Alfredo Brillembourg: la (mia) città (etica) del futuro

Incontriamo a Milano Alfredo Brillembourg. La sua lecture ha aperto il ciclo di conferenze e workshop dal titolo 'About a City 2019. Rethinking Cities', organizzate presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli in occasione della Milano Arch Week.

Alfredo Brillembourg, architetto di origini sudamericane ma nato a New York, studia da anni i meccanismi di sviluppo della metropoli contemporanea, li spiega agli studenti della New York Columbia University e del Politecnico di Zurigo dove insegna, li sperimenta sul campo nelle aree urbane più degradate al mondo – da Caracas a San Paolo, a Città del Capo. Quando gli chiedo qual è l'obiettivo del suo lavoro, mi risponde semplicemente: “Costruire case per le persone più povere”.

Architetto Brillembourg, un programma che suona quasi rivoluzionario...
No, non c'è bisogno di una rivoluzione per attuarlo... Ma quando ho aperto il mio studio a Caracas nel 1993, insieme a Hubert Klumpner (architetto di origini austriache ndr), l'ho chiamato Urban Think-Tank, pensando di usare il termine 'tank' con un duplice significato: 'contenitore urbano' ma anche nel senso più provocatorio di 'carro armato'. Dentro a quella scelta, infatti, c'era (e c'è) tutta la nostra voglia di agire, 'combattere', insomma l'urgenza di far capire, anche alle giovani generazioni, che l'architettura deve diventare uno strumento di reale trasformazione, capace di realizzare un impatto sociale concreto. Che, in altre parole, significa contare sulla partecipazione e sulla collaborazione delle persone, superando le barriere politiche, sociali, culturali, economiche che inevitabilmente le megalopoli costruiscono.

Lei sta dicendo che crede in un ruolo sociale e civile da parte dell'architetto?
Direi soprattutto politico. Non mi fraintenda: non mi interessa essere l'ideologo di un partito politico. Voglio dire che gli architetti devono diventare attivisti, promotori, facilitatori o, meglio ancora, mediatori tra chi decide a livello politico e amministrativo e chi ne sarà il fruitore, e cioè i cittadini. Non dobbiamo dimenticare che la parola città deriva dal greco Polis e le Polis sono nate per le persone e riguardano le persone, soprattutto se povere.

Alfredo Brillembourg. Foto Daniel Schwartz

Ci vuole fare un esempio concreto?
Il progetto che sto realizzando in Sud Africa. Si chiama Empower Shak e il nome chiarisce già il suo obiettivo: dare una dignità etica ed estetica alle 'capanne' del distretto di Khayelitsha, periferia di Cap Town, dove vivono 400.000 persone poverissime. L'idea del nostro studio è quella di essere dei 'facilitatori', e cioè dei tecnici che forniscono alla popolazione locale una soluzione per realizzare unità abitative economiche e sostenibili, che poi vengono costruite dagli stessi abitanti. In altre parole, le persone che vivono in case abusive di una poverissima slam diventano per la prima volta parte attiva nel progetto di ricostruzione della loro stessa abitazione. Noi siamo rimasti in disparte per dar loro lo spazio di farlo. E la partecipazione è sorprendente.

E a Caracas cosa sta realizzando?
In questo momento abbiamo chiuso lo studio, trasferendoci tutti a Zurigo, dove per altro insegno. La situazione nel Paese è gravissima. Comunque, mi consola che quasi tutti i progetti che abbiamo progettato come Urban Think-Tank (la Tower David, la cable car, la palestra verticale ecc) sono stati portati a termine e funzionano benissimo. Ma stiamo lavorando a nuove iniziative, insieme a molti venezuelani, per reinventare una nuova Caracas quando la democrazia ritornerà. Perché ora non c'è.

I temi 'caldi' da affrontare per la città del futuro?
Direi tre. Primo, costruire alloggi per le persone povere e meno fortunate; secondo, realizzare infrastrutture sociali; terzo, concentrarsi su una mobilità sostenibile.

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