L’albero come architettura: Arboretum all’Arc en rêve di Bordeaux

L’architettura tende a dimenticare che gli alberi sono creature viventi, per cui imprevedibili e incontrollabili: la mostra si inserisce nel dibattito sul mondo vegetale, e vuole ripensare il rapporto tra alberi e architettura. L’intervista.

Il 23 settembre si è inaugurata l’esposizione Arboretum, l’arbre comme architecture al centro di architettura Arc en rêve di Bordeaux, Francia. Inserendosi nel vivo del dibattito filosofico ed ecologico che restituisce un ruolo centrale al mondo vegetale, la mostra intende ripensare il rapporto tra l’architettura e gli alberi, non come elementi inerti o materiali di costruzione ma come creature viventi con le quali è necessario negoziare in una logica di simbiosi e coabitazione. “22 storie d’alberi” è un percorso storico e geografico, in cui progetti di design, architettura, paesaggistica e urbanistica, diventano metafore virtuose di una società inclusiva, in cui l’essere umano non occupa ma condivide lo spazio con la natura. Abbiamo intervistato Fabrizio Gallanti, cocuratore della mostra e direttore di Arc en rêve.

Come é nata l’idea dell’esposizione Arboretum?
La mostra, che è un progetto collettivo, curato da Wenwen Cai, Eric Dordan, Leonardo Lella e il sottoscritto, è sorta come una reazione a quello che ci pare sia l’attenzione generalizzata alla vegetazione, concepita, talvolta in maniera un po’ semplicista, come la panacea a tutti i mali del mondo. Se dieci anni fa, ministri o sindaci tagliavano i nastri di musei o biblioteche, oggigiorno vogliono farsi fotografare con una pala e un alberello. Appunto pochi giorni fa, il principe Carlo e la regina Elisabetta si facevano ritrarre per il giubileo di platino, ben intabarrati dietro un arbusto striminzito appena piantato nel suolo. Dal punto di vista architettonico, questo interesse per gli alberi si è manifestato ultimamente, in tutte le operazioni di cosmesi vegetale applicate agli edifici.

Ma non vi siete fermati a questo tipo di progetti.
Ci siamo chiesti se fosse possibile invece mostrare relazioni più complesse, e anche più antiche, tra l’architettura e gli alberi, più vicine alla nozione di simbiosi, nelle quali si possa riconoscere una differenziazione tra architettura e natura, e allo stesso tempo sottolineare alcuni rapporti più sfumati, forse meno ovvi. Volevamo mostrare come gli alberi siano stati importanti per molti progettisti, al di là di un certo pragmatismo che li riduce al ruolo di meccanismi che captano CO2 o polveri sottili. Volevamo dimostrare che gli alberi sono stati considerati a pieno titolo quali elementi di architettura, anche perché sono creature stupende, producono frescura o generano degli effetti sensoriali particolarmente ricchi, come le ombre e i riflessi sulle facciate della sede della scuola di architettura dell’IIT a Chicago, Crown Hall, progettata da Ludwig Mies van der Rohe. In quel caso, il progetto del paesaggio, immaginato da Alfred Caldwell è indissociabile dall’architettura modernista di Mies, e allo stesso tempo è impossibile confonderli.

Crown Hall, IIT College of Architecture, Chicago, 1956. Architetti Alfred Caldwell e Ludwig Mies van der Rohe
Crown Hall, IIT College of Architecture, Chicago, 1956. Architetti Alfred Caldwell e Ludwig Mies van der Rohe

Non si tratta semplicemente di mettere in relazione l’architettura con uno dei suoi materiali principali, il legno, quanto piuttosto di delucidare il rapporto tra il costruire dell’uomo e l’albero, come essere vivente, parte dell’ecostistema, selvatico nella foresta, addomesticato nei giardini.
Nella mostra, il tema del legno come materiale da costruzione è deliberatamente assente, dato che la questione era già stata sviluppata attraverso un prototipo 1:1 da Flavien Menu e Frederique Barchelard nella mostra precedente “Proto-habitat”. “Arboretum” invece si occupa solo di alberi vivi, con una sola eccezione: un pezzo del tronco di un “albero della libertà”, piantati in tutta la Francia in occasione della Rivoluzione, e poi abbattuti durante le numerose fasi delle restaurazioni monarchiche del XIX secolo. Per puro caso, ne abbiamo trovato un esemplare negli archivi di Bordeaux, mentre cercavamo tutt’altro, incisioni e cartografie antiche, piuttosto. 

A luglio, in occasione di una conversazione che anticipava la mostra, l’architetto Philippe Rahm e il filosofo Emanuele Coccia ci spiegavano di come la biologia sia passata da paradigmi basati sugli animali, dove l’idea di competizione darwiniana era prevalente, a concetti, derivati dalle nuove conoscenze sul mondo vegetale, dove l’attenzione ai temi della collaborazione e simbiosi sono invece dominanti. Ci pare che i rapporti tra architettura, e quindi costruzione, mondo vegetale, e di conseguenza mondo animale, siano terreni affascinanti da esplorare. Abbiamo capito poi, discutendo con alcuni esperti, come Philippe Richard, che dirige il giardino botanico di Bordeaux, che la “natura selvaggia e incontaminata” non esiste più perché siamo da vari millenni davanti agli effetti determinati dall’azione umana.

Philippe Rahm lavora da anni alla scrittura di una Storia naturale dell’architettura. La mostra si situa in continuità con tale prospettiva o tenta di aprire la via a una storia architettonica della natura? 
Perché no? Abbiamo tentato di presentare casi dove gli alberi avessero lo stesso statuto di colonne, pilastri, muri o finestrature, dove fossero usati con attenzione a questioni di composizione, proposizione e ritmo, che sono squisitamente architettoniche. Negli schizzi che ci ha passato Álvaro Siza, il tratto non distingue tra edifici e piante: questa equivalenza ci affascina. Forse l’unico dubbio da affrontare è che l’architettura tende a dimenticare che gli alberi sono creature viventi, per cui imprevedibili e incontrollabili.

Árvores (Alberi). Cidade Velha, Capo Verde, disegno dell'architetto Álvaro Siza
Árvores (Alberi). Cidade Velha, Capo Verde, disegno dell'architetto Álvaro Siza

Quali criteri hanno guidato la scelta delle “22 storie di alberi” che compongono la mostra?
La concezione della mostra è stata rapida, non basata su un lavorio di ricerca esteso nel tempo, dato che si è partiti a gennaio del 2021. Abbiamo agito a partire da uno scambio continuo e intuitivo di memorie personali, associazioni di idee, riferimenti prevalentemente formali e visivi. La mostra, di fatto, funziona come un grande quaderno di appunti, esplicitamente parziale e non esaustivo. Ci siamo attenuti a poche regole del gioco. La prima è che gli esempi non fossero case o ville individuali, ma situazioni nelle quali gli alberi sono condivisi da molti. Poi gli esempi dovevano essere eterogenei: per scala, epoca e localizzazione. E i formati vari: disegni, schizzi, fotografie, modelli e video. Insomma, l’ennesima rivisitazione del principio alla base della lista degli animali di Jorge Luis Borges in Altre inquisizioni del 1952.

Ci sono comunque alcuni elementi che servono da “magneti”: il supermercato Best di James Wines / SITE in Virginia; Joseph Beuys che nel 1982 pianta 7000 querce a Kassel in occasione della documenta; il libro “L’architettura degli alberi” di Cesare Leonardi e Franca Stagi e il gigantesco ficus che è cresciuto di fianco a un hotel di Oscar Niemeyer a Brasilia. Un ulteriore desiderio era quello di collaborare con alcuni “amici”: dalla collezione di disegni di architettura Drawing Matter, nel Somerset in Inghilterra, alla libreria Spazio a Milano, dove la proprietaria Mariana Siracusa ha una collezione strepitosa di libri. Infine, abbiamo commissionato due lavori: un’esplorazione fotografica di Bordeaux di Ludmilla Cerveny e un film su Crown Hall a Chicago di Ron Henderson. Il progetto di Wines per noi è un po’ la chiave di volta della mostra: un edificio che si deforma e si adatta per proteggere alcuni alberi esistenti sul sito, con un grande lavoro di ingegneria per proteggerne le radici, che rimane invisibile. La natura è veramente al centro del progetto.

BEST Forest Building, Richmond, Virginia, 1979. Architetto James Wines, SITE
BEST Forest Building, Richmond, Virginia, 1979. Architetto James Wines, SITE

L’esposizione è pensata come un bosco…
Sì, un bosco in cui perdersi. Lo spazio della galleria, che è composto da due stanze per un totale di 150 m2, è occupato da una selva di pali in legno, che permettono da un lato di aumentare la superficie espositiva e dall’altro di evitare sequenze di visita lineari. Il pubblico è obbligato a perdersi, spesso ritornando sui propri passi per vedere tutto. Volevamo che i visitatori cercassero attivamente i contenuti, anche a costo di irritarli. Non esiste alcuna gerarchia tra le “storie” presentate, anche se abbiamo talvolta avvicinato degli oggetti, per cercare dei contrasti o delle analogie.

Arboretum è la tua prima esposizione da direttore del centro di architettura arc en rêve. È un manifesto?
È la prima mostra sotto la mia direzione, in effetti. Più che un manifesto, è un tentativo di presentare una metodologia curatoriale: immaginare che il pubblico sia composto da soggetti intelligenti e curiosi, ai quali fornire dei contenuti, che possano poi stimolare l’interesse per i temi proposti. Noi diamo delle piste e delle informazioni – siamo fieri dei testi di accompagnamento, dove abbiamo perseguito la massima chiarezza – ma poi ciascuno può ricomporre una propria sequenza e interpretazione. Siccome in una mostra, a differenza di un film o un libro, è impossibile dettare una narrazione lineare, vogliamo permettere che coesistano infinite mostre, tante quanti sono i visitatori.

Mostra:
Arboretum, l’arbre comme architecture
Luogo:
arc en rêve, Bordeaux, Francia
Curatori:
Wenwen Cai, Eric Dordan, Fabrizio Gallani, Leonardo Lella
Quando:
Dal 23.9.2021 al 23.1.2022

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