Gilles Clément e l'occasione dopo il Coronavirus

Per il teorizzatore del giardino planetario e del terzo paesaggio, l’eccezionale situazione di stallo causata dalla pandemia può favorire una inversione di rotta: crescita della conoscenza e decrescita materiale.

Gilles Clément sta passando la quarantena nella sua casa alla Vallée, nella Creuse, la zona del Limosino dove trascorre lunghi periodi – il Terzo paesaggio nasce proprio qui, osservando il bordo del lago di Vassivière e i suoi dintorni – e dove da molti anni conduce i suoi esperimenti con le piante nel suo grande giardino semi-selvatico, vivendo in una casa costruita con le proprie mani. Il giardiniere e paesaggista francese è impegnato ora nella progettazione di un nuovo parco per la Bibliothèque Nationale a Parigi composto unicamente di piante produttrici di carta che aprirà nel 2022. In un breve video rilasciato di recente ha dichiarato che il corona virus ci mette di fronte a una grande occasione, e gli chiediamo quindi delucidazioni in merito.

“Penso che lo choc cui siamo sottoposti possa essere una maniera di riapprendere a vivere per tutti i cittadini. Intendo per questo ritrovare l’economia domestica, rigovernare la casa e il giardino, riscoprire l’uso del tempo. Non siamo costretti a correre, obbligati a essere veloci come prima, dobbiamo recuperare una maniera di vivere che abbiamo dimenticato per colpa di una nevrosi economica che ci ha obbligati a essere sempre competitivi, performanti, soprattutto in Francia dove abbiamo avuto un approccio del tutto sbagliato. Certo, c’è chi soffre per il confinamento e per un’economa che li mette in difficoltà, ma ci sono anche molti che ora scoprono un modo nuovo (o antico) di organizzarsi”.

Claude Monet, Valley of the Creuse, 1889

Non pensa invece che si tratti solo di un momento transitorio?
Ci sono pressioni estremamente forti dei governanti riguardo all’inquinamento causato da un modello economico che vuole tornare a prima della crisi del corona virus perché hanno una paura matta che si affermi un modello economico alternativo, magari alieno all’ideologia della crescita a tutti i costi.

Eppure nei suoi scritti lei non abbraccia mai le linee di pensiero prevalenti, “L’Alternativa ambiente” guarda con interesse alla decrescita senza tuttavia aderirvi del tutto [1], può spiegare meglio perché le sue ragioni non vanno confuse con quelle dei sostenitori della “decrescita felice”?
Credo che si debba distinguere fra una decrescita materiale, che in molti aspetti è auspicabile, e una crescita della conoscenza che invece è del tutto necessaria: dobbiamo ancora studiare molto per capire come abitare, vivere, mangiare, spostarsi e comunicare in modo nuovo e meno folle. Più conoscenza, dunque, certamente, mentre la decrescita è necessaria da un punto di vista materiale ma non in tutti i settori. Penso in particolare a una decrescita in alcuni modelli culturali così stupidi come la bramosia che oggi indirizza molti verso un consumismo assurdo che porta all’acquistare i SUV, catafalchi inadatti alle città europee, ma che hanno rilanciato l’economia americana per un certo periodo e noi la copiamo… è difficile essere più fessi [in realtà usa un termine più forte]. Soprattutto la ricchezza deve cambiare il proprio modello di bramosia, trovare una maniera di vivere e desiderare il non inquinamento, praticare l’esercizio fisico in luoghi piacevoli e non certo scorrazzare in Suv.

Sempre nell’Alternativa ambiente, forse il suo teso più politico, anche se c’è un accenno anche nel Giardino in movimento, a proposito di vecchi modelli, parla della necessità di abbandonare il “progetto cartesiano”, che cosa intende esattamente con questo?
Nella visione cartesiana c’è un pensiero dualista che oppone ad esempio il bene e il male e a mio avviso bisogna combattere la visione tecnocratica del mondo, il programma e il progetto economico è tecnocratico e cartesiano, non ha nulla a che vedere con la biologia che non si può mai progettare in anticipo. Come diciamo sempre con il mio amico economista Michele Bee c’è sempre bisogno di uno “spazio di indecisione” dove ogni individuo può dire qual è la giusta soluzione a un problema, un riflesso di opportunismo biologico da cogliere all’ultimo momento, non si può fare una programmazione totale con la natura.

In questo noi italiani, così allergici alla programmazione per natura, siamo avvantaggiati, essendo i maestri dell’improvvisazione su tutto, l’editore di Barcellona Mónica Gili anni fa mi fece notare che solo gli italiani sono in grado di tenere un discorso senza averlo scritto prima…
È un vantaggio biologico la mancanza di programmazione! E non è affatto pericoloso, ci vuole empirismo che è una dottrina molto concreta e contraria alle ideologie. Abbiamo il diritto di sognare! Il sogno non è un’ideologia, è una dimensione poetica che può farci cambiare idea anche all’ultimo momento e ci permette di creare, di disegnare o di progettare un quadro, un giardino, un’architettura, ma è molto importante perché alimenta la dimensione culturale dell’uomo. Soprattutto sul piano biologico siamo obbligati, secondo me, ad avere un’andatura empirica.

Dal suo punto di vista lì nel giardino della Vallée, che tipo di effetti concreti sta avendo il cambiamento climatico sul paesaggio che la circonda? Che tipi di effetti vede non tanto nel futuro, quanto nel presente?
Le modificazioni climatiche ormai da diversi anni hanno riguardato in particolare i venti. Non soffiano più come prima, oggi soffiano più da nord e da est, mentre prima soffiavano soprattutto da ovest perciò abbiamo periodi più secchi, anche prolungati, che gli alberi non riescono a sopportare. Qui nel Limosino ci sono alberi che spariscono come i faggi: muoiono e cadono, accumulandosi per terra ed è un po’ inquietante vederli. Come specie dovranno viaggiare verso nord, altre specie come le querce o piante mediterranee come il leccio invece affrontano meglio il cambiamento. Qui nel mio giardino vorrei piantare una quercia vallonea, che è comune nel sud Italia specialmente in Puglia e Basilicata, credo che in futuro si moltiplicheranno da queste parti.

Cosa pensa che potremmo fare nell’immediato, dunque?
Due cose principalmente. Primo: fermare tutte le fonti di inquinamento che rinforzano il riscaldamento globale futuro, perché le emissioni di oggi creeranno danni nel futuro, noi stiamo affrontando ora i problemi causati dalle emissioni di trenta o quarant’anni or sono. Secondo: il cambiamento attuale non può essere fermato di colpo, dobbiamo quindi adattarci senza aumentare l’inquinamento, come invece sembra voler fare il presidente Macron che ha già deciso di rilanciare Air France e Renault… sarebbe criminale non cercare di cambiare tutto questo.

Lei stesso forse dovrà cambiare il suo stile di vita, visto che ha sempre tenuto conferenze e lezioni anche quattro volte alla settimana, oltre ai numerosi viaggi di studio, non crede?
Tutto è fermo per ora, in realtà dovrei tenere delle lezioni a Venezia, tornare alle Manifatture Knos di Lecce, e in effetti non vorrei più prendere aerei in futuro. Continuo a scrivere e a fare delle videoconferenze naturalmente. Ho da poco scritto un articolo su invito di Le Monde che il comitato di redazione ha rifiutato di pubblicare senza darmi nessuna spiegazione in merito; io penso che sia a causa del contenuto in cui si dice che l’espressione “noi siamo in guerra” usata da molti governi compreso quello francese, costituisce nei fatti una “strategia della paura” [2] (l’articolo si intitola così) volta ad aumentare il controllo sociale perché il virus non fa guerre, è un fenomeno totalmente naturale.

Anche lei è dell’avviso insomma che lo stato d’emergenza o, come preferisce chiamarlo Giorgio Agamben, lo “stato d’eccezione” siano pericolosi presupposti per una crisi delle democrazie liberali?
Beh è impressionante come quasi tutte le libertà personali siano sparite di colpo, col consenso pressoché di tutti. Non per me, che fortunatamente sono in campagna già da prima, ma soprattutto per chi è costretto a restare in città. È certo molto inquietante leggere dei piani di aumento della sorveglianza attraverso delle app per il telefonino o altri strumenti elettronici, le telecamere che sorvegliano gli abitanti su tutte le strade rendono i poliziotti dei cacciatori di trasgressori di norme, un clima indubbiamente orribile.

[1]:
Gilles Clément, L’Alternative ambiante, Sens&Tonka, Paris 2014, p. 22; L’Alternativa ambiente, Quodlibet, Macerata 2015, p. 27.
[2]:
Strategia della paura, Gilles Clément, 13 aprile 2020, quodlibet.it

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