Progetto di recupero di Contrada Bricconi

In Val Seriana, un attento progetto di recupero fa rivivere il passato di un vecchio borgo in pietra, disegnando una geografia fatta di nuove tracce e di modalità di lavoro inedite.

Il territorio è il territorio, il paesaggio è il paesaggio, una mappa è una mappa. Questo possiamo dire su Contrada Bricconi: un’invenzione progettuale nata intorno a un vecchio borgo in pietra che diventa futuro, uno sguardo attuale su ciò che accade oggi in montagna, una fotografia che riflette un momento irripetibile per il paesaggio alpino, che sarebbe errato ridurre al concetto di ritorno alla terra o di ripopolamento di un luogo.

Contrada Bricconi porta con sé un’avventura che va chiarita prima di tutto con i suoi attuali gestori, un duo di cittadini che ha scelto un luogo di montagna come ambito per ritrovare una nuova esistenza professionale. Qui, un ambizioso programma di vita si accompagna a un progetto di architettura che recupera l’anima della contrada, la fa sua e la trasforma in un pezzo di futuro. Il disegno di architettura fa così traslare il passato di un vecchio villaggio – scelto non a caso per ospitare le imminenti aree di ricettività (ristorazione e ospitalità) – al suo domani, che coincide con lo spazio dove si lavora. È un pensiero che si fa rito di passaggio, fra tempi – che sembrano ere geologiche, tanto appaiono lontani –, e oggi. Decidere di affidare la propria sussistenza alla natura significa fidarsi e affidarsi a un paesaggio che, storicamente, ha messo in crisi l’equilibrio dei suoi abitanti, minacciati dalle forze di un territorio sviluppato in verticale.

Nel tempo, in questo ambiente, forze e vettori densi hanno individuato una geografia fatta di nuove tracce e d’inedite modalità di lavoro. Ora, paradossalmente, sono proprio le vecchie professioni a dare la cadenza ai passi dell’avvenire, soprattutto se quest’ultimo è osservato sotto la luce di una modernità incerta. La montagna, un tempo spazio naturale dal quale fuggire, poi ambiente dove sono stati sperimentati record e percorsi futuribili – vedi i primati della scienza e dell’ingegneria ottenuti in alta quota – è ora un luogo dove è possibile ripescare vecchi schemi dell’esistenza contadina facendo il viaggio inverso: abitare la città, ma lavorare sull’alpe. La storica debolezza di una comunità, data dalla scarsità di risorse economiche e dal loro rarefarsi nel corso dell’anno, si fa forza proprio in posti come questo.

Qui risulta evidente come il mestiere dei nuovi contadini sottenda l’architettura, la indichi come soluzione, vincendo il paradosso di una modernità che ritiene che l’individuo sia statico, chiamato solo come testimone di processi che non può governare. Non c’è alcun ritorno alla montagna, ma solo al lavoro. Il progetto incontra quindi questi abitanti, ne individua la forza, la debolezza e, soprattutto, la fatica immane, quotidiana, sovrumana. Questi nuovi oggetti architettonici sono pietre, resti, frammenti di un paesaggio da ammirare, oggetti da ‘condividere’, in grado di garantire il rito di passaggio fra il presente e il futuro.

Come dice l’etnografo Bernard Crettaz nel suo Disneyalp. Riflessioni di un etnografo museale alpino, nel tormento quotidiano di oggi e nell’indecisione se spegnere il fuoco e accontentarsi della cenere o accenderne un altro – vivo e in grado di scaldarci – basterebbe invece “meditare sull’enigma sempre aperto dell’origine, ammirare le culture passate e da esse prendere congedo per vivere completamente nel nostro tempo”.

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