“Il faut être absolument moderne”. In morte di Vittorio Gregotti

Ripercorriamo la traiettoria di una carriera esemplare. Gregotti è stato modello “di architetto riformatore, d’impostazione tradizionale e di rango elevatissimo”, scrive Manuel Orazi per Domus.

È semplicemente impossibile sintetizzare, anche solo per sommi capi, l’opera di Vittorio Gregotti. Protagonista indiscusso dell’architettura del secondo Novecento, ha iniziato la sua carriera in modo folgorante, lavorando per Auguste Perret — il maestro di Le Corbusier — e conoscendo di persona Walter Gropius e l’anziano Henry van de Velde, figure che lo segnarono profondamente da un lato verso una propensione organizzatrice e dall’altro verso una declinazione totale della progettazione, persino al di là del consueto “dal cucchiaio alla città”. Nato a Novara nel 1927 sotto il segno del leone, cresce in quella aurea borghesia che faceva la villeggiatura al lago d’Orta (come Leonardo Benevolo) e non casualmente il suo libro preferito sarà sempre I Buddenbroock.

Si laurea con Ernesto Nathan Rogers nel 1952 e l’anno seguente lo segue sia come assistente universitario sia nella redazione di Casabella-Continuità dove cura numeri memorabili come quello su Peter Behrens — altra figura organizzatrice e fondatore del Werkbund — e sviluppa l’idiosincrasia verso il partito avverso di Domus. Nel frattempo apre uno studio nella sua città insieme con Lodovico Meneghetti e Giotto Stoppino, collocandosi così a metà strada fra i fautori del neoliberty torinese e milanese.

Gli è naturale di tenere insieme architettura, urbanistica e disegno industriale [1] sia nella professione sia nella ricerca come già suoi modelli, senza disdegnare sortite storiografiche di pioneristica rilettura critica dell’architettura del ventennio fascista [2] e del dopoguerra [3]. Nel 1964 cura insieme con Umberto Eco la XIII Triennale dedicata al tempo libero, realizzando un salone centrale in forma di caleidoscopio ottagonale.

Alvaro Siza, ritratto di Vittorio Gregotti, 1990

Il sodalizio con il semiologo piemontese lo introduce negli ambienti delle neoavanguardie e infatti quando esce il suo libro fondamentale, Il territorio dell’architettura (1966), è pubblicato da Feltrinelli nella collana Materiali che era allora il territorio del Gruppo 63 di Alberto Arbasino ed Edoardo Sanguineti. È un crescendo rossiniano: nel 1969 vince il concorso per lo Zen 1 e 2 a Palermo, nel 1973 quello per l’Università della Calabria, che avrebbe dovuto essere lunga un chilometro; due progetti controversi, figli del loro tempo, oggetto di critiche spesso meritate e però volgari, concepiti peraltro in contesti difficilissimi e a una scala territoriale mai vista prima. In entrambi i casi determinante fu la presenza di Franco Purini nel suo studio così come poi quella dei due Pierluigi, Nicolin e Cerri, coi quali fonda nel 1974 la Gregotti Associati dove lavorano anche Augusto Cagnardi e Italo Rota, fra gli altri.

Piani regolatori, progetti di riqualificazione, allestimenti museali, grafica editoriale e aziendale coordinata, design. Gregotti è stato infatti anche il padrino del dialogo transdisciplinare, nel ’67 firma ad esempio le scene della scandalosa Carmen di Arbasino a Bologna per cui il presidente Carlo Ripa di Meana non ha difficoltà a nominarlo direttore del settore arti visive della Biennale di Venezia dove introduce le mostre di architettura, gettando le basi per una sezione autonoma [4]. Nel 1979 è direttore di Rassegna e, dal 1982, di Casabella: se la seconda diventa l’organo di governo della cultura architettonica italiana tripartita degli anni ‘80 dallo stesso Gregotti (progettazione), da Bernardo Secchi (urbanistica) e Manfredo Tafuri (storia), tutti docenti allo IUAV, la prima invece diventa un giardino delle delizie architettoniche. Gli stadi di Barcellona (1985), Genova e Nîmes (entrambi del 1986) sono fra i più felici dello studio.

La monografia sulla Gregotti Associati, pubblicata un paio di anni dopo aver vinto il concorso internazionale per la riqualificazione dell’ex area industriale della Bicocca e del Centro Cultural de Belém a Lisbona, è uno sfoggio di egemonia culturale [5]: i saggi che lo compongono sono firmati infatti da Massimo Cacciari, Ettore Sottsass jr, Joseph Rykwert, Kenneth Frampton e Oriol Bohigas, fra gli altri. I suoi libri, numerosissimi, sono pubblicati dai principali editori, anche all’estero [6], ed era l’unico a poter collaborare contemporaneamente col Corriere della Sera e con Repubblica.

Vittorio Gregotti, Il territorio dell'architettura, Feltrinelli 1966.

Il suo ruolo centrale, dialogante con i massimi scrittori, artisti e filosofi [7] del suo tempo si è però spesso tramutato in eccesso di protagonismo: in sedici anni di direzione di Casabella non ha mai pubblicato un progetto di Aldo Rossi, che da giovane era stato allievo di Rogers e redattore della rivista come lui, firmando insieme un saggio sul novarese Alessandro Antonelli [8], nemmeno in occasione della vittoria del Pritzker Prize nel 1991.

Oltre a ciò la Gregotti Associati non ha saputo trovare una nuova linfa, perdendo negli anni i suoi componenti migliori, anche dolorosamente, fino a chiudere per sempre, né ha mai pensato di coinvolgere altri colleghi di valore nei suoi progetti più ambiziosi a scala territoriale, diventando così ostaggio del proprio stile. È difficile dunque considerare Vittorio Gregotti un maestro perché non ci ha lasciato allievi del suo livello, ma certo resta un modello di architetto riformatore, d’impostazione tradizionale e di rango elevatissimo — ottimo disegnatore a mano, peraltro —, indubbiamente cosmopolita, fedele al motto di Rimbaud: “Il faut être absolument moderne”.

Immagine di apertura: Università della Calabria a Cosenza, Gregotti Associati, 1974.

[1]:
Vittorio Gregotti, a cura di, Architettura, urbanistica e disegno industriale, Milano, Fabbri 1967.
[2]:
“Edilizia Moderna” n.81, 1963, numero monografico, Il Novecento e l’Architettura, a cura di Vittorio Gregotti e Guido Canella.
[3]:
Vittorio Gregotti, New Directions in Italian Architecture, New York, Braziller 1968.
[4]:
Intervista a Vittorio Gregotti in Aaron Levy and William Menking, edited by, Architecture on Display. On the History of the Venice Biennale of Architecture, London, Architectural Association 2010, pp. 21-34.
[5]:
Paolo Colao, Giovanni Vragnaz, a cura di, Gregotti Associati 1973-1988, Milano, Electa 1990.
[6]:
Vittorio Gregotti, Le territoire de l'architecture, Paris, Gallimard, 1982, prefazione di Umberto Eco.
[7]:
Vittorio Gregotti, Diciassette lettere sull'architettura, Roma-Bari, Laterza 2000.
[8]:
Vittorio Gregotti, Aldo Rossi, L’influenza del romanticismo europeo nell’architettura di Alessandro Antonelli, in “Casabella Continuità”, n. 214, febbraio-marzo 1957, pp. 63-70.

Ultimi articoli di Architettura

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram