Ritorno Crespi d’Adda, a 25 anni dalla nomina a sito Unesco

Il villaggio operaio immaginato dai Crespi come una città ideale è oggi al tempo stesso uno straordinario parco di archeologia industriale e un tranquillo quartiere suburbano.

Crespi d'Adda, Veduta aerea. Foto © Archivio Storico di Crespi d'Adda

La valle dell’Adda incide nell’Alta Pianura lombarda un’inaspettata pausa verdeggiante. Dall’autostrada A4 o dalla ferrovia Milano-Venezia, appare per pochi istanti come una selva fitta e ripida che sprofonda fino al corso d’acqua, qui particolarmente sinuoso. È una visione fugace racchiusa tra paesaggi monotoni in puro stile Padania Classics – la ricerca fotografica di Filippo Minelli – dove capannoni e villette, cascine e aeroporti internazionali si susseguono senza ordine o gerarchie apparenti. L’istituzione del Parco dell’Adda Nord, nel 1983, ha certamente contribuito a limitare ulteriori sconfinamenti dello sprawl verso il fiume.

In questo tratto della valle Leonardo da Vinci trovò il fondale più adatto per la sua Vergine delle rocce, “ambientata” nei pressi di Imbersago. E sempre qui la Lombardia ormai risolutamente industriale dei decenni a cavallo tra XIX e XX secolo rintracciò risorse utili al funzionamento della sua macchina produttiva. Oggi, le antiche centrali idroelettriche di Calusco e Porto di Cornate, oltre che la celebre Taccani di Trezzo sull’Adda (Gaetano Moretti, 1906), dialogano con infrastrutture eroiche come il Ponte San Michele, interamente in metallo e su due livelli (Jules Röthlisberger, 1889), all’interno di uno dei territori di archeologia industriale più ricchi e vari di tutto il Nord Italia.

Il suo elemento di maggior pregio è il villaggio operaio di Crespi d’Adda, costruito a partire dagli anni ’70 dell’800 da Cristoforo Benigno e Silvio Benigno Crespi. Nel 2021, una serie d’iniziative promosse dall’Associazione Crespi d’Adda festeggeranno, con l'ormai canonico anno di ritardo pandemico, i 25 anni dalla sua iscrizione nella lista dei Patrimoni dell’umanità dell’Unesco. Correva l’anno 1995, e per la prima volta l’elenco dei siti selezionati in Italia non comprendeva solo luoghi più antichi e ben più noti come Siena, Ferrara e Napoli, ma anche un complesso industriale poco conosciuto al grande pubblico, e ancora in funzione – la fabbrica cesserà le attività otto anni dopo.

La nomina di Crespi d’Adda fu l’inaspettato successo personale dei pochi entusiasti che s’impegnarono nella preparazione della candidatura, soprattutto gli universitari membri del locale “Centro sociale Fratelli Marx”. Al tempo stesso, per l’Unesco si trattava di una scelta coerente in un percorso di progressiva diversificazione delle tipologie di bene protette dall’associazione. Alla metà degli anni ’90, infatti, era ormai comunemente accettata una nozione di patrimonio estesa anche all’architettura otto-novecentesca, ignorata fino a pochi anni prima dagli stessi paladini della conservazione, e a tipologie edilizie lontane dal repertorio tradizionale dei monumenti. Al di là delle sue qualità intrinseche, Crespi d’Adda fu anche la proposta giusta al momento giusto.

I Crespi erano originari di Busto Arsizio, cittadona di provincia che verso il 1870 si preparava a trasformarsi nella così detta “Manchester d’Italia”, caos urbano di stabilimenti e di ciminiere. Sulle rive dell’Adda costruirono un’alternativa a questa condizione, una città ideale di chiara ascendenza nord-europea, interamente pianificata e di cui il cotonificio era il fulcro pratico e simbolico. Crespi d’Adda rappresentava la traduzione tridimensionale di un modello socio-economico che esaltava il ruolo pubblico del capitano d’industria, a cavallo tra filantropia e paternalismo, welfare aziendale e controllo sociale. Meraviglie e contraddizioni dell’era della Rivoluzione Industriale.

L’utopia di Crespi d’Adda prevedeva che l’intero ciclo di vita degli addetti della fabbrica si svolgesse nel villaggio, luogo di accoglienza e di formazione alla vita moderna per le maestranze che s’inurbavano dalle campagne. Così, oltre alla villa padronale, alle case unifamiliari per i dirigenti e a quelle bifamiliari per gli operai, a Crespi d’Adda erano attivi l’asilo e le scuole, il teatro e il dopolavoro, il campo sportivo e l’ospedale. Curiosamente la chiesa locale, dedicata al Santissimo nome di Maria, fu concepita come una riproduzione in scala ridotta del Santuario di Santa Maria di Piazza di Busto Arsizio, omaggio in formato tascabile alla città d’origine dei Crespi. Infine il cimitero, opera di Gaetano Moretti ricca di riferimenti simbolici ed esoterici, fu realizzato su pressione dei Crespi in deroga alle normative sovracomunali che regolavano la distribuzione dei campisanti sul territorio. Chi viveva a Crespi d’Adda, moriva e veniva sepolto a Crespi d’Adda.

Visioni analoghe a quella dei Crespi si leggono ancora oggi in filigrana nei tessuti costruiti di tante medie e grandi città industriali italiane, punteggiate di residenze e servizi, destinati in origine agli operai di questa o di quella fabbrica. Il villaggio operaio della bergamasca è eccezionale perché è un insediamento di fondazione dove i singoli frammenti si organizzano in un disegno unitario e leggibile, privo delle interferenze che lo stemperano altrove. Questa sua compiutezza, oltre che l’assenza di stratificazioni successive, ne fa una testimonianza precisa e didascalica di un momento specifico della storia architettonica e urbanistica, ma anche sociale ed economica, del Nord Italia.

La stagione migliore per visitare Crespi d’Adda è probabilmente l’estate. Non per evitare le asperità degli inverni lombardi, ma perché nei mesi più caldi il bosco circostante si densifica. Avvolto da chiome compatte di latifoglie, vicolo cieco sulla lingua di terra alla confluenza tra l’Adda e il Brembo, Crespi d’Adda vive in un isolamento ovattato e, come tutta la valle, sembra ignorare la frenesia che gli scorre attorno. La ciminiera in mattoni sopravvive come monumento del suo passato industriale. Le case sono gli spazi della continuità, dove la vita si svolge senza interruzione da un secolo e mezzo. L’Unesco Visitor Center, aperto nel 2017, è la promessa di un futuro cultural-turistico, che ci auguriamo possa contribuire attivamente alla sua protezione e valorizzazione sul lungo termine.

Crespi d'Adda, Ingresso della fabbrica. Foto © Walter Carrera, Associazione Crespi d'Adda
Crespi d'Adda, Ingresso della fabbrica. Foto © Walter Carrera, Associazione Crespi d'Adda

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