Monica Vitti era il design al cinema

L’attrice, con il suo fascino enigmatico e la sua eleganza svampita, è stata il volto della stagione d’oro del cinema italiano e di quella del design e dell’architettura.

Si è spenta a Roma all’età di 90 anni Monica Vitti, tra i più celebri volti del cinema italiano e internazionale dai Sessanta agli Ottanta.

 Sia che interpretasse ruoli enigmatici e magnetici, o vivaci personaggi vernacolari, l’attrice si distingueva per un’ironia intelligente e per la sua raffinata eleganza. Per questo motivo Monica Vitti ha saputo essere tanto un’icona popolare quanto una diva amata dal cinema d’essai.  Soprattutto, è stata tra le prime attrici a portare sul grande schermo una femminilità moderna, non spaventata dal far trasparire fragilità psicologiche e sentimentali.

Il Fungo del quartiere Eur di Roma riassume il sentimento di alienazione del Boom economico espresso dai film di Antonioni con Monica Vitti, come L'Eclisse (1962). Foto: Frame da film.
Il Fungo del quartiere Eur di Roma riassume il sentimento di alienazione del Boom economico espresso dai film di Antonioni con Monica Vitti, come L’Eclisse (1962). Foto Frame da film

Un fascino che si ritrova nei film di cui è protagonista, come se la sua sola partecipazione vi infondesse grazia e ricercatezza. Musa (sul set e nella vita) di Michelangelo Antonioni, Monica Vitti diventa elemento integrante dell’iconografia eterea, esistenzialista e modernista promossa dal regista negli anni ’60. In film quali L’Avventura (1960), La Notte (1961) , L’Eclisse (1962) e Deserto Rosso (1965) emerge fortissima la rilevanza dell’architettura del Boom, del suo rapporto con lo spazio rurale e urbano, e degli interni mid-century per raccontare l’alienazione della società del tempo. Su questi sfondi si muove la Vitti, con la sua raffinatezza a bilanciarne i drammi esistenziali, umana ma aliena nel suo portamento, un tutt’uno con la nuova città che sale.  

Ne La Notte (1961) la rappresentazione dell'alienazione del Boom passa attraverso le inquadrature di Antonioni sull'architettura milanese. Foto: frame da film.
Ne La Notte (1961) la rappresentazione dell'alienazione del Boom passa attraverso le inquadrature di Antonioni sull'architettura milanese. Foto: frame da film.

Sono indimenticabili le grandi vetrate della clubhouse progettata da Luigi Vietti per il Barlassina Golf Club a Lentate sul Seveso, Brianza, teatro della festa de La Notte, dove Vitti consuma una partita a scacchi con il personaggio interpretato da Marcello Mastroianni. O ancora, le ciminiere dell’area industriale di Ravenna in Deserto Rosso, il Fungo del quartiere EUR di Roma che assume connotazioni post-atomiche ne L’Eclisse, l’alienazione di una Sesto Sangiovanni ancora agli albori della sua cementificazione, e le ombre tracciate come geometrie precise e affilate dai condomini, come la Torre Galfa di Milano, nel silenzio estivo sempre ne La Notte. Non stupisce, infatti, ritrovare dei frame dal film tra le ispirazioni che compongono la moodboard della designer Raissa Pardini alla sua recente personale londinese presso la Poko Gallery.  

La clubhouse di Luigi Vietti è teatro di una delle scene più celebri de La Notte (1961) con Monica Vitti e Marcello Mastroianni. Foto: frame da film.
La clubhouse di Luigi Vietti è teatro di una delle scene più celebri de La Notte (1961) con Monica Vitti e Marcello Mastroianni. Foto frame da film

Ecco che il volto di Monica Vitti, così come i suoi abiti sobriamente impeccabili, le scarpe con il mezzo tacco o i mocassini penny, diventano elementi integranti di un immaginario italiano post-bellico e pre-Anni di Piombo, al pari del jazz clean e nervoso di Giorgo Gaslini o dei twist furiosi ma eleganti di Giovanni Fusco dal catalogo CAM Sugar.   

Mattatrice sul set, schiva e romantica nella vita privata, Monica Vitti dichiarerà “Ho giocato ad essere qualcun’altra al cinema e al teatro, e ad essere me stessa nel più intenso, affascinante gioco della vita: il gioco dell’amore”. 

Il raffinato appartamento borghese di Alberto Sordi e Monica Vitti in Amore Mio Aiutami (1969).
Il raffinato appartamento borghese di Alberto Sordi e Monica Vitti in Amore Mio Aiutami (1969). Foto frame da film

La casa diventa così il luogo di espressione della sfera intima dell’attrice, assumendo un ruolo centrale nel suo rapporto con Antonioni. La Cupola, la loro residenza di Costa Paradiso, progettata nel 1969 da Dante Bini secondo il suo brevetto Bini Shell, unisce la remotezza della Sardegna rurale allo slancio per forme espressive nuove e avanguardiste. Ma anche le imperfezioni di un paesaggio quasi lunare, che tanto aveva sedotto il regista durante la realizzazione di Deserto Rosso, alla solida armonia delle superfici di cemento.  

Anche con il passaggio alla commedia, segnato dal sodalizio artistico con Alberto Sordi e a quello con registi quali Ettore Scola, Dino Risi e Mario Monicelli, nel cinema di Monica Vitti ritorna il ruolo dell’abitazione domestica come specchio dell’evoluzione artistica e sociale del paese. La casa diventa opportunità per fare sferzante e sottile ironia sulla nuova borghesia.

La casa Papanice di Paolo Portoghesi e Vittorio Gigliotti protagonista ne Il Dramma della Gelosia - Tutti i Particolari in Cronaca (1970) di Ettore Scola. Foto: frame dal film.
La casa Papanice di Paolo Portoghesi e Vittorio Gigliotti protagonista ne Il Dramma della Gelosia – Tutti i Particolari in Cronaca (1970) di Ettore Scola. Courtesy Archivio Casa Papanice

 In Amore Mio Aiutami (1969), il marito Alberto Sordi pensa di risollevare le sorti del matrimonio con Monica Vitti acquistando una villa di design sul lungomare di Sabaudia come alternativa al loro già elegante appartamento dai cenni scandinavi e metafisici ai Parioli. Ne Il Dramma della Gelosia – Tutti i Particolari in Cronaca (1970), invece, la popolana Donatella (Vitti), proposta in sposa a un macellaio arricchito e scalatore sociale, reagisce confusa ma genuina alla vista della sua modernissima abitazione, la Casa Papanice di Paolo Portoghesi e Vittorio Gigliotti, con un “Ma che so tutte ste canne?”. “È un preciso progetto di qualificazione geometrica. Così ce stava scritto sul progetto della casa”, risponderà lui, fiero ma altrettanto perplesso.  

Le scenografie Op Art di Modesty Blaise (1966). Foto: frame da film
Le scenografie Op Art di Modesty Blaise (1966). Foto frame da film

L’edificio – oggi ambasciata romana della Giordania e priva delle decorazioni che ne definivano la facciata – diventa simbolo di un’Italia che cavalca il nuovo gusto per un design ricercato e radicale, più per appagamento di uno status symbol che per sensibilità artistica. Casa Papanice, per altro, si riconfermerà amata dai registi italiani, comparendo anche nel Giallo Lo Strano Vizio della Signora Wardh (1971). di Sergio Martino.

Ne La Pacifista (1971) – interessante dramma politico del regista ungherese Miklos Jancso – vivere in un’abitazione dagli interni di design diventa invece scudo per le insicurezze della giornalista Barbara, sospesa tra il suo ruolo sociale di donna emancipata e la necessità privata di conferme sentimentali. 

Monica Vitti è anche volto dell'evoluzione del design applicato moda, specialmente in film come La Ragazza Con La Pistola (1968). Foto: frame da film.
Monica Vitti è anche volto dell’evoluzione del design applicato moda, specialmente in film come La Ragazza Con La Pistola (1968). Foto frame da film

La casa è anche il luogo in cui si conservano segreti e peccati, come in Io So Che Tu Sai Che Io So (1982) di e con Alberto Sordi, ma anche ambiente di sperimentazione come negli interni dal gusto post-moderno, fondati sul dialogo tra materiali plastici e cromie verde-azzurre, dell’abitazione presente in Amori Miei (1978) di Steno, dove tra gli arredi si può notare anche un televisore Brionvega Algol verde. 

La plastica, materia regina del nuovo design del Boom, domina gli arredi dal gusto Pop della casa dei neo-sposi Vitti e Albertazzi nella commedia Ti Ho Sposato per Allegria (1967) di Salce, tratta da una pièce teatrale di Natalia Ginzburg. Un letto circolare con lenzuola di vinile arancione e dei balloon disegnati sui muri in sostituzione delle parole, poi, conferiscono un piglio da performance a una quotidianità svampita, figlia dei fumetti e della frenesia della società dei consumi. 

Cuscini e lenzuola in vinile definiscono gli interni dell'appartamento di Monica Vitti in i Ho Sposato per Allegria (1967). Foto: frame da film.
Cuscini e lenzuola in vinile definiscono gli interni dell’appartamento di Monica Vitti in Ti Ho Sposato Per Allegria (1967). Foto frame da film

Il PVC ritorna anche nei costumi di Monica Vitti, in anni in cui l’attrice si smarca dai ruoli enigmatici dei film di Antonioni diventando anche icona di sensualità. C’è la saffica tuta in pelle da biker per Qui Comincia L’Avventura, (1975) road movie dal sapore femminista assieme a Claudia Cardinale, e gli outfit con cui la svampita sicaria sicula ferita nell’onore Assunta Patanè si fa femme fatale yè-yè tra mini gonne, parrucche, cappotti in PVC nero e giacche in nylon arancione ne La Ragazza con la Pistola (1968) – dove fa capolino anche il Royal Crescent di Bath, una delle più distintive architetture georgiane inglesi.  

Vitti, dunque, anche icona pop tanto da incarnare una delle sue eroine, il fumetto Modesty Blaise, in un film del 1966 diretto da Joseph Losey. La pellicola è un concentrato di costumi che si muovono tra sci-fi e space-age, scenografie optical e strumentazioni che diventano oggetti di design, un po’ Barbarella un po’ Diabolik in salsa Swinging London. Questa esperienza la porterà a posare per il fotografo Terry O’Neil, ma anche a ispirare registi e artisti. Come il pittore Jaroslav Vožniak che le dedicherà un ritratto nel 1969.  

Il set di Modesty Blaise (1966) strizza l'occhio ai fumetti e ad un design dal gusto Sci-Fi. Foto: frame da film.
Il set di Modesty Blaise (1966) strizza l’occhio alla Pop Art e ad un design dal gusto Sci-Fi. Foto frame da film

“Mi sono sempre profondamente emozionata di fronte a un quadro, come un racconto, come una confessione, come un innamoramento. I colori, le linee, mi fanno battere il cuore e mi allontanano dalla quotidianità.” aveva dichiarato Monica Vitti. 

Non a caso, una delle immagini più candide delle tante che la ritraggono è quella in compagnia di Antonioni, assorti a contemplare le sculture di Giacometti alla Biennale di Venezia del 1962. 

Immagine di apertura: Monica Vitti nella zona industriale di Ravenna sul set di Deserto Rosso (1965) di Michelangelo Antonioni. Foto frame da film

Ultimi articoli di Architettura

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram