Candyman apre le porte al gentrification-horror

Tipico esempio dell’afrosurrealismo moderno, fondato sul corpo afroamericano e la maniera in cui è abitato e agito sempre da qualcos’altro, il film scritto da Jordan Peele ha nel mirino l’industria dell’arte.

Sono i palazzi che creano i mostri. I palazzi che aprono Candyman, film che riprende le fila dell’omonimo uscito nel 1992 e che apre il genere gentrification-horror, una storia di mostri che compaiono e uccidono per vendicare i demoni della riqualificazione urbana. Si tratta di palazzi alti, grandi, nuovi e pieni di appartamenti altoborghesi che hanno sostituito quelli originali di Cabrini Green, vero quartiere di Chicago, per quasi tutto il ‘900 sinonimo di degrado, criminalità e ghetto afroamericano, e a fine anni ‘90 gradualmente colonizzati dagli artisti, riqualificato e oggi quasi irriconoscibile. Ai margini di quei palazzi ci sono ancora gli abitanti originali, progressivamente cacciati ancora più lontano dai prezzi aumentati e dall’aggressività dei compratori. Storia vera che nel film ne genera una di fantasia.

C’è Jordan Peele, genio dell’umorismo televisivo prima e regista dall’esordio pazzesco poi (Get Out - Scappa è il suo primo film, Noi il secondo) dietro questo film. Peele gira e scrive storie dell’orrore in cui il tema è sempre come si sta trasformando il razzismo nella società americana, quali sono le nuove forme di relazione impari tra bianchi e neri. Questa volta ha solo scritto il film mentre la regia, pulitissima, patinata ma anche consapevole di essere al lavoro su un horror classico è di Nia DaCosta. Candyman infatti riprende un vecchio genere, lo slasher anni ‘90 in stile Nightmare con una presenza demoniaca sovrannaturale che minaccia e compie una serie di omicidi. Nel primo film il mostro era il frutto di crimini bianchi passati, è oggi il frutto dello sfruttamento dell’arte e della creatività afroamericana. Sempre in quei palazzi lì di Cabrini Green, su quelle macerie sfruttamenti nuovi vengono eretti su sfruttamenti vecchi.

Cabrini Green nel momento peggiore della sua storia, gli anni ‘70 e ‘80, ha ospitato 15.000 persone, era un complesso di case popolari in cui il crimine era diventato padrone e che nessuno era in grado di ripulire. Addirittura nel 1981 il sindaco di Chicago Jane Byrne si trasferì a vivere a Cabrini Green come mossa per guadagnare consensi ma ci rimase solo tre settimane. Lungo gli anni ‘90 il progressivo sfruttamento delle aree circostanti e il relativo basso prezzo dei terreni del quartiere hanno spinto investitori a comprare, abbattere e ricostruire, attirando il tipo di abitanti che più di tutti unisce scarsa disponibilità economica a bisogno di aree riqualificate: gli artisti.

Still frame dal film Candyman
Still frame dal film.

Sono artisti infatti i protagonisti del film, afroamericani che come sempre nei film di Jordan Peele sono benestanti. Lei gallerista, lui pittore al lavoro su arte che parla dei problemi degli afroamericani ma pagata da bianchi che sono contentissimi di finanziare opere politiche perché vendono tantissimo. E quando arrivano i primi morti a Cabrini Green i quadri del protagonista schizzano. È puro afrosurrealismo, la corrente artistica nata negli anni ‘30 ma rifiorita al cinema negli ultimissimi anni (grazie proprio a Jordan Peele ma anche a film come Sorry To Bother You o Queen & Slim) che sfrutta situazioni surreali, cioè fantastiche, per raccontare la posizione degli afroamericani. In questo caso il commercio d’arte è il quadro degli eventi.

È puro afrosurrealismo, la corrente artistica nata negli anni ‘30 ma rifiorita al cinema negli ultimissimi anni (...) che sfrutta situazioni surreali, cioè fantastiche, per raccontare la posizione degli afroamericani.

Il primo omicidio di Candyman avviene infatti in una galleria d’arte e il protagonista, posseduto dal demone con un gancio al posto della mano e il volto sfigurato, sfoga tutto in una produzione pittorica furiosa che porta la sua compagna gallerista ad essere ammessa nella cerchia dei grandi galleristi bianchi non per quello che lei è, ma perché possono sfruttare il richiamo di un nome afroamericano. Così mentre Candyman possiede, i bianchi sfruttano, fino a che tutto questo non si rivolterà contro di loro. Perché nell’afrosurrealismo cinematografico contemporaneo tutto passa per il corpo nero, il corpo degli afroamericani che è bramato dai bianchi in Get Out, è duplicato in Noi, è una voce che deve essere camuffata da bianco in Sorry To Bother You e di nuovo qui è posseduto da un demone. C’è sempre qualcun altro o qualcos’altro che agisce al loro posto.

Still frame dal film Candyman
Still frame dal film.

Del resto i romanzi afrosurrealisti più importanti non trattavano temi troppo diversi. Uomo invisibile di Ralph Waldo Ellison negli anni ‘50 raccontava di un afromaericano che attraverso situazioni paradossali iniziava a vivere come un bianco. Amatissima di Toni Morrison invece negli anni ‘80 tramite una casa di fantasmi raccontava di una schiava liberata. Case, corpi, neri che diventano bianchi o bianchi che possiedono corpi neri. Candyman, che nonostante tutto ciò è comunque un film di paura con tanto sangue e scene di tensione, incastra la situazione nel contesto del commercio d’arte, nelle installazioni e tramite un protagonista artista che crea una serie di opere proprio per “portare attenzione” alla storia delle oppressioni di Cabrini Green, critica con grande ironia come l’afroamericano vada di moda.

E del resto Jordan Peele stesso va di moda, viene litigato dalle produzioni più importante proprio per la maniera in cui crea storie che raccontano il tema che tutti oggi vogliono commercializzare: la necessità di una maggiore diversità nella società, la riscossa nera, la diversità come elemento di forza. In questo senso l’elemento di grande modernità e intelligenza di Candyman sta in come mostri che l’arte stessa è lo strumento dell’oppressione. Quello che sembra un punto di arrivo in sé (essere artisti apprezzati) è solo un’altra forma di controllo dall’esterno. Solo un altro modo per la società di far lavorare gli afroamericani per un profitto che non rimane a loro.

La vera oppressione è traslata nella produzione artistica, perché per Jordan Peele il razzismo moderno sta nello sfruttamento di quello che gli afroamericani sanno fare. “Ai bianchi piace quello che facciamo, non piacciamo noi” verrà detto ad un certo punto. E così sono le architetture fatiscenti che a Cabrini Green rimangono del vecchio quartiere ad aver marginalizzato quell’area e averla resa un luogo in cui potevano i terribili eventi che hanno creato il mostro Candyman (un flashback tutto animato lo racconta benissimo). Sono le architetture moderne che Nia DaCosta inquadra al contrario con scelta raffinata dentro nubi urbane, ad aver scansato la parte povera della comunità afroamericana per fare strada ad una nuova, fatta di artisti. Sono le gallerie d’arte il termometro della presenza dei pionieri della riqualificazione, gli artisti. E infine sono i quadri la forma di delirio del protagonista.

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