Luigi Mattioni, l’architetto che ha modellato il volto della Milano del dopoguerra

Dal Centro Diaz al Grattacielo in piazza della Repubblica, i lavori di Mattioni, architetto ancora poco conosciuto, hanno dato un volto nuovo alla Milano del boom all’insegna di modularità e altezza.

Le architetture di Luigi Mattioni appartengono al paesaggio quotidiano di chi percorre le strade di Milano tutti i giorni. Si tratta di edifici riconoscibili, familiari, moltissimi dei quali sorgono in corrispondenza delle piazze e dei viali più importanti della città ma che, nonostante siano parte di una delle più consistenti produzioni dell’Italia del dopoguerra, in pochi sono in grado di ricondurre al loro progettista [1]. Il “Centro Diaz”, il “Centro San Babila” (con la sua piazza sotterranea), ma soprattutto il “Grattacielo” in Piazza della Repubblica avrebbero dovuto trovare spazio, di diritto, nella storiografia del periodo, ma per molti anni ne sono stati parzialmente esclusi.

Laureatosi nel 1939 con Portaluppi, Mattioni spende i primi anni da professionista diviso fra l’attività di progettista – come consulente del Comune di Milano nella redazione del nuovo Piano Regolatore – e l’ambiente accademico. Cura inoltre alcuni allestimenti in occasione dell’VIII Triennale di Milano e svolge un’intensa attività di ricerca sul tema dell’unificazione dei modelli residenziali pubblicando articoli su riviste come “Stile” e “Metron”. Sul finire degli anni quaranta, Mattioni intraprende con decisione l’attività professionale, proprio in concomitanza con il crescente furore della ricostruzione postbellica.

Luigi Mattioni con Studio Architetti Soncini, Grattacielo di Milano, Via Vittor Pisani 2 ang. Piazza della Repubblica, Milano, 1950-1955. Foto di Emilio Lonardo

I ritmi frenetici e le dinamiche della produzione edilizia nella Milano degli anni Cinquanta e Sessanta richiedono l’esecuzione di progetti che propongano schemi in grado di ridurre al minimo gli imprevisti e le correzioni in fase di esecuzione, oltre a garantire un elevato grado di flessibilità in termini di distribuzione interna, per potersi adattare di volta in volta alle richieste del mercato. Il tema della standardizzazione trova quindi applicazione, con il primo Mattioni, nel definire alcuni elementi modulari che abbiano tempi e costi di esecuzione consolidati tramite i quali comporre il progetto preliminare e poter prevedere efficacemente i rischi d’impresa e i margini di guadagno. Alle variabili che si possono riscontrare in situ, Mattioni contrappone quindi dei moduli con i quali sviluppare spazi interni, facciate-tipo e schemi planimetrici facilmente aggregabili e scomponibili, pensati per utenti-tipo definiti a partire da indagini di mercato. Da questi modelli nascono, in collaborazione con l’impresa Bassanini, gli edifici a torre denominati “Elios” di Viale Monte Rosa (1950-53) e “Pollux” di Via De Amicis (1952-1955), la Torre Domus (1953-54) di Viale Zara, progettata per Vismara, e le case alte di Largo V Alpini (1959-60) realizzate dall’impresa SACIE su iniziativa di Generale Immobiliare [2].

È oggi più che mai necessario un nuovo approfondimento del lavoro di Mattioni e del suo innovativo approccio manageriale al progetto di architettura, che hanno contributo a modellare il volto della Milano del miracolo economico

L’espressione della poetica personale dell’architetto (intesa come gesto unico e autentico) è quindi abbandonata in favore di una sapienza tecnica che compone un paesaggio urbano unificato – ma non per questo di bassa qualità – formato da “modelli tipo” come il condominio per ceti medi, il palazzo per uffici, la galleria commerciale e la torre residenziale. Mattioni, affascinato dai modelli statunitensi e in linea con i dettami dell’International Style, è un grande sostenitore della “casa alta”, del grattacielo come elemento dirompente nel tessuto urbano di origine Ottocentesca, a impersonare i principi di salubrità e di igiene propri dell’architettura moderna in contrapposizione agli agglomerati di edifici bassi a cortina.

L’influenza dell’iconografia americana su Mattioni è evidente sia nel progetto di risistemazione dell’Idroscalo di Milano, ripensato con motel e porticciolo sullo stile degli Hamptons newyorkesi, sia nel sistema di funivie urbane elaborato per la S.I.M.A., nelle cui immagini le cabine sospese fra grattacieli-autosilo idealmente si sostituiscono ai dirigibili Goodyear che approdano all’Empire State Building [3].

Luigi Mattioni, Centro Diaz, Piazza Armando Diaz 7, Milano, 1953-1957. Foto di Emilio Lonardo

Il manifesto di Mattioni – e anche il suo primo incarico importante – è il “Grattacielo di Milano” (1950-1955), realizzato in collaborazione con i fratelli Soncini l’edificio sorge nel lotto d’angolo fra Via Vittor Pisani e Piazza della Repubblica. I progettisti riorganizzano la volumetria prevista dal Piano Regolatore distribuendola in verticale a partire da un basamento porticato rivestito in serizzo Dubino, destinato a insediamenti commerciali e uffici, sul quale si inserisce la torre per la residenza con facciate scandite alternativamente da sottili elementi portanti, serramenti in acciaio, bow-window e terrazzini. Il “Grattacielo” è il primo edificio di Milano a superare il limite di altezza convenzionale di 108 metri, pari cioè a quella della Madonnina posta sulla guglia più alta del Duomo, simboleggiando così la volontà di rompere con il passato e diventando una vera e propria dichiarazione d’intenti per i suoi promotori. L’edificio è all’avanguardia per le moltissime nuove tecnologie costruttive impiegate, sia nel campo delle strutture sia in quello dell’impiantistica (sarà, per esempio, il primo edificio dotato di aspirazione forzata nei servizi igienici).

Nel 1953 è la volta di un progetto ancora più ambizioso: il Centro Diaz. Pensato per essere il Rockefeller Centre milanese a pochi metri da Piazza Duomo, l’edificio ospita boutique, uffici, sportelli bancari, un grande spazio per spettacoli e residenze di lusso. La grande piastra porticata ha una facciata costituita da una fitta ripetizione di sottili lesene e fasce marcapiano, rispetto alla quale i serramenti sono collocati sul filo interno per creare l’effetto di un telaio lapideo che racchiude un leggero volume trasparente. Questa soluzione, distintiva degli edifici di Mattioni, si ritrova anche nel successivo Palazzo OMSA (1956-1958) e nella Torre Turati (1958-1960), dove il rivestimento in marmo è utilizzato anche come cassero a perdere per le strutture. Nel lato del Centro Diaz prospettante Galleria Vittorio Emanuele II, Mattioni prevede la realizzazione di un grattacielo che, a seguito di una lunga contrattazione con le istituzioni, sarà notevolmente ridotto in altezza per poter essere, nell’intento della Sovrintendenza, interamente traguardato all’interno della Galleria dai passanti provenienti da Piazza Scala e diretti in Piazza Duomo.

Luigi Mattioni, Centro San Babila, Galleria Passarella 1, Milano, 1954-1957. Foto di Emilio Lonardo

Nonostante la sua carriera, a oggi si può contare solo una monografia dedicata a Mattioni (di cui questo articolo è debitore), a cura di Giovanna Alfonsi e Giudo Zucconi, oltre a qualche sporadica citazione dei suoi edifici in alcune pubblicazioni e appena due tesi di laurea. All’interno del volume monografico, per altro, lo stesso Zucconi sembra sentire la necessità di giustificare Mattioni per un presunto tradimento degli “ideali del Movimento Moderno” in favore della “filosofia degli speculatori e la cultura dei geometri” [4]. È forse proprio il pesante giudizio (ideologico) basato sulla natura privata della sua committenza e sulla notevole quantità di edifici da lui realizzati a essergli costato, all’epoca, l’estromissione da alcune delle riviste di settore più importanti. È oggi più che mai necessario un nuovo approfondimento del lavoro di Mattioni e del suo innovativo approccio manageriale al progetto di architettura, che hanno contributo a modellare il volto della Milano del miracolo economico.

[1]:
Lo studio dell’Arch. Luigi Mattioni realizza fra il 1950 al 1961 circa duecento edifici
[2]:
G. Alfonsi e G.Zucconi (a cura di), Luigi Mattioni. Architetto della Ricostruzione (Milano: Electa, 1985)
[3]:
T. Groff e L. Mattioni, Le funivie cittadine su autosili verticali come contributo al miglioramento del traffico (Milano: SIMA, 1955)
[4]:
G. Alfonsi e G.Zucconi, Luigi Mattioni. Architetto della Ricostruzione

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