Puddle, pothole, portal

Lo SculptureCenter del Queens, ristrutturato dallo studio Andrew Berman Architect, riapre con una collettiva di opere sulla portentosa logica dei cartoni animati.

Sabato 27 settembre ha segnato la fine di una pluridecennale tradizione di sabato mattina americani, in cui le reti televisive, per catturare l’ambita attenzione di giovani consumatori in erba, trasmettevano cartoni animati per sei ore di fila a beneficio di bambini in pigiama con la bocca piena di cereali.

E solo pochi giorni dopo, come a celebrare questo trapasso, si è aperta a New York, allo SculptureCenter di Long Island di recente ristrutturato, una mostra collettiva che analizza la portentosa logica dei cartoni animati, intitolata Puddle, pothole, portal. La mostra, a cura di Ruba Katrib con la collaborazione artistica di Camille Henrot, riunisce venti artisti per inaugurare la ristrutturazione dell’edificio portata a termine dallo studio Andrew Berman Architect.

In apertura: Il nuovo ingresso dello SculptureCenter ristrutturato da Andrew Berman Architect. Photo Michael Moran. Qui sopra: Puddle, pothole, portal, veduta della mostra, SculptureCenter 2014. Photo Jason Mandella

Il titolo della mostra – che suona all’incirca “Pozza, cavità, portale” – stabilisce uno specifico quadro di riferimento spaziale. I cartoni animati spesso sovvertono la logica spaziale per creare situazioni umoristiche e suscitare reazioni empatiche, rendendo più digeribili i concetti del mondo reale attraverso la loro parodia ambientata in un distorto paesaggio immaginario. I personaggi di queste storie talvolta scoprono un passaggio verso un altro mondo in cui questa scena immaginaria è allestita: un meccanismo comune a varie opere di letteratura per l’infanzia anche prima dell’avvento dell’animazione, come la tana del coniglio in Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, del 1865, o più tardi nel romanzo di Clive Staples Lewis Le cronache di Narnia, del 1950, in cui i protagonisti passano in un’altra dimensione attraverso un armadio. Nel 1938 la Warner Brothers produsse un cortometraggio a cartoni animati oggi classico, con la regia di Robert Clampett, intitolato Porky in Wackyland. Nel film Porky Pig cerca di catturare l’immaginario volatile Do-Do a Wackyland (“Stranilandia”), dove si è accolti da un’insegna che proclama “Qui può accadere!” e il raro uccello apre porte e finestre nello spazio vuoto per sfuggire all’inseguitore.

Puddle, pothole, portal, veduta della mostra, SculptureCenter 2014. Photo Jason Mandella

Puddle, pothole, portal, analizza il senso delle possibilità aperte, o ancor meglio la fenomenologia dell’impulso o del suggerimento di trasferirsi in questo mondo. I curatori trovano una cartina di tornasole in Saul Steinberg, del quale cinque opere su carta e una scultura occupano una sala d’angolo al primo piano. Queste opere mostrano come l’artista giocasse con dispositivi scenografici contraddittori per creare paesaggi destabilizzati che sfidano le nozioni di profondità e di superficie, integrandovi in realtà proprietà multidimensionali.

Al di là della più tradizionale installazione della sala dedicata a Steinberg i curatori uniscono con intelligenza l’occasione della ristrutturazione e della nuova inaugurazione del museo alla concezione di spiazzamento spaziale e culturale suggerita dalle opere degli artisti in mostra. In un tale programma euristico i visitatori dello spazio di oggi e di ieri si affidano alle opere come a punti di riferimento per riorientarsi, in parte a motivo della loro collocazione in angoli nascosti oppure in punti su cui si può perfino inciampare. L’ottantaseienne SculptureCenter si è trasferito in questa ex officina di riparazioni meccaniche del quartiere newyorchese del Queens nel 2001. La ristrutturazione di Andrew Berman aggiunge ulteriori 700 metri quadrati allo spazio, insieme con un più diretto ingresso ufficiale e con un’elegante zona di accoglienza.

Puddle, pothole, portal, la stanza dedicata a Steinberg, SculptureCenter 2014. Photo Jason Mandella

Al primo piano le opere di Win McCarthy creano un vincolo quanto mai empatico tra i visitatori e l’edificio. Due sculture cave sommariamente modellate in fil di ferro e plastilina fuoriescono dalle alte pareti di mattoni. Lo spettatore si sente indotto a spiare in queste misteriose cavità e, quando lo fa, vi scorge il riflesso di trasparenti ‘pozze’ modellate all’interno. Le sculture di McCarthy sembrano conglomerati della malta del muro e, in un caso, il contenitore cavo è collocato appena sotto la traccia di un’antica macchia che serpeggia sul muro, facendo pensare a una qualche funzione segreta di cui potrebbe essere dotato. Lì accanto il gioco semiotico più immediato di Judith Hopf comprende un’impraticabile ‘porta’ di plexiglass trasparente a grandezza naturale, con la maniglia disegnata. I visitatori devono invece attraversare l’infrastruttura incompiuta del muro, emettendo nel farlo esclamazioni da cartone animato. I disegni complicati e ipnotici di Teresa Burga analizzano sommessamente il territorio interiore del suo corpo, familiare ed estraneo al tempo stesso, come in una dittatura patriarcale. Il mondo di Jordan Wolfson possiede un po’ più di candore, i suoi collage di immagini compongono un sordido personaggio alla Peter Pan verbosamente presuntuoso, da adesivi per auto, accanto a immagini digitali di cellule ematiche che scatenano un velenoso senso di isterico pericolo.

Puddle, pothole, portal, veduta della mostra, SculptureCenter 2014. Photo Jason Mandella

Lo scantinato ampio, grezzo, cavernoso dello SculptureCenter ha bassi soffitti a volta con ambienti che sembrano celle, con pompe e impianti a vista, e alcove dove si scoprono condotte elettriche in ceramica fuori uso che sporgono dalle pareti. Passeggiando in questa labirintica sezione del museo ci si sente in armonia con l’etica di scoperta e di trasposizione articolata dalla mostra, benché a volte appaia un po’ stipata. L’installazione Gone Forever, Ever Present (“Scomparso per sempre, sempre presente”) sembra al posto giusto, fatta com’è di strutture robotiche di frammenti spettrali rumorosamente rotanti e finti teschi che sembrano tolti al più vicino negozio di travestimenti da Halloween, illuminati dal roteare di luci da discoteca. Se in un primo momento ci si sente un po’ turbati, subito dopo viene da ridere: questo è il potere dei cartoni animati.

Puddle, pothole, portal, veduta della mostra, SculptureCenter 2014. Photo Jason Mandella

Puddle, pothole, portal appare una mostra coerente con la nuova inaugurazione dello SculptureCenter, anche perché, tra l’altro, rappresenta una sfida allo stile di vita e alla mentalità deterministica in cui per lo meno parecchi newyorchesi vivono, sia nella vita quotidiana sia con i loro apparati elettronici. Poco è lasciato al caso, di questi tempi, e se i cartoni animati del sabato mattina non riescono a ricordarcelo, può essere d’aiuto una visita allo SculptureCenter.

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Puddle, pothole, portal, veduta della mostra, SculptureCenter 2014. Photo Jason Mandella
Puddle, pothole, portal, veduta della mostra, SculptureCenter 2014. Photo Jason Mandella
The SculptureCenter, la ristrutturazione di Andrew Berman Architect
The SculptureCenter, la ristrutturazione di Andrew Berman Architect


fino al 25 gennaio 2015
Puddle, pothole, portal
a cura di: Ruba Katrib, Camille Henrot
SculptureCenter
44-19 Purves Street
Long Island City, NY