Micol Assaël

Curata da Andrea Lissoni, la mostra di Assaël all'HangarBicocca di Milano propone quattro opere tra le più importanti e una nuova produzione, disposte con l’armonia di un arrangiamento ben intonato.

È un nome molto fantasioso, ILIOKATAKINIOMUMASTILOPSARODIMAKOPIOTITA.
Indecifrabile come il rovescio di un ricamo e allegro come uno scioglilingua per bambini o un tintinnio di monetine, è il titolo scelto da Micol Assaël per la sua personale all’HangarBicocca, e sembra non avere alcun significato, se non quello di disegnare i contorni di un privatissimo paesaggio mentale, animato da voci, stanze, umori, climi. È tutto quel che si può dire.
In apertura e qui sopra: Micol Assaël, Sub, 2014. Installazione. Vetro, ferro, generatore Kelvin (acqua, plastica, conduttori, lavandino), 360 x 465 x 520 cm. Courtesy Micol Assaël e Fondazione HangarBicocca, Milano
Micol Assaël ha un debole per la natura, non in generale, ma in particolare, con tutto l’ignoto e l’inatteso che porta con sé. Non manca di gusto per l’avventura scientifica, ma sa anche che la scienza non ha piani regolatori, avanza a sobbalzi e singulti, vacillando, offrendo sempre all’uomo qualche nuova possibilità di errore. Non ha appetito che per l’imprevisto, e come un pilota avvezzo alla corsa non si cura molto dei freni, né degli specchietti retrovisori. Il suo volto ha una sincera umanità, i suoi occhi senza fondo scrutano senza sosta il mondo circostante, e non è una posa il suo desiderio di isolamento; la sua insularità è anzi naturale. Durante gli ultimi dieci anni è stata corteggiata da direttori di musei di mezzo mondo, prendendo parte a due edizioni della Biennale di Venezia (2003, 2005), alla Biennale di Berlino (2006), alla Biennale di Sydney (2008) e alla Biennale di San Paolo (2008), oltre a diverse dozzine di esposizioni personali e collettive. Dopo aver vissuto in Russia, in Germania, in Italia e in Islanda, da qualche anno si è trasferita in un’isola della Grecia, per starsene tranquilla, come dicono, a lavorare e fare il miele.
Micol Assaël, Sub, 2014. Installazione. Vetro, ferro, generatore Kelvin (acqua, plastica, conduttori, lavandino), 360 x 465 x 520 cm. Courtesy Micol Assaël e Fondazione HangarBicocca, Milano
Questa mostra all’HangarBicocca è stata messa assieme con la massima cura, e la disposizione delle opere recuperate dal setaccio delle sabbie – quattro tra i lavori più importanti esposti dall’artista fra il 2003 e il 2009 (la cella frigorifera di Vorkuta, 2003; la stanza dei venti di Senza Titolo, 2003; l’ufficio-container di Mindfall, 2004-2007; e l’arnia di 432Hz, 2009), oltre a una nuova produzione realizzata con i materiali forniti dal Polo Industriale Pirelli di Settimo Torinese e dai laboratori chimici di Milano (Sub, 2014) – ha l’esattezza e l’armonia di un arrangiamento ben intonato. Se chiudo gli occhi e me la figuro vedo un paesaggio sotto sale, inconoscibile, con una certa patina pittoresca. Metterci piede è come salire su una passerella d’imbarco: si è presi dallo stesso senso di esaltante sospensione. “Provate solo a sintonizzarvi”, suggerisce con voce cadenzata il curatore Andrea Lissoni, mentre accompagna i visitatori nella prua del museo – il cosiddetto spazio Shed, un tempo destinato alla produzione di componenti per locomotive e macchine agricole – tutto come in stato di sonnambulismo. Qui, va da sé, conta avere più antenne che radici.
Micol Assaël, 432Hz, 2009–2014. Installazione. Legno, cera d’api, miele, impianto elettrico, audio, 330 x 475 x 575 cm. Courtesy Micol Assaël, Museo MADRE e Fondazione HangarBicocca, Milano
Avanzando secondo il capriccio, s’incontrano ambienti che hanno l’architettura esangue di rifugi evacuati e inselvatichiti, dal palpito spossato e sfinito, come la molla di un orologio allentata. L’atmosfera è immobile, pure tutto intorno vi è un senso di movimento sottile, sfuggente, segreto. Un mondo al tramonto, o in letargia, dove l’assenza dell’uomo dà la stessa sensazione di una dieta priva di sale e zucchero. Vorkuta è un Artide in lattina, un iceberg di ricordi scandito da un leggero batter di denti. Qui fa più freddo che in fondo a un pozzo, e bastano pochi minuti perché il naso si congeli e caschi dalla faccia. Il ronzio nevrastenico del frigidaire si protrae incessante per l’intero giro del quadrante, e un sedile dell’amore, ancora tiepido, dà a immaginare che un radiotecnico dalle spalle ricurve se ne sia appena stato tranquillamente seduto a osservare le spie luminose del quadro elettrico ammiccare verde e rosso come occhi di semaforo, con un chihuahua tutto brividi acciambellato sulle ginocchia.
Micol Assaël, Sub, 2014. Installazione. Vetro, ferro, generatore Kelvin (acqua, plastica, conduttori, lavandino), 360 x 465 x 520 cm. Courtesy Micol Assaël e Fondazione HangarBicocca, Milano
Sub è una curiosità: assomiglia a un enorme acquario sperimentale delle ultime manie, cresciuto come la muffa del pane dall’opera Inner Disorder (1999-2001), di cui ha rimestolato con dovizia organica teche ed espositori. Qui tutti aspettano. Immobili come statue, elettrizzati fino alle dita dei piedi. Consapevoli dell’attenzione che le circonda, gocce dense come latte cagliato piovono dall’alto con la cadenza di un singhiozzo all’interno di due vasche d’acqua fermentata. Tutto ciò ha a che fare con il generatore elettrostatico di Lord Kelvin e con certe cariche contenute nell’acqua che, come due amanti, si attraggono e respingono fino a che una scintilla blu non si ricama nell’aria. Un’apparizione rapida come il volo di un colibrì, che dà però continuamente occasione di dar sfogo a gridolini di eccitata soddisfazione.
Micol Assaël, 432Hz, 2009–2014. Installazione. Legno, cera d’api, miele, impianto elettrico, audio, 330 x 475 x 575 cm. Courtesy Micol Assaël, Museo MADRE e Fondazione HangarBicocca, Milano
Senza Titolo è l’inferno scatenato. Tutta la stanza rintrona per il vento, e non vi è modo di entrarvi se non afferrandosi saldamente il cappello, e con la testa china in avanti, come una talpa che stia scavando una galleria cieca. Dentro è tutto uno sciabolare di correnti d’aria che artigliano le gambe e sbatacchiano quel che trovano, anche se non vi è nulla di questa mobilia da centro spionistico – un armadio, un letto, un tavolo – cui la bufera più collerica possa recare danno. Gomitoli di cavi elettrici color pomodoro corrono lungo le pareti come venature di felci fossili, sollevando un fascio di scintille che sfrigolano e si sfrangiano a terra, rutilanti come fuochi d’artificio in miniatura, e questo pare suscitare in talune persone un deciso senso di disagio, se non d’inquietudine.
Micol Assaël, vista dell’installazione in HangarBicocca, 2014. Photo Agostino Osio

Rumorosa come un’officina, Mindfall fluttua nei fumi della nafta e nell’odore di cavi elettrici abbrustoliti. C’è in questa stanza di vetri affumicati e ventilatori stanchi un’atmosfera pigra che attrae: i toni pallidi da gelato e le prese di corrente dipinte di rosso mettono una nota di colore alle nude pareti sbucciate, mentre un coro di motori elettrici, appollaiati come poiane intossicate, intona un moresco lamento, lento e sincopato. Nella stanza successiva, sintonizzata sulla frequenza di 432 Hertz, c’è un odore tutto diverso. A dare il “la” perfetto, un profumo dolce di miele di palude aleggia nell’aria come un tulle, una bruma. Voci di api selvatiche appena nate ronzano e ondeggiano in larghe spirali per quanto è lunga la giornata, stabilendo con il turbinio delle loro corde una vibrazione che tutto pervade. Effigi di cera strutte dal caldo e illuminate come torce friggono sulle molli pareti di rovere biondo, e come una falena notturna attratta dalla luce vivida di una lampadina elettrica, ecco comparire un’immagine che imbriglia la fantasia. Una visione elettrizzante, che fa impennare sui piedi: l’isola greca di Astipalea, contro il cui sabbioso profilo a farfalla s’infrange il mare dell’Egeo, e sulle cui morbide colline gli alveari di Micol Assaël sbocciano come viole del pensiero.

 


Fino al 4 maggio 2014
Micol Assaël ILIOKATAKINIOMUMASTILOPSARODIMAKOPIOTITA
HangarBicocca
via Chiese 2, Milano

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