La questione della tecnica

L'unico tema condiviso da tutti i partecipanti alla recente conferenza "Urban Age Electric City" è stato il cambiamento: come gestirlo, con quali obiettivi e nell'interesse di chi sono stati i principali punti di discussione.

La questione della tecnica è il tema di una lezione di Martin Heidegger, tenuta per la prima volta nel 1953, in cui il filosofo afferma che la tecnica moderna trasforma l'umanità in un "fondo a disposizione" di se stessa, e cioè che la tecnica pone alla natura l'irragionevole domanda di fornire energia da estrarre e conservare in quanto tale. Sostiene Heidegger che occorre rispondere analizzando la tecnica allo scopo di prepararci al rapporto con essa, a pensarla e a immaginarla in rapporto alla città. Per Heidegger, mentre un mulino a vento crea energia in tempo reale, un bacino idroelettrico cerca di crearla e di immagazzinarla, trasformando così un fiume in una fonte di energia. Questa tecnica moderna cambia il modo in cui pensiamo la natura e il nostro prossimo, trasformandoci in risorse. La creazione e la conservazione dell'energia elettrica fanno quindi sembrare qualcosa di controllabile l'origine dei processi di produzione di questa energia (nel caso specifico il fiume Reno). Il potere salvifico della tecnica, perciò, risiede solo nella nostra capacità di ascolto, di riflessione e di testimonianza. I problemi della crisi ecologica ed economica, del sovraffollamento, dell'inquinamento, della rumorosità e dell'illuminazione ambientale sono tutti gestibili. Nasce di qui "Electric City".

La lezione di Heidegger ben si adatta ai problemi del convegno Electric Cities del 2012, nel quadro del ciclo "Urban Age promosso da LSE Cities e dalla Alfred Herrhausen Gesellschaft della Deutsche Bank: un ciclo iniziato nel 2005 che riguarda le componenti sociali e spaziali della città e il suo sviluppo sostenibile. In questo caso la struttura del convegno comprendeva brevi interventi degli invitati principali, seguiti da concise presentazioni e da una tavola rotonda con brevi introduzioni da parte di chi non era ancora intervenuto. La struttura ha favorito una grande varietà di punti di vista e la forte sintesi delle informazioni, con abbondanza di particolari relativi alle varie prospettive specialistiche dei tecnologi, degli accademici, degli analisti e dei politici, così come la formulazione di domande da parte dei delegati, nello sforzo comune di dar vita a idee nuove.

In apertura: immagine di Londra dalla serie The Electric City. Photo © Phil Sayer. Qui sopra: la conferenza "Urban Age Electric Cities" 2012, che si è tenuta a Londra il 6 e 7 dicembre scorsi. Photo Philippa Nicole Barr

Gli oratori del convegno hanno risposto alla tormentata questione di come si possa usare la tecnica per risolvere i problemi e migliorare la qualità della vita, e di come essa ci abbia variamente delusi, sulla falsariga di temi come l'ottimizzazione, l'affidabilità e la scala della tecnica nella città. Da una posizione di ottimismo Ricky Burdett e Philipp Rode hanno citato Cedric Price affermando che "la tecnica è la risposta. Ma qual è la domanda?". Ne deducono una specie di promessa o di speranza che potrebbe essere implicita nell'uso della tecnica per risolvere problemi sociali e urbanistici, purché controllata. Nella loro prospettiva pareva implicita un'oscillazione tra posizioni critiche e atteggiamenti incoraggianti. Nel suo intervento sulle "meraviglie della città intelligente" Richard Sennett ha sostenuto che il discorso sulla città come "città intelligente" è troppo ottimista, poiché spesso più intelligenti sono le reti più stupidi sono coloro che vi si collegano. D'altra parte le idee realizzate su scala minore sono apparse più efficaci, con risultati incoraggianti.

Alcuni interventi hanno sottolineato l'importanza del genius urbis: i processi sociali informali, casuali che diventano in modo economico fonte di innovazione e fondamento della vita sociale. La cosiddetta casualità è una conseguenza della complessità. John Urry ha affermato che l'innovazione è questione di sincronizzazione non specificamente programmata tra le realtà sociali, politiche ed economiche, non programmata ma non priva di coordinamento. Secondo Carlo Ratti le possibilità tecniche, comunicative e informative create dal web 2.0 forniscono l'ambiente adatto affinché l'articolato panorama costituito dai singoli cittadini e dalle imprese possa intervenire direttamente sulla formulazione delle politiche della sostenibilità e dell'ambiente locale.

Un momento di pausa durante la conferenza "Urban Age Electric Cities" 2012. Photo Philippa Nicole Barr

L'origine della fiducia sta nella trasparenza, ha sostenuto Saskia Sassen, e tutti i sistemi informatici dovrebbero diventare trasparenti. Dato che i nostri muri sono zeppi di software e di hardware, dovrebbero, insieme con gli altri sistemi intelligenti, essere visibili. Oggi la città intelligente e le soluzioni tecniche imposte in modo decontestualizzato portano con sé una forma di sfiducia. È un aspetto importante dei grandi problemi nazionali come il cambiamento climatico, che a loro volta non hanno trovato una soluzione adeguata. Antony Giddens ha lanciato un avvertimento, citando il fallimento dell'IPCC – il Gruppo intergovernativo di esperti sul Cambiamento climatico – perché la maggior parte delle straordinarie prospettive della tecnica ci offre soluzioni individuali ma apre contemporaneamente la strada a irreparabili danni collettivi. E quindi per realizzare soluzioni tecniche efficaci occorre ampliare i confini della fiducia: talo soluzioni funzioneranno solo nella misura in cui ci fideremo gli uni degli altri. Secondo Dan Hill è questa la ragione per cui ci occorrono strutture in grado di prendere decisioni adattive.

Un'immagine di Londra dalla serie The Electric City. Photo © Phil Sayer

Ovviamente a chi si debba credere può essere una questione poco chiara. Antony Giddens sostiene la necessità di maggior fiducia nella scienza, mentre il rappresentante della Cisco Wim Elfrink si è dichiarato favorevole alla costante fiducia nelle soluzioni tecniche. Ha affermato che i sistemi della Cisco permettono al lavoro di arrivare al lavoratore, per esempio nell'iniziativa Amsterdam Smart Work, frutto della collaborazione tra attori pubblici e privati, che rende obsoleti uffici e orari di lavoro in funzione di un'impostazione orientata ai risultati. Ovviamente per consentire questo genere di innovazione occorre un bel po' di fiducia nei propri dipendenti. L'LSE e il governo britannico sembrano d'accordo su questo tipo di collaborazione delocalizzata, e in occasione del convegno hanno annunciato il lancio di un programma da 50 milioni di sterline [circa 61 milioni di euro] per la realizzazione del Silicon Roundabout, un polo tecnologico che sarà il più grande spazio pubblico d'Europa destinato a liberi professionisti del progetto informatico e al sostegno di nuovi imprenditori del settore digitale sulla linea della mobilità in economia.

La conferenza "Urban Age Electric Cities" 2012, che si è tenuta a Londra il 6 e 7 dicembre scorsi. Photo Philippa Nicole Barr

Benché si sia riusciti molto bene a trattare questi problemi di scala, di fiducia e di ottimizzazione della tecnica, un paio di questioni potevano essere affrontate più correttamente. In un convegno sulle "Città elettriche" si sarebbe potuto discutere di più di come le città possano diventare generatrici di energia, oltre che del modo in cui la consumano e ne sono sempre più gestite, semplicemente citando la London Array Offshore Wind Farm. Judy Wajcman ha obiettato che la domanda proveniente dalla sfera del privato, dagli elettrodomestici alle varie forme di gestione dell'abitazione, è stata in gran parte assente dal discorso. Nonostante la varietà del panorama delle opinioni, è facile affermare che si è verificato un predominio di interventi maschili, che talvolta hanno costituito l'unica voce. Nonostante la predominante rappresentanza maschile nell'industria tecnologica, si tratta di una questione che dovrà essere affrontata in occasione del prossimo convegno di Urban Age, che si terrà a Rio de Janeiro nel 2013. Il problema di come controllare la tecnica per gestire o cambiare i flussi migratori tra le città è stato anch'esso per lo più assente dai programmi, nonostante il ruolo cruciale che la tecnologia della comunicazione digitale può rivestire nella rigenerazione delle città medio-piccole e nel mantenimento della scala delle grandi metropoli.

La conferenza "Urban Age Electric Cities" 2012, che si è tenuta a Londra il 6 e 7 dicembre scorsi. Photo Philippa Nicole Barr

L'unico tema condiviso da tutti i partecipanti al convegno, comunque, è stato il cambiamento. Come gestirlo, con quali obiettivi e nell'interesse di chi sono stati i principali punti di discussione. Se la tecnica moderna per Heidegger è rivelazione, questo convegno ha realizzato il suo scopo, nonché lo scopo della tecnica: la scoperta attraverso il mettersi in discussione. Il confronto in forma controllata di opinioni tanto differenti ha davvero stimolato a concepire soluzioni in grado di inglobare qualcosa di più del proprio programma individuale, favorendo le trasformazioni di portata limitata e i cambiamenti che producono innovazione. Come avrebbe detto Heidegger, vivere la tecnica moderna come una minaccia significa non credere nella capacità umana di ascoltare e discutere. Umanità che naturalmente costituisce di per sé una varietà di punti di vista, che deve impegnarci reciprocamente alla comprensione della tecnica e al suo uso.

Per saperne di più sul convegno Electric Cities 2012 della LSE.