Boccaccio, storico e profeta

Testimone oculare della peste che colpì Firenze nel 1348, ci racconta attraverso le parole del Decameron la vita a quel tempo, mentre i pittori dell’800 la rievocano tra sentimentalismi e spensieratezza.

Giovanni Boccaccio nel Decameron ci rivela che la “mortifera pestilenza” iniziò in Oriente, dove uccise un’enorme quantità di persone, prima di estendere gradualmente la sua “miserabile mano” sull’Occidente. “Contro questa piaga tutta la saggezza e la lungimiranza umana erano vane. Fu dato l’ordine di ripulire la città dalla sporcizia, era vietato l’ingresso a qualsiasi persona malata, si davano molti consigli per mantenersi in salute(…) Eppure, all’inizio della primavera dell’anno in cui comparve, si evidenziarono i suoi orribili effetti”.

Nel 1348, un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, decidono di fuggire da Firenze, ritirandosi in una villa in campagna per via della peste nera. Trascorreranno lì dieci giorni, raccontandosi delle novelle per ingannare il tempo.

Una perfetta istantanea di oggi, quella presentata dal Boccaccio, senza abiti con doppiopetti ricamati e drappeggi, in cui la quarantena era l’unica giusta risposta, l’unico modo per difendersi, e allora, come oggi, “il malato la comunicava al sano... proprio come un fuoco cattura qualcosa di secco o oleoso che gli si avvicina (..) il fratello abbandonava il fratello, e lo zio suo nipote, e la sorella suo fratello e molto spesso la moglie suo marito”.

Da ieri ad oggi, dal Medioevo alla contemporaneità, troviamo molteplici rappresentazioni pittoriche di un’opera considerata capostipite della letteratura in prosa del volgare italiano che esercitò una grande influenza sulle opere di molti altri autori, come Geoffrey Chaucer nei suoi Canterbury Tales.

John William Waterhouse, Una novella dal Decamerone, 1916

Nella prima metà dell’Ottocento, il pittore tedesco Franz Xaver Winterhalter, artista di corte del re Luigi Filippo I, dipinse una scena del Decameron. Sette donne e tre uomini raffigurati in un locus amoenus, tutti piacevolmente attenti alla novella raccontata dal re, o in questo caso regina eletta, nel giorno in cui spetta dettare il tema.

Sguardi languidi e per nulla preoccupati di ciò che intorno a loro accade, spensierati, divertiti, con fiori tra le mani, in un’esatta ricostruzione narrativa: “andavano in giro portando fiori o erbe o profumi nelle loro mani, nella convinzione che il male potesse essere scacciato da forti effluvi; e che comunque fosse una cosa eccellente confortare il cervello con tali odori”. Sullo sfondo, in lontananza, al centro dell’opera, si riconosce dalle architetture la città di Firenze: la cupola del Brunelleschi, postuma rispetto al Decameron, ma necessaria, è inserita come elemento fantastico che riconduce ai capricci dei grandi artisti del Grand Tour, l’Arno appena accennato, che, inserito nella scena in maniera esatta, colloca la villa dei giovani protagonisti, più o meno sulle colline a sud del centro storico, appena sopra l’attuale piazzale Michelangelo, progettato poco dopo la realizzazione del dipinto. Il palazzo sulla sinistra, la villa in cui probabilmente soggiornavano i dieci, riproduce fedelmente lo stile e l’architettura del tempo.

Poco più tardi del Winterhalter, un gruppo di pittori affascinati dall’amor cortese, dalle tragedie shakespeariane e dalle opere di Dante Alighieri, chiamati Preraffaelitti, che avevano come obiettivo quello di riportare in vita i costumi di un passato immaginario e nostalgico, produssero varie opere, tra le quali alcune con scene del Decameron. Il più illustre tra loro fu John William Whaterhouse, che nel 1918 dipinse “Un racconto dal Decamerone”. La scena è sempre ambientata in un locus amopenus, un giardino elegante, ricco di fiori, alberi da frutto e fontane. I personaggi questa volta sono nove, di cui due, una coppia, viene ritratta in disparte, forse perchè impegnata, come suggerisce il Boccaccio nella sua opera, in atteggiamenti amorosi. I soggetti sono vestiti con gli abiti del tempo, i due liuti medievali sono perfettamente rappresentati come quelli dell’epoca, mentre le acconciature femminili rimangono fedeli alla pittura preraffaellita.

La scena si legge da destra verso sinistra: due uomini intrattengono il gruppo delle fanciulle, le prime, quelle più vicine ai due, sembrano più attente, emozionate, mentre l’ultima sembra completamente assorta nei suoi pensieri, opposta alla prima del gruppo, che par quasi essere annoiata e stanca, forse dai troppi giorni d’isolamento. Nei dipinti il cavaliere non combatte più per Cristo, ma, attraverso il sentimentalismo, quello della sensualità, per la sua dama che sostituisce la Croce, spostando quindi il tema del racconto pittorico da storico a sentimentale, dimenticando completamente l’attualità del tempo dove guerre, guerriglie e invasioni avevano portato una serie continua di devastazioni: i paesi e le città venivano saccheggiati, distrutti da incendi, spesso rasi al suolo, mentre i superstiti della peste optavano per diverse abitazioni, più grandi, più confortevoli e “Le colture di grano rimasero abbandonate, non raggiunte e non raccolte” portando l’economia ad un crollo totale.

L’incessante e continuo ripetersi degli eventi, la teoria dei corsi e ricorsi storici, immagini poetiche che riproducono gli attributi topici dell’esperienza. Ieri come oggi, dove la letteratura e la pittura prendono il posto di sibilline figure.

Immagine di apertura: Franz Xaver Winterhalter, Il Decameron, 1837

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