Thinking Archeologically: Un'intervista con Tsuyoshi Tane

Selezionato come “Architect Of The Year 2019” da Nikkei Sekkei Architecture sulla base dell'esposizione mediatica, Tsuyoshi Tane è attualmente uno dei nomi in ascesa dell’architettura giapponese.

A quarant'anni ha recentemente esposto i propri lavori in due importanti gallerie di Tokyo, posizionandosi gradualmente accanto ad altri grandi nomi dell'architettura giapponese. Il progetto che gli ha valso fama internazionale – il Museo Nazionale Estone (Photo Takuji Shimmura) – è il primo di una lunga serie fra i quali si posizionano tanti lavori quali il Museo d’Arte di Hirosaki, il progetto di un villaggio pensato come un hotel diffuso a 5 stelle in Bhutan, una casa a Todoroki, uno stadio a Shibuya, istallazioni varie e una “metodología-manifesto” sul suo modo di praticare e pensare l’architettura. Abbiamo visitato il suo studio a Parigi per discuterne insieme. Siamo molto incuriositi dalla tua storia, specialmente dal momento che hai appena terminato di esporre i tuoi lavori in due mostre in luoghi rilevanti per le mostre di architettura a Tokyo come la Toto Gallery MA e la Tokyo Opera City Art Gallery (TOCAG) ... Nel caso di Toto Gallery MA, fino a poco tempo fa ospitava principalmente architetti con maggiore esperienza. Recentemente Kazuyo Sejima e Yoshiharu Tsukamoto sono diventati membri del comitato di selezione e stanno invitando le giovani generazioni di architetti giapponesi a mostrare il loro lavoro, come Akihisa Hirata e me durante l'ultimo anno. Nel caso di TOCAG era un caso diverso, che una istituzione di tale importanza pensasse a me è stata una grande sorpresa. 

Todoroki House in Valley, Tsuyoshi Tane. Photo Yuna Yagi

Come è iniziata la tua connessione con la Francia? Perché hai deciso di trasferirti qui? Non è stato pianificato affatto. Durante il mio secondo anno di università, la mia facoltà ha attivato uno scambio accademico con la Svezia. Così sono venuto in Europa, per la prima volta nella mia vita a diciannove anni. Quando guardo indietro a quel periodo in Scandinavia, mi rendo conto che è stato un momento molto importante nella mia vita. Ho soggiornato un anno in Svezia, e poi ho visitato la Danimarca. Lì sono rimasto affascinato dalla cultura, dalla filosofia e dalla società scandinava. In totale sono rimasto un anno in Svezia e tre anni e mezzo in Danimarca. Dopo la Danimarca, ho deciso di trasferirmi a Londra, dove ho lavorato per David Adjaye. A quel tempo David si stava spostando dalla progettazione di progetti abitativi a dei progetti più culturali. H imparato così tanto lavorando con lui. È stato in questo momento che ho incontrato i miei ex partner Dan Dorell e Lina Ghotmeh, che erano a Londra per un anno per lavorare a un progetto per Jean Nouvel. Era il 2006, e fondamentalmente, abbiamo fatto il concorso del Museo Nazionale Estone solo noi tre, lavorando di notte e durante i fine settimana, perché eravamo impiegati nel lavoro per altri architetti. 

Todoroki House in Valley, Tsuyoshi Tane. Photo Yuna Yagi

Osservando la tua architettura e dopo aver visitato il tuo ufficio, possiamo vedere che apprezzi lavorare con diversi riferimenti storici e cerchi in varie direzioni e campi del sapere cercando di portare alla luce Segni e memorie che si accumulano in un luogo. Leggendo il tuo manifesto sull’"Archeologia del futuro" deduciamo che per te un luogo non è solo fisico ma qualcosa che va al di là, una sorta di stratificazione di cose tangibili e intangibili che possiamo scavare e trovare. Potresti approfondire il tuo ragionamento? Questa idea è nata lentamente quando ho iniziato a organizzare il mio ufficio. Abbiamo iniziato con questa tecnica di ricerca di immagini cercando di “pensare in modo archeologico”. Come architetti, lavoriamo a immaginare nuove idee e progetti che alla fine diventano rapidamente superati e obsoleti già quando li inauguriamo. Mi sono sempre chiesto se l'architettura può essere più profonda della semplice ossessione di creare qualcosa di nuovo. Piuttosto che pensare al nuovo, miriamo a scavare nella memoria del luogo sito di progetto. Prima di iniziare qualsiasi progetto, il processo di pensiero al mio atelier mira a comprendere le memorie e a trovare alcuni messaggi forti che potrebbero essere utili oggi. Questa ricerca archeologica diventa un linguaggio-metodologia comune per tutti i membri del mio atelier: è il nostro linguaggio in un ambiente con gente che viene da dieci paesi differenti con differenti background. 

Furoshiki Paris, Tsuyoshi Tane. Photo Takuji Shimmura

Shigeru Ban, Sou Fujimoto e Kengo Kuma hanno aperto i loro studi a Parigi soltanto dopo essersi consolidati in Giappone. Il tuo caso è molto diverso in quanto hai iniziato qui da zero. Toyo Ito scrive che oggi i giovani architetti giapponesi non hanno accesso a progetti pubblici e che quindi sono costretti a concentrarsi principalmente sulla progettazione di case private per i quali per altro sono molto apprezzati. Per Ito questa condizione sta creando una certa frustrazione generazionale come se non vi fosse scelta e quasi obbligo a lavorare solo su piccoli progetti privati. Visto che stai avendo diverse grosse commissioni in Giappone, ma non ancora a Parigi, che tipo di differenze vedi tra essere un giovane architetto in Giappone e uno a Parigi? La mia situazione non è un buon esempio poiché il mio viaggio ha avuto varie deviazioni. Non ho seguito la carriera tipica che hanno molti architetti giapponesi che va dall'apprendimento presso un grande maestro o il frequentare una famosa università. Fondamentalmente sono andato da Tokyo in Hokkaido e dopo in Europa. Per quanto riguarda la situazione attuale con i giovani architetti in Giappone, un grosso rischio che corriamo oggi è diventare architetti di piccoli problemi. Il nostro ruolo è invece quello di guidare la società, la nostra generazione sta diventando sempre più debole e le persone non sanno come immaginare un grande futuro o grandi idee. Le imprese di costruzione hanno troppa forza rispetto agli architetti ai quali rimane poco potere di negoziazione a scapito della qualità architettonica. 

Installazione Light is Time di Tsuyoshi Tane. Photo Takuji Shimmura

Potremmo fare un'analogia fra te e Sou Fujimoto, considerato come un"ronin", ovvero un samurai senza maestro. Pensi che ci sia una figura importante nel tuo percorso? In realtà, ho lavorato per un breve periodo sia per Fujimoto che Sejima, ma non riesco a vederli come i miei maestri perche con loro ho fatto solo una breve esperienza, quindi forse potete definire anche me come un altro "ronin" (ride). Confrontando l'approccio teorico di molti architetti occidentali rispetto ai giapponesi, i primi tendono a legittimare le loro idee attraverso la continuità con scuole di pensiero o riferimenti esistenti. In Giappone leggiamo spesso che gli architetti sono più auto-referenziali, convalidano la propria posizione basandosi sulle proprie esperienze architettoniche. Nei manifesti architettonici occidentali c'è una consapevolezza più collettiva espressa da un "noi crediamo/pensiamo ...", in contrasto con le affermazionipiù individuali fatte dagli architetti giapponesi come "Credo/penso ..." Sono conscio di come funzioni il pensiero architettonico giapponese, ma allo stesso tempo ho imparato anche a conoscere quello europeo. Ho imparato da entrambi i campi. Utilizzando parole chiave e immagini puntiamo a ricercare e “pensare archeologicamente”, questo significa scavare in profondità nella storia e nei ricordi ma anche classificare le cose. Non ci riferiamo solo al passato dell'archeologia, ma riflettiamo anche sul futuro. Continuiamo a sperimentare e sfidare noi stessi tutto il tempo. Recentemente ho avuto un dialogo con Junya Ishigami durante la mostra che abbiamo fatto alla Toto Gallery MA. Ha sottolineato di uno specifico interesse per la “cultura materiale”. Lui ha notato nel mio lavoro una presenza forte di "texture" che caratterizzano i miei progetti. In effetti sto riconsiderando questa dimensione del mio lavoro che non avevo messo particolarmente in avanti, ma certamente il mio interesse è più sul luogo che sullo spazio, dal momento che il luogo ha sempre una trama intrinseca che ne trasmette il senso. Non è un caso che nel mio manifesto non parlo mai di spazio, perche il mio interesse è per la creazione di luoghi piuttosto che di spazi.