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Buckminster Fuller e Norman Foster, un dialogo inedito

Ripresentiamo questa conversazione che risale a più di 40 anni fa, che svelava la loro ultima avventura congiunta: la Casa Autonoma.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1086, gennaio 2024.

Quelli che seguono sono brani di una conversazione inedita tra Norman Foster e l’inventore e visionario americano Richard Buckminster Fuller (1895-1983). Il colloquio avvenne a Londra, nel 1983, poco dopo l’intervento di Fuller alla cerimonia in cui a Foster fu assegnata la Riba Royal Gold Medal. Noto ai più come Bucky, sarebbe morto a Los Angeles, all’età di 87 anni, solo dieci giorni più tardi. Dopo il loro primo incontro, nel 1971, collaborarono a numerosi progetti. Stando alle parole di Foster, condividevano una mentalità basata su “un’insofferenza e un’irritazione nei confronti del modo ordinario di fare le cose”.

La loro prima collaborazione fu un auditorium sotto il quadrilatero del St. Peter’s College di Oxford, nel Regno Unito. Sebbene il progetto non sia stato realizzato, segnò l’inizio di un’amicizia e di un approccio comune alle questioni ambientali, ancora molto sentito oggi. Come ha osservato il critico di architettura Martin Pawley, “Fuller capiva l’importanza di quella che chiamava ‘scienza del progetto’. Riteneva che le esigenze della crescente popolazione mondiale potessero essere soddisfatte solo rendendo progressivamente più effimeri beni e servizi, in modo da raggiungere standard di vita più elevati a un costo inferiore in termini di energia e risorse. In altre parole, fare il massimo con il minimo. Si trattava di un approccio nel quale Foster si riconobbe immediatamente, perché ne vedeva la conferma nella storia”.1

I tempi sono maturi, sempre se non facciamo saltare per aria il pianeta.

Richard Buckminster Fuller

La loro ultima impresa condivisa − sulla quale si concentra gran parte della loro animata discussione − è stata un’abitazione autonoma, ossia autosufficiente dal punto di vista energetico, basata su una doppia cupola a cinque ottavi di sfera, generata da una nuova geometria strutturale che Bucky aveva da poco sviluppato. L’involucro esterno doveva essere una cupola “a occhio di mosca”, in grado di ruotare in modo indipendente attorno a una cupola interna dello stesso tipo, che avrebbe sostenuto spazi abitativi realizzati su piattaforme. Ciascuna doveva essere per metà vetrata e per metà rivestita di pannelli di alluminio lucido, in grado di ruotare rispetto all’altra, in modo che la casa potesse essere chiusa di notte e seguire il sole durante il giorno.

Bucky Fuller e la prefabbricazione, Domus 596, luglio 1979

La Casa Autonoma rappresenta il culmine dell’esplorazione dei due progettisti intorno alle applicazioni pratiche di una struttura a involucro ambientale, che comprendeva Climatroffice (1971) e il padiglione internazionale dell’energia per l’Expo di Knoxville nel Tennessee, negli Stati Uniti (1978). Due decenni prima, Fuller e l’architetto giapponese Shoji Sadao (1927-2019) avevano proposto di racchiudere il centro di Manhattan sotto una semisfera di vetro del diametro di 3,2 chilometri. Scrivendo di quel progetto nel suo libro del 1969 Utopia and Oblivion, Bucky spiegava che: “Le città a cupola hanno uno straordinario vantaggio economico. Una cupola di 3,2 km di diametro (...) calcolata per coprire la zona centrale di Manhattan (...) ha una superficie che è appena 1/85 dell’area totale degli edifici che coprirebbe. Permetterebbe una riduzione del consumo di energia per il riscaldamento invernale o il condizionamento estivo pari a 1/85 della spesa energetica attuale, senza più necessità di rimuovere la neve. In dieci anni, il risparmio ripagherebbe il costo della cupola”. 

Oggi, mentre progetti di cupole a scala urbana, come quello di cui parlano Bucky e Foster, non sono ancora stati realizzati, Foster + Partners e la Norman Foster Foundation sono entrambi impegnati in proposte che hanno un legame diretto con questi programmi pionieristici. Il progetto per l’Energy Expo di Knoxville (1982) − un’imponente struttura singola a tensegrità con un doppio strato, che avrebbe coperto un’area di 6,07 ettari e si sarebbe innalzata fino a 64 metri di altezza interna − ha influenzato la proposta di Foster per un Parlamento pop-up sotto una cupola di vetro nella Horse Guards Parade di Londra. Foster e il suo studio conservano, inoltre, nel loro Dna la convinzione che il coinvolgimento di esperti di un’ampia serie di discipline − sia interni sia esterni allo studio − rappresenti l’approccio migliore per ottenere una soluzione progettuale veramente innovativa e stimolante. Questa filosofia è emersa dalle esperienze di Foster a Yale ed è proseguita con la creazione dei suoi studi e dai loro rapporti con pensatori come Fuller.

Le cupole di Fuller alla Triennale, Domus 399, ottobre 1954

La conversazione qui riportata è una finestra su uno dei tanti scambi collaborativi tra Fuller e il team di Foster Associates. Come ricorda Pawley, “il progetto della Casa Autonoma fu portato avanti per diversi incontri con Fuller a Londra. Una serie completa di disegni fu inviata all’ufficio di Fuller in California, dove venne calcolata la complessa geometria tridimensionale finale e realizzato un modello su larga scala nello studio di un costruttore aeronautico statunitense. Il modello, un kit completamente smontabile, fu poi portato a Londra da Fuller”2. Fino a poco tempo fa, questo modello costituiva la dimostrazione più avanzata delle idee rivoluzionarie dei due progettisti. Ora, però, la tenuta di Château La Coste in Provenza, con le sue installazioni di arte e di architettura, ha commissionato una versione aggiornata della Casa Autonoma, da usare come galleria-studio e abitazione per un artista in residenza. A 40 anni dalle ultime discussioni sul progetto, ferventi e quasi cospirative, quest’idea innovativa ed ecologica potrebbe finalmente diventare realtà. TW

Ci saranno indubbiamente intere città all’interno di cupole e con la Casa Autonoma avremo la possibilità di avere due cupole, una dentro l’altra.

Richard Buckminster Fuller

Disegno di Climatroffice di Birkin Haward, 1971 © Birkin Haward / Foster + Partners

Richard Buckminster Fuller Ho pensato, Norman, che avrei dovuto approfondire con te il significato di questo progetto, perché si ricollega al tuo lavoro. Tu hai fatto grandi cose con la Hongkong and Shanghai Bank e anche altrove. Potresti però fare cose molto più grandi. I tempi sono maturi, sempre se non facciamo saltare per aria il pianeta. L’industria degli armamenti inizierà a rivolgersi verso la produzione di tecnologia per l’edilizia abitativa. Ci saranno indubbiamente intere città all’interno di cupole e con la Casa Autonoma avremo la possibilità di avere due cupole, una dentro l’altra. Possiamo collegarle tra loro e farle funzionare con sistemi idraulici. Te ne ho parlato? Possiamo avere tubi con circonferenza in fibra di carbonio, con un’altissima resistenza alla trazione, che possono essere compressi in corde con un’alta resistenza alla compressione3. Con una cupola interna e una esterna, possiamo collegare le due parti in tensione, come si fa con gli aerei. Una volta che si dispone di un elemento di compressione che non cede, si può sopportare il carico di neve di una montagna!
Norman Foster Certo.

RBF Quindi si possono collegare le due cupole e, tra quella interna e quella esterna, ci saranno degli spazi. Si può costruire un’intera città sotto la cupola e andare a vivere in questa parete. Giusto? La combinazione tra l’idraulica, le travi di collegamento e la vita nell’involucro, lo splendore della matematica... Penso che questo sia il tuo mondo. Stamattina mi sono svegliato con l’assoluta necessità di dirti queste cose. Capisci cosa intendo?
NF Sì, perfettamente. È un modello aperto a possibilità più ampie.
RBF Ogni singola cupola è incredibilmente robusta, quindi si possono produrre in modo indipendente. Sotto potrebbe esserci un’enorme serra. Si avrebbe una crescita controllata e illimitata di cibo.
NF Quindi stai parlando di questo spazio interstiziale come di un’area abitabile?
RBF Sì, quello all’interno della parete è spazio abitabile. Questa, sotto le cupole, è la grande comunità.
NF È un rapporto tra pubblico e privato.
RBF Sono davvero molto emozionato per te. Penso che sia meraviglioso continuare a lavorare e familiarizzarsi con questa struttura.

Buckminster Fuller esamina il modello strutturale della Casa Autonoma con Foster nel loro studio di Great Portland Street nel 1981 © Foster + Partner

NF Quindi hai ancora intenzione di portare avanti il programma Casa Autonoma? Penso che dovremmo puntare a definire una data per l’anno prossimo.
RBF Sì, va benissimo. È una struttura straordinaria, perché si tratta di elementi molto sottili, ed ha un’incredibile resistenza (...). Se si interrompe la conducibilità termica il risultato è una straordinaria capacità di conservazione dell’energia, ed è proprio questo che stiamo facendo. Questo può essere fatto anche nelle grandi cupole. (...) Sono veramente entusiasta. Tieni il modello qui, non lasciare che gli succeda nulla.
NF Assolutamente. L’unica cosa che faremo sarà fotografarlo.
RBF Quando arriverete al punto di poter inserire le travi, allora potremo iniziare ad appendere le cose all’interno. Ho progettato un bellissimo sistema brevettato per realizzare delle librerie appese. Quando entri e le vedi puoi appoggiarti e spingerle, senza fare alcun danno. Ce ne sono tre coppie in tensione che si incrociano. E non si muovono.
NF Sembra fantastico.
RBF Faremo una dimostrazione. Le sta producendo Thonet, una delle più antiche fabbriche di mobili.
NF Mi piacerebbe vedere una fotografia o dei dettagli, se è possibile, prima o poi. Sarei davvero interessato.
RBF Tutte le piattaforme possono essere appese in questo modo, come le librerie. 

Sezione trasversale di una versione aggiornata della Casa Autonoma, ideata come residenza d’artista al Château La Coste, Aix-en-Provence, Francia. Photo © Norman Foster Foundation Archive

Ricordo molto bene il momento di questa conversazione. Shirley Sharkey era la segretaria di Bucky e, negli ultimi anni, lo accompagnava nei suoi viaggi in tutto il mondo. Sentì tutta la conversazione registrata e poco dopo, seduta insieme a noi al tavolo rotondo in un angolo del mio studio, corresse gentilmente Bucky sul fatto che aveva accettato di portare avanti la Casa Autonoma come progetto della famiglia Fuller in parallelo alla versione Foster. Gli ricordò le gravi condizioni della moglie Anne, ricoverata all’ospedale di Los Angeles, dove Bucky doveva recarsi una volta partito da Londra e dopo una conferenza programmata alla Casa Bianca. “Hai ragione, tesoro”, disse lui − una frase che suona troppo familiare, ma che per Bucky era, come in ogni suo atto personale, sempre rispettosa. Poi accennò, quasi fosse un dato trascurabile, al proprio stato di salute e a come i suoi medici fossero sempre sorpresi dalla sua capacità di trattare gli estenuanti programmi di conferenze a lungo raggio come un normale stile di vita, pur mantenendo un sacco di energia. “Dico sempre loro”, affermò, “che se voglio farla finita posso staccare la spina in qualsiasi momento: è tutto nella testa”. Era la mattina del 21 giugno 1983. Dieci giorni dopo, Bucky fece visita alla moglie Anne, che era in coma in seguito a una grave malattia. Al suo capezzale, Bucky ebbe un attacco cardiaco fatale. Dopo 36 ore, sua moglie Anne lo seguì. Ricordo di aver detto all’epoca che Bucky aveva deciso “che era giunto il momento di staccare la spina”. NF

1 Martin Pawley, Autonomous House, in Norman Foster Works 1, Prestel 2003, pag. 532
2 Ibid pag. 547
3 “I tubi di fondo continui delle cupole interne ed esterne della Casa Autonoma ‘galleggiavano’ in una corsia idraulica sigillata a basso attrito che richiedeva pochissimo fluido per sostenere il carico strutturale. Si trattava di un principio che Fuller aveva sperimentato all’inizio degli anni Settanta con i suoi “aghi di voga” (catamarani con scafo tubolare) che aveva progettato per sé. In questi, l'acqua svolgeva il ruolo di fluido idraulico. Utilizzando gli stessi principi idraulici per la casa, è stato possibile spostare le cupole con uno sforzo minimo, aprendo un'intera serie di nuove possibilità”. Ibid pag. 545

Immagine di apertura: Foster (a sinistra) e Buckminster Fuller visitano il Sainsbury Centre for Visual Arts all’Università di East Anglia, vicino a Norwich, Regno Unito, dopo l’apertura nel 1978. Photo © Ken Kirkwood

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