Già entro 50 anni, dicono gli esperti, Venezia potrebbe ritrovarsi completamente sommersa dalle acque, destino condiviso da molte altre aree costiere in tutto il mondo. I due terzi delle principali città mondiali, ospitanti il 60% della popolazione globale ed alcuni dei principali distretti economici, si ergono in aree costiere. Si pensi, per esempio, a come l’85% degli australiani vivano entro 50km dal mare.

Il futuro del rapporto tra insediamenti umani ed ambiente è, dunque, un dialogo che necessita di dinamiche più organiche. In discussione sono soprattutto quelle zone in cui, negli ultimi 150 anni circa, gli insediamenti costieri si sono intensificati per rispondere alle necessità dell’indotto turistico. C’è dunque da domandarsi fino a che punto le rivendicazioni di questa industria possano trovare un dialogo con la tutela delle coste.

In Tunisia, dove la costruzione di resort costieri risale già agli anni ’80 del 1800, il mare divora le spiagge ad un ritmo di più di tre metri l’anno, per un totale equivalente a oltre cinque campi da calcio negli ultimi 130 anni, stando a studi recentemente compiuti da un pool di ricercatori delle università di Tunis-Carthage, di Tunis-El Manar e della Southern California.

I due terzi della popolazione mondiale vive in prossimità di superfici acquatiche, ne sono un esempio gli insediamenti umani nel bacino di Atchafalaya nei pressi di Henderson, Louisiana. Foto: Virginia Hanusik.
I due terzi della popolazione mondiale vive in prossimità di superfici acquatiche, ne sono un esempio gli insediamenti umani nel bacino di Atchafalaya nei pressi di Henderson, Louisiana. Foto: Virginia Hanusik.

Economie locali e sussistenza

La collaborazione tra istituti tunisini e californiani mette in luce la natura globale dell’allarme erosione e, soprattutto, come il turismo non sia la sola preoccupante con-causa. Ad essere in discussione, oltre agli insediamenti turistici, sono anche comunità storiche che hanno fondato la propria sussistenza sull’industria ittica e su commerci navali. La costa ovest degli Stati Uniti grazie ad un clima analogo a quello del Golfo di Hammamet ha potuto sviluppare negli anni un esteso indotto economico nelle aree di Malibù e Miami, le quali devono la loro fortuna anche al fatto che negli ultimi 100 anni il Pacifico è stato clemente, con un livello di innalzamento delle acque inferiore al mezzo metro. Il trend, però, potrebbe presto invertirsi, portando la costa ovest a essere sommersa dalle acque entro fine secolo. Questa è la problematica che già si trova a fronteggiare New Orleans, dove l’equivalente di un campo da calcio di terra emersa viene perduta ogni ora e mezza.

Se ripensare il turismo è una sfida complicata, ancor meno facile è capire come sarà possibile coniugare aree costiere, introiti e salvaguardia. Per esempio, in Kenya le aree costiere generano il 60% del PIL, tra turismo (45%) e commercio marittimo (15%). Un pattern analogo è riscontrabile, oltre che nelle già citate coste statunitensi, anche in Sri Lanka ed in Cina, dove lo sviluppo economico sregolato è tra le cause che stanno contribuendo ad un aumento vertiginoso dell’erosione. Il vasto territorio cinese, di per sé già sottoposto a movimenti di tettoniche e a impervi fenomeni climatici, ha conosciuto un aumento nella pericolosità di uragani ed alluvioni a causa del surriscaldamento globale, accelerato dalla forsennata industrializzazione del paese.

Gli scenari cinesi, d’altronde, sono quelli a cui si assiste con crescente regolarità nel resto del mondo, dove le precipitazioni si stanno progressivamente trasformando in potenziali minacce nei confronti degli insediamenti umani. Si pensi, per esempio, a ciò che è recentemente successo a Camogli, dove un cimitero è franato in mare in seguito allo sbriciolamento della scogliera su cui si ergeva.

A tal proposito, Pier Carlo Sandei, responsabile ONU per il cambiamento climatico, la natura e l'energia presso l’Unione Europea, sottolinea l’urgenza di ripensare al nostro rapporto con la natura, suggerendo la necessità di ridurre l’impatto antropologico.  “Quando un corso d’acqua esonda, dobbiamo chiederci se la colpa sia nostra o del fiume. Oggi accettiamo meno che in passato le interferenze naturali sulla nostra civiltà,” spiega Sandei, “Piuttosto dobbiamo imparare a vivere in maggiore armonia con l’ambiente.” 

Non solo esondazioni e frane causano danni materiali, ma la progressiva contaminazione di corsi di acqua dolce da parte delle acque marittime rischia di creare ulteriori minacce microplastiche.di inquinamento da microplastica.

La Lousiana è uno degli stati americani in cui le comunità locali sono maggiormente colpite dal fenomeno dell'erosione e delle inondazioni. La fotografia Virginia Hanusik si dedica da anni a documentare questo fenomeno socio-economico. Foto: Virginia Hanusik.
La Lousiana è uno degli stati americani in cui le comunità locali sono maggiormente colpite dall'erosione. La fotografa Virginia Hanusik si dedica da anni a documentare questo fenomeno socio-economico. Foto: Virginia Hanusik.

L’uomo e la violenza strutturale

Il fenomeno ci porta, dunque, a riflettere sul concetto di volenza strutturale e di quanto ancora esso possa essere compatibile con le superfici su cui viene esercitato. Serve ancora costruire su aree indebolite facendo di un certo egoismo speculativo lo scudo alle proprie azioni, soprattutto in assenza di una precisa regolamentazione economia in materia? 

Se in passato chi speculava sull’edilizia costiera poteva mancare di una certa lungimiranza per via della scarsa popolarità dell’ecologia profonda al di fuori di ristrette nicchie accademiche, oggi la popolarità del discorso sembra investire i cittadini di una rinnovata sensibilità. Le tematiche care a Extinction Rebellion – giusto per citare la punta più pop di un ben più articolato iceberg – potrebbero contribuire ad una più matura presa di coscienza sul tema.

A tal proposito, oggi risulta più attuale che mai il principio responsabilità, teoria etica coniata da Hans Jonas nell’omonimo saggio del 1979.  Il Principio Responsabilità – al fine di tutelare la presenza umana sulla Terra – urge l’uomo a prendere atto delle proprie azioni in rapporto al loro impatto sul pianeta. L’impegno ecologista invocato da Jonas risulta, dunque, fortemente rilevante in quanto trasversale alle condizioni sociali ed economiche degli individui. Su un piano pragmatico, infatti, le comunità costiere si trovano sospese tra stringenti pressioni di natura finanziaria e visioni etiche a lungo termine.  

A questo proposito Sandei spiega come questi due elementi non debbano necessariamente escludersi a vicenda. “L’investimento a cui l’uomo deve pensare non è solo per le generazioni future, ma anche per sé stesso. Sia aree storiche che meno, le tecnologie a disposizione sono state erroneamente utilizzate per interessi umani e non naturali. Il problema emerge quando non si contano i costi nascosti, ma ci si focalizza solo sul risvolto economico immediato. È come guardare al dito e non alla luna. È opportuno tenere conto di tutti i costi ambientali e sociali e, dopodiché, trarre le conclusioni più appropriate.”

L'inquinamento delle acque dolci è un altro fenomeno che incide sul rapporto tra insediamenti umani e ambiente. Bayou Bienvenue, Lower 9th Ward, New Orleans. Foto: Virginia Hanusik.
L'inquinamento delle acque dolci è un altro fenomeno che incide sul rapporto tra insediamenti umani e ambiente. Bayou Bienvenue, Lower 9th Ward, New Orleans. Foto: Virginia Hanusik.

Può la lungimiranza rappresentare una soluzione?

Julian Feng e Alvin Li – curatori di un recente progetto che coniuga land art e scienza riguardo al tema della riappropriazione delle terre lungo la costa di Hong Kong – sostengono che Terraformation, l’innovativo sistema che agendo sul clima contrasta l’erosione, sia una soluzione esclusivamente temporanea, la cui marcata natura antropologica fallisce nell’affrontare il problema in questione nel rispetto a lungo termine dell’ambiente. Analogamente, lo stesso problema di natura tanto etica quanto pragmatica era sorto in seguito all’impiego dell’inseminazione delle nuvole in Sardegna al fine di incrementare la piovosità nella regione. Questo intervento di natura umana fu però responsabile, a causa di venti non previsti, di inaspettate e dannose precipitazioni sulle coste nord africane.

D’altronde la sfida lanciata dall’erosione costiera ha una natura subdola, perché si tratta di giocare con il tempo a disposizione, procrastinando prima e rallentando sulla distanza un processo che è stato alimentato forsennatamente. La miopia di certe soluzioni temporanee, poi, rischia di aggravare ulteriormente la già precaria situazione. Per esempio, le dighe pensate per arginare potenziali fenomeni naturali distruttivi sono responsabili di un’ulteriore alterazione del deposito di detriti, con conseguente aumento dei fenomeni di erosione e dell’impatto sulla biodiversità.

Come ribadisce Sandei, “imporre la propria mano sulla natura non è una soluzione, ma solamente una toppa”. Analogamente, pensare di muovere le popolazioni verso l’entroterra inciderebbe sulle già critiche condizioni di sovraffollamento del pianeta.  

Le risposte più sensibili sembrano, dunque, quelle che prevedono un progressivo rimodellamento dei tessuti socio-economici costieri sul lungo termine, con il ripensamento di molte mete turistiche come Venezia. “La città va vissuta piuttosto che sfruttata. Si pensi a Venezia, per esempio. Riportare cittadini in pianta stabile può tutelare l’ambiente, perché il carico urbanistico è minore rispetto a quello indotto dai turisti. Inoltre, da parte di dei cittadini ci sarebbe più attenzione a salvaguardare il proprio ambiente.”

La visione di strutture abbandonate a ridosso di zone costiere potrebbe diventare una visione sempre più frequente in un futuro prossimo. Fort Proctor, St. Bernard Parish, Louisiana. Foto: Virginia Hanusik.
Strutture abbandonate a ridosso di zone costiere potrebbero diventare un panorama sempre più frequente in un futuro prossimo. Fort Proctor, St. Bernard Parish, Louisiana. Foto: Virginia Hanusik.

Salvaguardare il domani delle comunità costiere, dunque, non comporta necessariamente rinunciare all’evoluzione sociale ed economica, quanto prepararsi a guardare al futuro con maggiore lungimiranza. I cittadini di oggi, ancor più di quelli del domani, si trovano di fronte alla sfida rappresentata dal dover sensibilizzare le proprie coscienze a discapito della materialità dell’immediato. Fino a che punto, però, può essere sufficiente la sola sensibilizzazione in quella che risulta come una battaglia tutt’altro che archiviata?

Dopotutto, il ritmo forsennato a cui la nostra società avanza ci ha forse resi incapaci di comprendere, e di conseguenza accettare, che la natura possa fare il suo corso secondo i propri ritmi. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che le coste sono destinate a evolvere, così come il fatto che siano segnate visivamente sulle mappe non deve suggerirne la loro immutabilità nel tempo. Si pensi a come aree oggi considerate storicamente appartenenti all'entroterra – o, vicversa, mete costiere – in diversi casi non lo erano nell'antichità. 

Immagine di apertura: Chalmette Refinery, St. Bernard Parish, Louisiana. Foto: Virginia Hanusik. 

Virginia Hanusik è una fotografia il cui lavoro esplora il rapporto tra architettura e cambiamento climatico. I suoi progetti sono stati esposti a livello internazionale e supportati dal Pulitzer Centre, dalla Graham Foundation, e dalla Mellon Foundation. Vive a New Orleans. Potete trovate i lavori di Virginia su Instagram @ginnyhanusik e Twitter @virginiahanusik.

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