Fare nido significa costruire un rifugio per sé e per gli altri

Benessere, sicurezza e accoglienza sono temi chiave nel mondo della progettazione. Per il ciclo Domustalks, ne parleremo il 26 novembre al Volvo Studio di Milano con il neuropsichiatra Stefano Benzoni e Carla Palù dello studio CÙ Design.

Nel dizionario italiano sono molte le accezioni della parola “nido” e quasi illimitate le interpretazioni funzionali, formali o estetiche che architetti e designer possono formulare a partire da questo termine.

Nel suo libro Nesting. Fare il nido: corpo, dimora, mente Sarah Robinson racconta: “Se richiamiamo alla mente ricordi colmi di significato, subito ci rendiamo conto di come essi siano legati ad un luogo specifico. Quel luogo evoca una rete di sensazioni: il calore del sole sulla pelle, il profumo della persona amata, il suono della sua voce. L’architettura, attraverso i suoi mezzi unici, crea un rifugio per queste cose, allo stesso tempo tangibili ed effimere”.

L’architetta e filosofa di San Francisco parla della relazione intima tra gli spazi che viviamo e il nostro benessere, per cui per progettare l’architetto deve esplorare le esigenze e gli stati d’animo del cliente in un rapporto quasi intimo.

L'architetto giapponese Tono Mirai ha utilizzato solo materiali naturali per costruire un rifugio ideale nei boschi di Nagano

Un nido può essere un luogo dove si vive o si è vissuto, la casa dove abitano o si apprestano ad andare le giovani coppie. Rimanda allora al termine danese hygge che rimanda alle piccole gioie della vita quotidiana, correlata al senso di comodità, sicurezza, accoglienza e familiarità. In termini architettonici questi concetti possono tradursi in moduli abitativi minimi, piccoli appartamenti, rifugi, bivacchi di montagna o casette di paglia. Sono costruzioni che ci isolano dal caos esterno e offrono un rifugio essenziale.

Arredi minimali, superfici di legno, tetti a falde e grandi vetrate che aprono gli interni verso boschi e paesaggi incontaminati sono gli elementi che definiscono questo tipo di progetti, che non hanno bisogno di molto, anzi, servono a liberarci dall’accumulazione di stimoli, fatiche e oggetti che invadono la vita metropolitana.

Anche se lontana dall’immaginario montano e dall’estetica dei classici rifugi alpini, La Cupola che Dante Bini costruì nel 1969 per Michelangelo Antonioni e Monica Vitti è forse il nido d’amore per eccellenza. La bellezza di questo edificio sta nell’astrattezza quasi metafisica dei suoi volumi, che non vogliono nascondersi nel contesto incontaminato della Gallura, provando a creare una rottura poetica con il paesaggio.

Studio di Architettura Dante Bini & Associati, La Cupola, Costa Paradiso, Sardegna, 1971. © Archivio Costa Paradiso, Pepita Isetta

L’accezione principale della parola nido indica un piccolo ricovero che gli uccelli si costruiscono per covare le uova e allevare i piccoli. Questo può essere fabbricato sia con terra, rami e fuscelli intrecciati, sia utilizzando cavità e ripari naturali, che poi sono rivestiti di piume, paglia, muschio, lana o altro materiale morbido.

“Sono arrivata a capire che fare nido non significa stabilire una casa permanente ma piuttosto è l'arte di vivere con leggerezza sul pianeta,” ha detto l’architetta Jeanne Gang in un’intervista recente. Sono numerosi i casi in cui architetti e designer reinterpretano formalmente forme e concetti del nido, come nel caso di The Reading Nest, installazione progettata da Mark Reigelman utilizzando esclusivamente legno di scarto. In questo caso si unisce uno spazio raccolto e intimo al rispetto per l’ambiente. L’intervento site-specific per gli spazi aperti di una biblioteca pubblica a Cleveland è uno spazio per la coltivazione lenta di cultura e comunità.

Mark Reigelman, The Reading Nest, Cleveland, Stati Uniti. Foto Mark Reigelman e Bob Perkoski

In alcuni casi costruire un nido significa non pensare agli esseri umani ma alle altre specie che popolano le nostre città. Un intero capitolo del libro Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (2019), scritto dalla filosofa e docente statunitense Donna Haraway, è dedicato al rapporto tra uomini e piccioni. Tra le fabule speculative presentate c’è anche quella del progetto Capsule, che la designer Matali Crasset ha realizzato in un parco a Lille, in Francia. Scrive Haraway: “Lo spazio interno alla capsula è organizzato funzionalmente come un albero, è una specie di asse del mondo, e la forma esterna riecheggia i vecchi modelli egiziani delle piccionaie. All’interno di questa casa per uccelli commissionata da coloro che allevano, crescono, volano e con-divengono insieme a loro, interagiscono dei mondi storici, mitici e materiali.”

Matali Crasset, Capsule, Lille, Francia, 2003

Che sia per umani o per altre specie viventi, il nido è la l’archetipo della dimora, uno spazio da farsi in continuazione e con lentezza a partire da noi stessi.

Il 26 novembre al Volvo Studio, Domus incontra il neuropsichiatra Stefano Benzoni e l’architetto Carla Palù dello studio trevigiano CÙ Design per parlare di benessere e sicurezza nel mondo del progetto contemporaneo.

Evento:
Domustalks
Titolo:
Fare nido. Progettare una casa sicura partendo da sé
Relatori:
Stefano Benzoni e Carla Palù | Cù Design
Modera:
Giulia Guzzini (Domus)
Quando:
il 26 novembre 2019
A che ora:
ore 18.30
Dove:
Volvo Studio Milano
Indirizzo:
via della Liberazione (angolo via Melchiorre Gioia)

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