Rileggere Jean Nouvel: 10 architetture fondamentali da Parigi a Doha

Da una selezione di progetti realizzati nel corso di più di 40 anni emergono i temi di ricerca, le passioni e le ossessioni di uno dei più grandi progettisti contemporanei.

Da enfant prodige dell’architettura francese negli anni di Mitterand a vera archistar della tarda globalizzazione del XXI secolo, Jean Nouvel è sulla cresta dell’onda da ormai quattro decenni e più. E martedì 18 gennaio alle 10:30 presenterà in diretta streaming la sua Domus 2022, di cui sarà Guest Editor.

Non si può che ricorrere a un vocabolario preso in prestito dal mondo dello spettacolo, prima ancora che da quello del progetto, per presentare un personaggio per nulla schivo, ma anzi pienamente a suo agio sul palcoscenico della cultura architettonica mondiale. Così, l’esuberanza caratteriale e la piena visibilità dell’uomo Nouvel si fanno complemento necessario e fondamentale veicolo di promozione delle idee del progettista Nouvel.

Fin dagli esordi s’impegna in una continua riflessione sui principi del Moderno architettonico e sulla possibilità di traghettarne l’eredità, attualizzata, nel contemporaneo. La sua pratica non è pura professione ma è sempre supportata da un’attitudine critica, di lettura attenta e messa in discussione di canoni e status quo, memore dell’attività dei suoi maestri Claude Parent e Paul Virilio. La passione giovanile e mai dimenticata per l’arte, ma anche l’interesse per le implicazioni politiche e sociali del proprio lavoro, sono alla base di un approccio ostinatamente multidisciplinare, lontano dalle preoccupazioni sull’autonomia dell’architettura.

Jean Nouvel, Gilbert Lézénès, Collège Anne Frank, Antony (1979-1980). Foto: All Rights Reserved
Jean Nouvel, Gilbert Lézénès, Collège Anne Frank, Antony (1979-1980). Foto: All Rights Reserved

In un’epoca ricca di bizzarrie architettoniche ma povera d’idee, Nouvel difende il valore dell’originalità senza scadere nell’autoreferenzialità. Le sue opere migliori sono in grado di generare grandi stupori, ma anche di offrire effettive qualità spaziali e materiali e di suggerire reali avanzamenti della cultura del progetto. Le informa una visione futuribile e pragmatica. Come ha raccontato recentemente a Walter Mariotti, direttore di Domus, per lui “l’architettura è, prima di tutto, la risposta a domande concrete, sociali e individuali. È la costruzione di nuove abitazioni, di uffici e spazi pubblici, perché quelli attuali non sono più adeguati ai nuovi scenari economici e alla crescita della popolazione”. “Fermiamo la clonazione dello stesso edificio in tutto il mondo” è l’appello che rivolge Nouvel a chiunque sia disposto ad ascoltarlo.

Quella che segue è una selezione ragionata di dieci sue opere, realizzate dalla fine degli anni ’70 a oggi. Non sono solo o tutte le architetture consacrate come maggiori dalla stampa e dalla storiografia – mancano ad esempio la Torre Agbar di Barcellona (1999-2005), il Musée du Quay Branly – Jacques Chirac (1999-2006) e la Filarmonica (2015), entrambi a Parigi – ma dalla loro presentazione in sequenza emergono i grandi temi che hanno guidato e guidano tutt’ora la ricerca di questo “gigante” pluripremiato – il suo Priztker è del 2008, solo per citare il riconoscimento più importante – che nel 2022 sarà il Guest Editor di Domus.

Dalle opere giovanili alla consacrazione

Tra le opere giovanili di Nouvel spicca per sperimentalità il Collège Anne Frank di Antony (1979-1980) nella banlieue parigina. Dal catalogo di 50 elementi standardizzati imposti dal governo francese per questo tipo di costruzioni, Nouvel seleziona polemicamente solo un pilastro, una trave e un pannello, composti in un’architettura semplificata. Ne risulta un edificio dichiaratamente “critico”, che s’ispira alle estetiche delle avanguardie artistiche per contestare tanto la sostanza del sistema educativo francese quando le forme del postmodernismo storicista allora in ascesa. Il rosso dei pannelli di Antony, colore primario preso in prestito dal mondo dell’arte, ritornerà come un leit motif in molte opere successive.

La realizzazione dell’IMA – Institut du Monde Arabe di Parigi (1981-1987) segna la definitiva consacrazione di Nouvel sulla scena architettonica internazionale. Co-finanziato dal governo francese e da alcuni paesi membri della Lega degli Stati Arabi, l’istituto ospita un museo e una biblioteca dedicati alla cultura e alle tradizioni di questi ultimi. Soprattutto, però, trascrive sui suoi prospetti l’incontro auspicato tra Europa e mondo arabo: così, all’International Style della facciata vetrata sulla Senna fa da contrappunto la raffinatissima griglia delle mashrabiya del fronte sud, ispirate alla tradizione e reinventate come complessi diaframmi metallici che reagiscono automaticamente alle variazioni della luce solare. La sofisticata e fragile facciata sud dell’IMA è la testimonianza di un’epoca oggi lontana di abbondanza e fiducia nella tecnologica, ma anche dell’abilità di Nouvel di sintetizzare e rielaborare in chiave contemporanea stilemi non occidentali, una qualità che faciliterà in anni più recenti la sua affermazione sulla scena architettonica mediorientale.

Jean Nouvel – Ateliers Jean Nouvel, Sofitel Vienna Stephansdom, Vienna (2004-2010). Foto © Philippe Ruault
Jean Nouvel – Ateliers Jean Nouvel, Sofitel Vienna Stephansdom, Vienna (2004-2010). Foto © Philippe Ruault

All’inizio degli anni ’90, Nouvel prosegue la sua riflessione sulla trasparenza nel progetto per la sede di un’altra importante istituzione parigina. La Fondation Cartier pour l’art contemporain (1991-1994) è una costruzione evanescente che annulla la massa architettonica attraverso la sovrapposizione e l’affiancamento di pareti vetrate, di cui la più esterna si distacca dal volume costruito e si allinea alla cortina stradale del boulevard Raspail. Una condizione di continuità percettiva pressoché assoluta sfuma i confini tra l’interno – le sale espositive, il bookshop, gli uffici – e l’esterno – il giardino che circonda il museo su quattro lati, la città. Al di là delle condizioni pratiche d’accesso agli spazi, divenute sempre più stringenti nel corso degli anni, la Fondation Cartier è un edificio eminentemente urbano perché concepisce la città come sfondo dello spazio espositivo e quest’ultimo come accento del piano terra urbano, suo parterre commentato dalle opere.

Il KKL – Lucerne Culture and Congress Center di Lucerna (1989-2000) è una delle prime grandi realizzazioni di Nouvel al di fuori della Francia. I tre programmi principali del complesso polifunzionale – un auditorium, una sala polivalente e un museo – corrispondono ad altrettanti volumi indipendenti, raggruppati sotto un’unica copertura a sbalzo. Differenziandosi nettamente dal pittoresco elvetico del centro storico per la sua scala, la sua audacia strutturale e il suo linguaggio, il KKL di Nouvel si propone come un nuovo landmark per la Lucerna contemporanea. Al tempo stesso, la sua piazza si offre come uno spazio pubblico inedito, all’aperto ma coperto, e in diretta connessione con il lago, che la fiancheggia e l’attraversa.

I progetti fuori dalla Francia

Un’importante opera italiana degli anni 2000 si confronta con i temi dell’infrastruttura e del territorio. Commissionato dalla Brembo, il Kilometro Rosso di Bergamo (2001-2007) è una facciata lineare parallela al tracciato dell’autostrada A4, ininterrotta per mille metri e assolutamente monocromatica. Di fronte a questo setto bidimensionale si dispongono le aree di parcheggio, mentre dietro di esso si distribuiscono gli spazi della logistica e della produzione dell’azienda. Malgrado la sua occupazione non completa – alcuni tratti restano tuttora privi di “volume” – il Kilometro Rosso resta un tentativo coraggioso di raggruppare i micro-frammenti della dispersione urbana in un unico oggetto di scala e valore territoriale.

Negli stessi anni Nouvel segue un secondo cantiere italiano, per il Minimetrò di Perugia (2000-2008). La linea di trasporto pubblico del capoluogo umbro, che si snoda per quattro chilometri e sette stazioni dal centro storico arroccato verso i quartieri moderni che lo circondando, è un episodio di assoluto rilievo nel panorama delle città medie italiane, per come riesce a combinare intelligenza pianificatoria e qualità architettonica. Per le stazioni, i viadotti e tutte le strutture che compongono il Minimetrò, Nouvel definisce un linguaggio tecnico ma non hi-tech, chiaramente contemporaneo ma asciutto, che si traduce in un’immagine coordinata cosmopolita, effettivamente “metropolitana” eppure positivamente ambientata nel suo intorno.

Ateliers Jean Nouvel, National Museum of Qatar, Doha (2003-2019). Foto © Iwan Baan
Ateliers Jean Nouvel, National Museum of Qatar, Doha (2003-2019). Foto © Iwan Baan

Dalla Svizzera al Golfo

A Vienna, il progetto il Sofitel Stephansdom (2005-2010) è l’occasione per collaborare con l’artista svizzera Pipilotti Rist. I soffitti di alcuni spazi interni ad altezza multipla si trasformano in immense superfici retroilluminate e coloratissime, ben visibili anche dall’esterno e a grande distanza. Le opere d’arte sono presenze sorprendenti, riconoscibili, in grado di conferire specificità sia alla configurazione standard degli open space della torre che al suo linguaggio architettonico genericamente contemporaneo.

Nel 2010, Nouvel disegna il decimo dei padiglioni estivi temporanei della Serpentine Gallery di Londra. A differenza delle proposte più “sintetiche” elaborate da altri architetti per la stessa committenza, concepisce un oggetto complesso ­– composto da tre elementi: un volume cubico, un corpo principale a doppia falda e un setto inclinato – e riconfigurabile, grazie al movimento delle sue tende scorrevoli e delle sue porte pivotanti. Il “rosso Nouvel” è qui al tempo stesso un omaggio alla città di Londra e un suggerimento del carattere temporaneo di un’architettura stagionale, caduca come la vegetazione di Hyde Park.

Progettati e costruiti a cavallo tra gli anni ’00 e gli anni ’10, il Louvre Abu Dhabi (2006-2017) e il National Museum of Qatar di Doha (2003-2019) sono il contributo di Nouvel alla grande richiesta di architetture d’autore occidentale espressa dagli stati del Golfo all’inizio del millennio. Si tratta di due opere confrontabili per funzione, scala e valore simbolico. Inserito nel più ampio distretto culturale dell’emirato, tuttora in fase di realizzazione, il Louvre Abu Dhabi è articolato come un frammento di tessuto urbano di una medina, ombreggiato da una monumentale cupola di 180 metri di diametro. Raggi di luce solare attraversano la sua doppia calotta grigliata e illuminano il reticolo degli spazi aperti sottostanti.

La “Rosa nel deserto” di Doha, invece, trascrive in scala gigante la configurazione dell’omonima formazione sedimentaria tipica dei territori aridi. I volumi nascono dalla combinazione di affilati piani circolari, diversi per diametro, orientamento e inclinazione, che sfumano la soglia tra interno ed esterno e schermano gli spazi aperti. Al centro della composizione sorge tuttora il palazzo del governo novecentesco, conservato come monumento e punto di arrivo del percorso espositivo dedicato alla storia della nazione. I musei di Abu Dhabi e di Doha confermano la capacità di Nouvel non solo di confrontarsi con il contesto specifico del mondo arabo, ma più in generale di diversificare i suoi riferimenti in base ad ogni luogo e condizione, e di elaborare soluzioni adatte a ciascuno di essi.

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