Malick Sidibé e la dolce vita di Bamako

La retrospettiva che la Fondation Cartier di Parigi dedica al fotografo maliano Malick Sidibé è una magnifica immersione nella sua ricerca di rara vitalità che, pur con leggerezza e godevolissimi soggetti, racconta il mancato sogno di uguaglianza di un Paese.

Malick Sidibé Nuit de Noël, 1963. © Malick Sidibé

Da tempo, la Fondation Cartier per l’arte contemporanea ha tessuto con gli artisti del continente africano una relazione molto stretta organizzando tante mostre importanti sulla vitalità della scena artistica, soprattutto sub-sahariana. Tra queste, “Beauté Congo” ha generato una vera e propria moda e una serie di tentativi d’imitazione. Malick Sidibé (1936-2016) è uno degli artisti che la fondazione parigina ha sempre sostenuto con maggiore convinzione, a cominciare dalla sua prima personale nel 1995. Il lavoro curatoriale di André Magnin gli regala ora visibilità sulla scena globale del contemporaneo e rende questa retrospettiva imprescindibile.

La qualità del materiale esposto è eccellente: quasi 300 fotografie con meravigliose tirature d’epoca e formati inediti tracciano la genealogia di uno stile marcato che è divenuto, assieme a quello del suo compatriota Seydou Keyta, una firma indelebile, riconoscibile e apprezzata.

“Mali Twist”, sottotitolo della mostra, si apre con una magnifica immersione nello studio di Sidibé, qui ricostruito e reso accessibile al pubblico. Chiunque potrà postare un’immagine del suo passaggio con l’hashtag #studiomalick, e completarlo con i decori e gli accessori forniti. È una musica per occhi e orecchie (grazie allo splendido soundtrack dell’esposizione, in streaming anche su Deezer); è un sogno di contatto con l’atmosfera della dolce vita nella capitale del Mali, Bamako.

Intagliata dall’artista ghanese Paa Joe nel legno, la Rolleiflex di Sidibé riprende il gusto per le sculture funerarie della regione e ci riconnette alla complessità del contesto africano. Con l’ascensione al potere del Comitato di Liberazione nazionale di Moussa Traoré nel 1968, la vita notturna maliana fu praticamente spazzata via. La nuova costituzione del 1974 e l’ascesa al potere del partito unico forzeranno Malick Sidibé a tornare al lavoro in studio come ritrattista, quella cioè che fu la sua attività iniziale, segnando la fine dei suoi reportage che restano come traccia indelebile del sogno politico di uguaglianza di un Paese. Il suo lavoro è stato molto più di una boccata d’ossigeno per la società civile, che continuerà a essere vittima di una casta militare divisa e corrotta.

Pur nella leggerezza e nei godibilissimi soggetti, la sua resta una fotografia decisamente politica. L’attrazione fatale per le serate nei club, dove domina la musica afro-cubana, lo swing e lo spirito pop di musicisti come Boubacar Traoré, negli scatti del fotografo diventa un vero manifesto di liberazione per l’adolescenza inquieta dell’Africa moderna. Ci sono momenti preziosissimi d’intimità tra giovani e la capacità di cogliere l’istante magico in cui i corpi sono, nel loro equilibrio simmetrico, le icone di una libertà assoluta contro l’imposizione di ogni potere tribale o coloniale. Malick Sidibé è il complice e il narratore di un intero Paese a cui regala le sue inquadrature come fossero un’arma segreta. I suoi scatti proiettano il contenuto profondo di un mondo che è in sussulto, il glamour è l’arsenale di una generazione sulla quale il controllo politico e religioso si accrescerà enormemente negli anni a venire. Ne è un esempio l’iconica foto Christmas Eve (1963) all’Happy Club. Inserendola tra i 100 scatti più importanti di tutti i tempi, il settimanale Time Magazine ne decretò il passaggio alla posterità. È qualcosa di più di una danza innocente e leggera di una coppia di fratelli.

Probabilmente, ci s’incammina su una traiettoria che lo avvicina all’altro gigante della fotografia africana Seydou Keyta, di una quindicina di anni più anziano. C’è in catalogo un bellissimo episodio che racconta il primo incontro di André Magnin con la fotografia di Malick Sidibé, quando effettuava le ricerche per la collezione di Jean Pigozzi, oggi imprescindibile per conoscere l’arte contemporanea africana. Magnin arriva a Bamako nel 1992 con tre fotografie della mostra “African Explorers”, tenutasi al Center for Africa Art di New York. La didascalia recitava: “1950 sconosciuto fotografo africano”. Sarà proprio Malick Sidibé a porre fine all’aura di anonimato: “Sono di Seydou Keyta, ha lo studio a Bamako-Coura, continua a lavorare lì (…) l’ho conosciuto al suo matrimonio”, spiega Sidibé. “È arrivato con una Simca Versailles e mi ha molto colpito”. L’episodio è curioso e, in qualche modo, assomiglia alla circolarità dei miti fondatori di alcune cosmogonie tribali: Jean Pigozzi è non solo uno dei più importanti collezionisti d’arte africana del mondo, ma anche l’erede del fondatore della casa automobilistica francese Simca.

Sorridiamo, mentre possiamo finalmente condividere lo sguardo e il potere seduttivo della fotografia africana. André Magnin e Jean Pigozzi hanno amplificato il successo di Malick Sidibé. E noi ci auguriamo che questa retrospettiva gli regali la medesima visibilità offerta a Seydou Keita, celebrato al Grand Palais la scorsa primavera.

© riproduzione riservata

Titolo mostra:
Malick Sidibé Mali Twist
Date di apertura:
20 ottobre 2017 – 25 febbraio 2018
Curatori:
André Magnin con Brigitte Ollier
Sede:
Fondation Cartier pour l’art contemporain
Indirizzo:
261, boulevard Raspail, Parigi

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