Maurizio Bortolotti: Ci incontriamo
qui a Parigi a casa di Yona Friedman
per parlare della collaborazione tra
Yona e Tomás Saraceno per sviluppare
un nuovo progetto e una mostra da
allestire al Cabaret Voltaire, che curerò
con Adrian Notz. Cominciamo la
discussione affrontando il tema del
cambiamento climatico, una delle
principali problematiche che incidono
oggi sulla nostra vita, ma anche un
terreno fondamentale per la vostra
collaborazione.
Yona Friedman: Ho già pubblicato
alcuni lavori sul cambiamento climatico.
Il più recente è molto divertente
perché è scritto sotto forma di pseudo-
intervista con il mio cane e il mio
gatto che dicono, per esempio: "Voi
umani fate tutto nel modo più stupido
possibile perché volete adattare il
mondo a voi stessi, mentre invece noi
ci adattiamo al mondo". Siamo riusciti
a convivere coi mutamenti climatici
per migliaia di anni. Perché ora no?
La cosa più semplice è lasciare che
accadano. Il problema deve solo essere
compreso politicamente. Sul piano
tecnico, perché mai non dovremmo
seguire i cambiamenti climatici? Per
esempio con delle migrazioni di massa,
se necessario. Non credo si tratti di
un'idea tanto ambiziosa. Il modo in
cui alimentiamo noi stessi e il nostro
stile di vita è la vera ragione del cambiamento
climatico. Lasciamo allora
che il mondo si sviluppi a modo suo e
cambiamo invece le nostre vite.
Tomás Saraceno: Mi piace pensare
che il cambiamento climatico sia in
relazione con le strategie di sopravvivenza
del mondo della natura: ibernazione,
riproduzione, mutazione…
Penso che noi umani dovremmo essere
considerati parte del mondo della
natura e che potremmo aiutarci tra di
noi a cambiare il clima predominante
che consiste in un atteggiamento
pessimistico di ibernazione. Spegnere
semplicemente la lampadina e andare
a dormire non aiuterà molto; penso
invece che la lampadina dell'immaginazione
dovrebbe rimanere sempre
più accesa… Così forse potremmo far
diventare il clima più immaginifico,
farlo muovere verso futuri alternativi
colmi di sentimenti positivi come felicità
e gioia. L'idea di fondo della tua
Ville Spatiale è anche far spazio sulla
superficie della terra, di modo che il
cibo possa essere prodotto in città.
YF: Nella Ville Spatiale la coltivazione
del cibo rappresentava un'occupazione
cittadina. Nei quartieri più poveri
delle grandi città, per esempio, la gente
coltiva tuttora il proprio cibo.
TS: Di recente è stato sviluppato il progetto
Vertical Farming nel quale l'agricoltura
viene praticata su tutti i piani
degli edifici. Io sto pensando a giardini
e coltivazioni volanti…
YF: È un punto importante. L'architettura
non ha mai mostrato alcun interesse
verso questo aspetto; per questo
sono molto contento che Tomás condivida
le mie idee al riguardo.
MB: Tomás ha lavorato molto sulle
questioni legate all'ecologia.
YF: Per me l'ecologia non ha a che fare
con la politica, e so che la Ville Spatiale
è legata all'ecologia.
TS: In uno dei suoi libri, Félix Guattari
parla di "tre ecologie": sociale, mentale
e ambientale.
YF: Penso tutto dipenda dal nostro stile
di vita. Lo stile di vita è un'idea, un
modo di pensare. È necessario rivedere
il nostro modo di vivere per quanto
riguarda il riscaldamento, l'aria condizionata,
qualsiasi cosa, e si tratta di
un processo lento. Ciò che definiamo
un "perimetro abitato" è solo una piccolissima
parte dello spazio che adoperiamo,
ed è sempre caratterizzato
da elementi d'uso – un tavolo, una
sedia, un bagno, una cucina – tutti
elementi che possono essere inscatolati
in contenitori di quattro metri
quadrati. Questi grandi componenti
di arredo, chiamiamoli attrezzature
o condizioni spaziali, indicano come
il volume che è necessario riscaldare
rappresenti solo il cinque per cento di
quello totale. Noi trattiamo gli arredi
di un appartamento come un modello
e li riproduciamo in scala naturale.
La gente può poi modificarli come
desidera. Dovremmo riscaldare solo
lo spazio che utilizziamo realmente.
Usare meno energia non è solamente
economico: aumenta anche
l'indipendenza.
TS: Sono stato molto colpito dai tuoi
libri e da Architecture Without Architects
di Bernard Rudofsky. Mi piace pensare
a un'abitazione o a uno spazio così
leggero da poter volare e spostarsi con
l'aumento della temperatura interna,
che varia in base al calore del sole. La
temperatura definisce il rapporto che
instauriamo con l'ambiente; chi la abita
stabilisce l'altitudine e la possibilità
di spostarsi.
MB: Sono le condizioni del paesaggio
biologico.
YF: Un altro punto riguarda il fatto
che disponiamo di una tecnologia
sofisticata ma non sappiamo come
gestirla. Ecco perché preferisco materiali
semplici come nella tecnologia
pre-sofisticata che avevamo in passato.
Perché se sai usare un computer, sai
anche ripararlo? Non puoi scriverti un
programma da solo. Il computer è già
assemblato, non lo puoi usare in modo
del tutto diverso. Con la "vecchia tecnologia"
potevi prendere un pezzo di
carta e scrivere in qualsiasi lingua. Con
le nuove tecnologie, tutti vogliono che
scrivi in inglese e non puoi scrivere in
swahili. È un limite del computer.
TS: Oggi qualcosa sta cambiando con
l'idea di "cloud computing": il programma
si aggiorna continuamente
e si modifica secondo le necessità
dell'utente. Ci sono sempre dei codici
open source accessibili alla gente per
poter cambiare il software.
Mi piace molto questa tua situazione
tipo Megastruttura, capace di proporre
un nuovo modo di vivere ma anche
di personalizzare l'interazione dell'utente.
Sto pensando a come poterci
muovere verso un lavoro digitale che
crei un collegamento con un lavoro più
fisico. Non solo tramite social meeting
come Facebook, Twitter o email, ma
studiando il modo in cui la tecnologia
può aiutarci concretamente a modificare
il nostro modo di vivere e costruire
l'architettura. Un giorno avremo
dei cumuli di nubi abitabili come ispirazione
per un'architettura organica
che si modifica in base ai desideri degli
abitanti e dei cambiamenti climatici.
Questo progetto si ispira molto direttamente
al tuo Graffiti Museum.
MB: La Ville Spatiale, esempio di architettura
in aria ideato da Yona, e Cloud
City, modello di architettura aerea
per un nuovo modello di vita, viaggio
e comunicazione di Tomás, sono
per certi versi collegati: condividono
la necessità di portare nel mondo la
dimensione astratta del computer.
TS: Un altro progetto al quale sto
lavorando con un collettivo di giovani
artisti è quello per un museo volante.
Volerebbe grazie all'energia solare
e sarebbe costruito con la partecipazione
della gente: si chiama www.MuseoAerosolar.org.
La gente potrebbe
riutilizzare nel museo le borse della
spesa di plastica che ha a casa, incollarle
con del nastro adesivo per creare un
enorme foglio con il quale poi realizzare
una mongolfiera. Con il Museo
Aerosolar stiamo provando a stabilire
una collaborazione tra la gente che
varia da luogo a luogo. Questo museo,
simbolo di una 'architettura' futura,
potrà aiutare a definire nuovi stili di
vita, a costituire una relazione diretta
tra il peso dei beni e la capacità di sollevarli
verso il cielo… Serve instaurare
una relazione stretta con l'ambiente
che ci circonda e mettere in atto una
nuova sinergia tra la geografia sociopolitica
e gli stati ambientali.
YF: Spesso la gente non si rende conto
di come le vetrine dei negozi siano il più
grande museo del mondo. In tal senso,
l'idea di museo come edificio e come
istituzione si dimostra completamente
falsa. È esattamente l'opposto dell'architettura.
Un museo è un percorso,
ed è meglio se si tratta di un percorso
generico, in modo da poter scegliere il
proprio tracciato particolare.
TS: Alla base del Museo Aerosolar c'è
un processo di collaborazione; in genere
le istituzioni e le associazioni locali lo
invitano a spostarsi in Paesi diversi. Si
tratta di un processo impegnativo che
fa scattare l'immaginazione, e che per
questo ha a che fare con la costruzione
di un'esperienza. Il nome di un negozio
scritto sul sacchetto proveniente
da un certo Paese è sconosciuto in un altro Paese, mentre visto mentre vola,
è solo una macchia di colore.
YF: Il mio museo non vola ma ci puoi
camminare accanto, e ha una tecnologia
che è esistita più a lungo di
quanto persino l'archeologia possa
rintracciare. Proponi un oggetto ed
esso ti risponde per immagini. In
questo modo ho realizzato il Museum
of Simple Technology a Madras e lo
Street Museum a Como, dove hai solo
delle scatole, non serve realizzare un
edificio. La mia idea del museo è pedestre.
La gente oggi ha una mentalità
così tecnologica che dimentica le cose
ordinarie. Sto tentando di disconnettermi
completamente dalla tecnologia,
perché il rischio è di smettere di
pensare e guardare solo il monitor.
TS: Vorrei approfondire l'dea di realizzare
un progetto in cielo. Lascia che
ti mostri alcune immagini del Lago
Salato in Bolivia. Si tratta di un luogo
incredibile. Durante la stagione delle
piogge, il cielo si riflette sulla superficie
del lago in modo tale da rendere
indefinibile il confine tra acqua e
cielo. Mi sono ispirato alle nuvole
per un'architettura del futuro e per il
modo in cui può essere classificata. Per
me la questione importante è come le
nuvole possano essere una casa, una
città o un continente. Come possiamo
unire e collegare questi moduli?
YF: A me interessa l'improvvisazione.
Credo che per molti versi costituisca la
base di tutto quello che ha portato alla
nostra civilizzazione. L'aspetto negativo
che vedo nella tecnologia avanzata
è che non ti permette di improvvisare.
Mi piacerebbe che tu mettessi questo
in evidenza. Non dovresti avere moduli,
ma forme irregolari, senza regole.
TS: Come nelle nuvole, non c'è alcuna
geometria regolare in questa forma,
che è organica. Può cambiare e adattarsi
mentre cresce, ed essere molto
più libera. La nuvola genera molte
forme differenti: la città volante può
essere realizzata così. Quando le nuvole
raggiungono il cielo, cambiano forma
in base alla temperatura della città.
C'è un'interazione: in qualche modo,
sono molto site specific: ci sono nuvole
che a Parigi non si vedono mai.
YF: La questione della geometria
indeterminat è interessante. In una
struttura a "catena spaziale", un anello
sostituisce un triangolo da una parte e
un quadrato da un'altra, ma potrebbe
anche essere un esagono. Se ti sposti da
uno schema a griglia all'altro, il primo
non determina lo schema adiacente.
TS: Che ne pensi di provare a immaginare
la struttura che hai fatto mentre
fluttua in aria?
YF: Certo, l'idea mi piace molto.
TS: Ottimo! Quando guardo al tuo
tipo di configurazione mi viene da
pensare che dovrebbe fluttuare in aria
più liberamente.
YF: Penso che ci sia una qualità estetica.
L'estetica, in quanto caratteristica
della specie, è molto umana. Non so
che cosa sia l'estetica e non si possono
creare norme che la regolino. Anche
le norme sono emozioni, e in matematica
ci sono molti elementi emotivi. Per
questo, sono molto più interessato al
processo che al risultato.
TS: Mi sono espresso esattamente
allo stesso modo sul Museo Aerosolar.
L'importanza non risiede tanto nell'oggetto
in sé, quanto nella capacità
dell'arte di immaginare qualcosa
riguardo a come potremmo vivere.
YF: Penso di essere fortunato perché
faccio esperimenti. A L'Aia, per
esempio, gli abitanti si sono messi
d'accordo riguardo alla parte di città
da riprogettare. Hanno fatto ricerche
con semplici modellini di plexiglass.
Abbiamo usato fotografie aeree, ma
la gente si è presentata nell'area interessata.
Un giorno hanno cominciato
a lavorare da soli seguendo semplicemente
le mie indicazioni. Non sapevo
esattamente quanto questo potesse
durare, ma è continuato per due mesi,
ogni settimana. Hanno registrato l'intero
processo.
TS: Mi piace moltissimo quest'attitudine
a collaborare. Abbiamo fatto una
mostra in cui la gente poteva costruirsi
le proprie nuvole. Come si diceva prima
riguardo al giardinaggio verticale,
mi chiedo perché non potremmo
realizzare un giardino volante, o una
fattoria o un museo volanti…
YF: Esatto, è simile a quello che abbiamo
fatto alla Biennale di Venezia con
gli studenti di Daniel Birnbaum.
TS: Mi piacerebbe molto collaborare
con te alla realizzazione di una piattaforma
Internet che possa far abbracciare
alla comunità digitale l'idea che,
oltre ai blog e alle chat, loro possano
anche sensibilizzare la gente verso la
costruzione di un territorio aereo,
un'architettura volante che vada a
costituire un nuovo strato delle città
che già esistono. Potremmo inoltre
unire le forze per costruire qualcosa
fisicamente, qualcosa che possiamo
poi far volare in cielo.
YF: Quello che puoi toccare è realtà,
e per la gente la realtà è spingere una
sedia. Fare un disegno su carta è una
cosa astratta. Ecco perché chiedevo
alla gente di portare oggetti.
TS: Ogni realtà è un prodotto dell'immaginazione,
la realtà non esiste.
Come diceva Freud, il mondo reale è
un'interpretazione simbolica.
MB: Penso che dovreste cominciare
dalla piattaforma alternativa di un'idea
collettiva e provare a concretizzarla.
TS: Mi piacerebbe che la gente si
impossessasse di quest'idea e cominciasse
a costruire. Far volare le cose è
molto facile se si usano semplici borse
in plastica. Se vogliamo realizzare
una struttura permanente, penso in
termini modulari. La gente in seguito
potrebbe pensare agli interni e progettarli.
Il mio contributo è utilizzare
moduli gonfiabili al posto di strutture
rigide. Si potrebbe sempre riuscire a
ricavare strutture semi-rigide oppure
molto flessibili semplicemente cambiando
la pressione sulla struttura. Nel
momento in cui il materiale concreto
è l'aria, la sua pressione e la temperatura,
allora i moduli di differenti dimensioni
sono dotati di una rete elastica
che consente loro di essere collegati e
di diventare parte di una città volante
fatta di nuvole elastiche dove la gente
può vivere. Mi piacerebbe realizzare
questo progetto utilizzando alcune
delle tue strutture da far volare.
YF: Ti manderò dell'altro materiale.
TS: Si stanno forse formando alcune
idee tra strutture irregolari e il mio concetto
di città tra le nuvole. Potremmo
metterle insieme e rinnovare l'immaginario
della gente. Se le mettiamo in
Rete, la gente comincerà a pensarci.
Poi inizieremo a migliorare le idee iniziali
e a diffonderne di nuove.
YF: Bene, possiamo cominciare, ma
ti chiedo di non pianificare troppo.
Lasciamo fare alla gente.
TS: Comincerò a immaginare e a mettere
a punto gli strumenti così che
poi il tutto prenda avvio e viva liberamente…
immaginazione, passione,
curiosità…. In un secondo momento,
gli oggetti prenderanno il posto delle
idee. Dobbiamo decidere quanto
vogliamo dire senza rivelare tutto.
YF: Questa è stata la nostra conversazione.
Ma come accade con le registrazioni
audio, gran parte del contenuto
è andata perduta. Parlando, ho
mostrato disegni e oggetti. C'è poi la
mia mimica e la mia personale pronuncia,
ma tutto ciò non è visibile in
un testo scritto.
A cloud spatiale city
Yona Friedman e Tomás Saraceno posano i primi 'mattoni' di un progetto a quattro mani al Cabaret Voltaire, a cura di Maurizio Bortolotti.
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- 06 giugno 2010
- Zurigo