Martina Taranto, il design ha diritto all’oblio

Oggetti effimeri, destinati a non sopravviverci, ci richiamano alla necessità di chiudere necessariamente il cerchio, progettando anche la fine delle cose di cui facciamo uso.

Siciliana di origine, ingegnere mancato a favore di una laurea al Royal College of Art, la giovane designer Martina Taranto si definisce un’innovatrice sensibile alla dimensione ambientale e alla contaminazione interdisciplinare. Come altri della sua generazione, Taranto si focalizza sul processo piuttosto che su uno specifico esito formale – “io non disegno mai, per me è sempre stata una limitazione disegnare”, ci racconta –per conferire agli oggetti una sorta di volontà propria, svincolata non solo da un’estetica predefinita, ma anche dall’ambizione di affermarsi sulla lunga durata. Delle metafore, potremmo dire ancora, capaci di insegnarci un nuovo rapporto con la temporalità e la coesistenza nello spazio.

“Mi sembra che il concetto di sostenibilità sia un po’ obsoleto, mi permetto di dire. Molto spesso lo colleghiamo concettualmente a qualcosa che viene riciclato, riproposto, reinventato. Trovo però che nel momento storico in cui ci troviamo dobbiamo pensare non più a come usare le materie che già abbiamo, quanto a trovare dei percorsi e dei processi veramente integrati nella natura, ciclici”. Risponde a questo imperativo etico la necessità di individuare un fine vita per gli oggetti che coincida con una sorta di pacifica dissoluzione, come avviene nel suo progetto “Viral Nature_The Echoes Series”, in programma negli spazi di Ventura Future alla Milano Design Week 2020. Ispirati dalle forme classiche dei tempi greci, questi arredi da esterno sono realizzati in uno speciale substrato organico che si rende ideale alla crescita delle piante. Integrandosi nell’ecosistema vegetale preesistente, finiscono per collassare ed essere riassorbiti dal terreno: “lasciando spazio, con un moto di generosità”, dice ancora Taranto, “a quello che verrà dopo”.

Finalisti al Arte Laguna Prize, gli oggetti della collezione “Relativistic Objects” invitano invece a recuperare una percezione del tempo svincolata dal continuo confronto con gli strumenti elettronici. Pensati come una serie di esercizi per sollecitare la nostra percezione sensoriale – pensiamo ad esempio all’effetto di una candela che non si può spegnere e che ci impone di guardarla consumarsi fino alla fine della durata della fiamma - gli oggetti ci riconducono all’esperienza diretta del tempo piuttosto che al suo uso. Un invito a ritrovare consapevolezza e centratura, riallenandoci ancora una volta con la ciclicità delle cose che accompagnano il quotidiano.

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