Spazi ibridi in città

Milano sta sperimentando nuove forme di aggregazione: laboratori artigianali, librerie e caffè sono sia spazi pubblici di passaggio che luoghi di pausa e di collegamenti tra le parti.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1041, dicembre 2019

La vivacità urbana

Molte città del mondo, oggi, vogliono offrire a chi le frequenta esperienze coinvolgenti. Per i visitatori, più o meno occasionali, non si tratta solo di consumare passivamente ciò che viene offerto, ma piuttosto di sentirsi flâneur e flâneuse in un teatro a cielo aperto dove nessuno intende rinunciare a essere protagonista.

L’espediente perché ciò possa avvenire consiste nella moltiplicazione degli interstizi significativi e dei luoghi di transito dove l’esperienza urbana non s’interrompe, ma continua all’infinito in un flusso di emozioni. Così, in un bar si può prendere un caffè o mangiare un panino, ma anche assistere alla presentazione di un libro. Viceversa, in una libreria, l’intervista a uno scrittore può accompagnarsi all’inaugurazione di una mostra fotografica; nel negozio di frutta e verdura si riparano le biciclette; e dal parrucchiere, tra una piega e l’altra, si può gustare un aperitivo. Ogni gesto, atto e situazione diventa motivo di piacere e condivisione, di posture che invitano gli altri a guardarci e noi a ricambiare lo sguardo.

È il teatro urbano, il frontstage perennemente illuminato dalla luce soffice della sperimentazione, del gioco e del divertimento. Il concetto di esperienza come cumulo di prove affrontate (Erfahrung) è sostituito da quello di esperienza come avventura estemporanea (Erlebnis). Non vale la pena continuare a fare le stesse cose per perfezionarsi; meglio moltiplicare le esperienze, l’una diversa dall’altra. In questo quadro, a prevalere è la dimensione emozionale, creativa e artistica, rispetto a quella professionale, razionale e fondata sul calcolo. La leggerezza della serendipity, dell’ibridazione, dello sconfinamento, tra un luogo e l’altro, tra un compito e l’altro, è apprezzata e impagabile. In alcuni casi si assiste anche a una sorta di ribaltamento dei ruoli. Chi ti offre il servizio, o la prestazione, li vive con te e, a sua volta, chi riceve il servizio lo produce.

Concetti come sharing economy, coworking, prosumer costituiscono le coordinate rispetto alle quali si generano i nuovi rapporti tra domanda e offerta. Con questo non intendiamo dire che le dinamiche consumistiche – basate sul binomio venditore versus compratore – siano completamente scomparse; al contrario, si sono trasformate, implementate e soprattutto vedono una partecipazione attiva degli individui attraverso pratiche di self-service nell’accesso ai beni e ai servizi mediate dallo straordinario sviluppo delle tecnologie misto a un successivo coinvolgimento fisico: prenoto un servizio su Internet, per poi viverlo direttamente sul campo.

I “luoghi terzi”, secondo la definizione di Ray Oldenburg, sono alternativi ai luoghi novecenteschi della produzione (come le fabbriche e gli uffici) e a quelli tradizionali dell’abitare. Laboratori artigianali, negozi, librerie, stazioni, caffè, cinema, teatri, musei e gallerie d’arte sono tanto spazi pubblici di passaggio quanto di pausa e di collegamenti tra le parti

È una classe creativa (in senso molto ampio), spesso ingorda e desiderosa di spremere la città fino all’ultima goccia, quella che popola i luoghi terzi di cui sopra.

I “luoghi terzi”, secondo la definizione di Ray Oldenburg, sono alternativi ai luoghi novecenteschi della produzione (come le fabbriche e gli uffici) e a quelli tradizionali dell’abitare. Laboratori artigianali, negozi, librerie, stazioni, caffè, cinema, teatri, musei e gallerie d’arte sono tanto spazi pubblici di passaggio quanto di pausa e di collegamenti tra le parti. Rappresentano i luoghi dell’exposure, della messa in mostra di se stessi in chiave cosmopolita e multietnica. Cittadini del mondo, mollemente seduti in un dehors dopo avere visitato l’ultima mostra di un amico, alziamo lo sguardo verso i tetti della città per leggere i movimenti delle nuvole mosse dal vento, lasciando le briglie sciolte alla rêverie. L’estetizzazione penetra ogni angolo della quotidianità in un’inarrestabile ricerca di godimento.

Ora si tratta di sottolineare i possibili aspetti negativi che si nascondono dietro queste dinamiche. Il primo riguarda il processo di polarizzazione che, per certi versi, caratterizza la spettacolarizzazione dello spazio urbano, con le luci della ribalta che mettono nell’ombra il backstage dove lavorano i gruppi più deboli della popolazione o, quantomeno, rendono ostica la partecipazione al bien vivre per le classi non sufficientemente attrezzate dal punto di vista economico e culturale.

Il secondo aspetto, fortemente connesso al primo, concerne il crescente processo di gentrificazione dei quartieri a vantaggio solo di alcune categorie. Infine, il terzo riguarda i conflitti tra le popolazioni, residenti e non, dal punto di vista della congestione degli spazi e dei servizi, dell’inquinamento fisico, ma anche di quello culturale e linguistico, dell’aumento del costo della vita, degli squilibri fiscali tra chi abita e chi utilizza gli spazi, delle pressioni politiche ed economiche esogene al contesto locale.

Cinema nei cortili delle case popolari di Lorenteggio e Giambellino. Foto Filippo Romano

Questi fenomeni possono essere scongiurati a condizione che la città esperienziale sia anche motivo di emancipazione e riscatto sociale per i più emarginati: a partire dal sostegno da parte della pubblica amministrazione e degli attori privati alle iniziative che si formano dal basso e favoriscono la partecipazione. Una traiettoria da considerare è, in particolare, quella di rivedere le gerarchie spaziali tradizionali, concependo un puzzle urbano che possa prendere in considerazione una maggiore valorizzazione delle aree più periferiche e povere a discapito di quelle centrali, già di per sé particolarmente ricche e vivaci dal punto di vista dell’offerta commerciale e culturale. Si fa riferimento a una riqualificazione urbanistica e alla rigenerazione sociale delle periferie che, partendo dalla risoluzione dei bisogni di base delle persone, ne favorisca anche una loro piena autorealizzazione.

Eccoci, per concludere, alla specificità di Milano. La città – com’è noto – sta attraversando una fase straordinaria dal punto di vista dell’innovazione sociale e della sperimentazione di forme di aggregazione locale. Le origini di tale successo possono essere riconosciute in una sorta di pragmatismo meneghino, che ha peraltro visto lo sviluppo di un’urbanistica negoziata (dunque non eccessivamente prescrittiva), con il forte coinvolgimento dei privati e l’attento ascolto dei vari soggetti che, a vario titolo e provenienti da varie aree, portavano avanti progetti interessanti.

Potremmo dire che l’originalità e la creatività, già sedimentata in alcuni settori: dal design alla moda – ma che si è ulteriormente articolata nel corso degli anni – ha trovato a Milano canali scorrevoli ed efficienti di formalizzazione e d’istituzionalizzazione delle esperienze in fieri. Ora la scommessa sembra quella di evitare che questi fenomeni a forte connotazione creativa (dove la componente del mercato è erroneamente meno visibile, ma ugualmente molta robusta) generino il passaggio da cittadini-abitanti a cittadini-consumatori, rinforzando le disuguaglianze sociali attraverso dinamiche d’inclusione ed esclusione non facilmente riconoscibili in quanto orfane dei più tradizionali organi di rappresentanza delle parti sociali: dai partiti ai sindacati.

Basti pensare alla molteplicità degli attori in gioco nei contesti urbani contemporanei – semplici cittadini di diversa classe sociale, associazioni di quartiere, imprenditori, negozianti, immigrati, giovani artisti, studenti, city user, turisti, pendolari, manager in viaggio d’affari, operatori dei servizi – per renderci conto della ricchezza della realtà urbana contemporanea, ma anche del rischio che in questo patchwork si generino nuove nicchie di marginalità. La bellezza da sola non può salvare il mondo se non è per tutti, ma questo Milano lo sa.

GiampaoloNuvolati è professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università degli studi di Milano Bicocca, dove è direttore del dipartimento di Sociologia e ricerca sociale e prorettore per i Rapporti con il territorio. I suoi ambiti di ricerca riguardano la qualità della vita urbana e il rapporto tra città, sociologia e letteratura, con particolare attenzione al tema del flâneur.

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