Mario Cucinella: la Torre Unipol e Milano “che rischia di perdere se stessa”

Pochi mesi ci separano dall’inaugurazione del grattacielo, tassello centrale nelle grandi trasformazioni milanesi, e il progettista condivide con noi una riflessione sui rischi del creare una città escludente dietro l’immagine della ricchezza e della creatività.

Impegnato con il suo studio su una molteplicità di fronti che corrispondono ad altrettanti progetti di grande importanza pubblica e di altissima attenzione mediatica, Mario Cucinella è “sotto osservazione” anche per una questione milanese: la sua torre Unipol è l’ultima convitata ancora attesa al tavolo di piazza Gae Aulenti, assieme alla torre Unicredit di Pelli, al Pavilion di De Lucchi, la Biblioteca degli Alberi e le ville di Porta Nuova. Il completamento della torre segnerà il completamento di un megaprogetto che nemmeno troppo metaforicamente è diventato l’immagine di un “modello Milano” che negli ultimi anni ha generato tanta attrazione, investimento e critica.
Ma che ruolo e che posizione assume questo edificio rispetto alla città, e soprattutto: con quale città si va a interfacciare?

È strano che le politiche che creano ricchezza creino esclusione, sembra quasi un paradosso della parola. Che una città ricca come Milano, che si è arricchita di importanti investimenti di grande interesse pubblico non sia riuscita a generare dell’inclusività.

Mario Cucinella

La Torre UnipolSai di Mario Cucinella Architects. Foto di franco ricci su Adobe Stock

Ospite alle domusbreakfast nel nuovo Campus SANAA dell’università Bocconi, mentre era impegnato in una decostruzione collettiva del concetto di sostenibilità, Cucinella affronta queste domande per Domus. E conferma che si prevede l’apertura di Torre Unipol per dopo l’estate, una volta completate finiture e collaudi, e con essa il completamento di una saldatura tra la città è il quadrante Gae Aulenti. “Intanto è l’unico edificio che ha due accessi”, ci racconta “uno è a livello del podium ma l’altro genera una piccola piazza a livello della strada, uno spazio pubblico, e questo era importante perché da ogni lato Gae Aulenti è introdotta da una salita. Poi è un edificio che si inserisce in un sistema di tasselli già finiti, e guardando verso sud ovest prova ad essere una piccola macchina climatica: c’è un grande atrio che ci serve da moderatore climatico, c’è una serra tagliata a 60 gradi grazie alle norme urbanistiche, che hanno in fin dei conti creato un risultato estetico interessante, un grande occhio a sezione ellittica. Volevamo anche raccontare la figura di questa rete (la struttura esterna, NdR) che si allunga e si restringe sotto controllo parametrico: in effetti è forse uno dei progetti dove la componente digitale è stata la più potente, sia in progettazione sia in produzione”. 

Mario Cucinella e Piero Lissoni, domusbreakfast 2023. Foto di Valentina Petrucci

Tra le endorfine e le adrenaline della città, questo edificio non potrà sottrarsi a diventare un simbolo, e questo ruolo è tutt’altro che semplice: “In mezzo a tutta questa felicità, a questa allegria, questa creatività, c’è una parte di città che fa sempre più fatica. Milano raggiungerà la maturità quando riuscirà a equilibrare tutti i diversi bisogni che la percorrono. La città è un ecosistema: se si sposta troppo in una direzione, si rischia una città di cui conosciamo già la storia, che perde in inclusività, fatta per una sola fascia di popolazione – adesso il posto dove puoi andare a vivere a New York è diventato l’estremo sud di Brooklyn, anche Harlem e South Bronx sono gentrificati – si rischia di perdere questa stessa creatività. Perché la creatività è un meccanismo che viene alimentato da tutta una serie di figure molto diverse: occorre che la politica capisca che è necessario frenare un’onda troppo speculativa per garantire un equilibrio sociale. È strano che le politiche che creano ricchezza creino esclusione, sembra quasi un paradosso della parola. Che una città ricca come Milano, che si è arricchita di importanti investimenti di grande interesse pubblico non sia riuscita a generare dell’inclusività. Cresce un sistema che ha sempre più fame di ricchezza, e si dimentica un pezzo della società”. 

Difficile però capire se, con un minimo di onestà intellettuale, resti un margine d’azione per chi progetta. “Secondo me lo spazio c’è”, dice invece Cucinella, “sarebbe però necessario che gli architetti smettessero di pensare che quello che possono fare sono le cose che costano tanto. Io sono molto appassionato di un’architettura a basso costo perché secondo me è lì che possiamo dare il meglio del nostro lavoro, con le nostre competenze e con uno studio dei processi possiamo fare edifici che costano poco, sono accessibili e hanno anche una loro bellezza fatta di semplicità”. Una possibilità che però va a confliggere con un sistema di comunicazione e marketing che esclude, perché include solo le cose eccezionali. “È un meccanismo che va bene per un po’ di tempo, ma poi alla lunga non puoi pensare che tutto si basi solo sull’esclusività delle cose, sempre diverse, sempre più complesse. Piano piano quella cultura prende piede e resta esclusa tutta una fascia di architetti impegnati su progetti meno glamour: mi sembra un meccanismo perverso più che un’evoluzione”.

La Torre UnipolSai di Mario Cucinella Architects. Foto di franco ricci su Adobe Stock

La domanda sul senso di un impegno del settore privato nel sostenere questo processo è ormai quasi una consuetudine, neanche più una domanda, “ma non puoi sempre chiedere al privato di fare uno sforzo sociale” ribatte l’architetto. “Il problema è che il pubblico ha rinunciato a questo ruolo, ed è questo che mi spiace: perché avete rinunciato ad essere portatori di un messaggio? Se non lo fanno loro, che hanno le redini in mano della città e delle regole, non si può pretendere che il privato si metta a fare housing sociale. Certo, adesso si fanno tentativi in quella direzione, ma il rischio è una contropartita ancora peggiore, perché il contesto è quello di un do ut des; assumerebbe un senso se il pubblico assumesse un ruolo trainante. È un momento in cui la riflessione su Milano andrebbe ampliata in una direzione di questa natura: va bene la ricchezza, va bene il design, va bene la felicità, va bene questa settimana intensissima e unica al mondo, ma non dimentichiamo anche su un orizzonte medio lungo una politica più attenta. Per dire, anche Londra – città carissima – ha sul Tamigi case popolari del dopoguerra che nessuno tocca né discute, New York ha i Projects nel pieno della città: sono politiche sociali che non hanno mai ceduto alla speculazione. “Dà l’idea che la vera resilienza stia anche lì, più che altro una vera resistenza, che garantisce il mix sociale vitale per le città. Anche Bologna quando negli anni ’70 ha fatto politiche urbanistiche per cui il 30% dello sviluppo private andava dedicato ad housing sociale, ha costruito questo mix; a Vienna è stato lo stesso, con le case sociali nel cuore della città: il mix permette di mantenere anche una pace urbana, di ridurre gli attriti. In Francia, dove sono state attuate politiche diverse, abbiamo visto ciò che è successo: la storia è un insegnamento”.

Immagine di apertura: Mario Cucinella, domusbreakfast, Milano Design Week 2023. Foto di Valentina Petrucci