Dalla Dom-ino alla Polykatoikia

Un gruppo di docenti e ricercatori del Berlage Institute di Rotterdam analizza il precursore dell'infill architecture, la Maison Dom-ino di Le Corbusier, e identifica nella polykatoikia, la tipica palazzina greca e una delle sue applicazioni derivate, una tipologia che può essere riformata criticamente. In una ricerca su Atene, ne ridefinisce poi il ruolo come generatore di spazi collettivi e condivisi.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 962, ottobre 2012

Negli ultimi anni, abbiamo assistito alla rinascita della retorica della "città spontanea"; in tempi di recessione economica, si fa sempre più spesso appello all'informale' come soluzione contro i mali della città neoliberista. Protagonista della città informale è la cosiddetta infill architecture, una forma di produzione edile, in cui la residenza è ridotta a una struttura flessibile, personalizzata dai suoi abitanti. Questa concezione dell'abitare risponde alla rapida crescita delle città, ma è anche promossa quale strumento per incoraggiare la partecipazione degli abitanti alla costruzione del proprio ambiente: in antitesi all'architettura iperprogettata, il modello infill viene sempre più riconosciuto come un mezzo per dare spazio alla creatività del singolo abitante. In realtà, la linea ideologica che divide questo sistema dalla condizione di molte baraccopoli, nelle quali il fai da te è una scelta obbligata piuttosto che un modello costruttivo originale, è ambigua e sottile. L'infill, infatti, può essere interpretato come una soluzione cinica, un'accettazione dello status quo, in cui capacità di adattamento e costruzione a basso costo sono sfruttate sul piano sociale e politico per gestire una popolazione povera e in costante crescita. Per rileggere e comprendere l'ambivalenza dell'infill bisogna, forse, partire dal suo precursore—la Maison Dom-ino di Le Corbusier—e percorrerne lo sviluppo fino a una delle sue applicazioni più radicali: la palazzina per appartamenti che costituisce l'ingrediente fondamentale delle città greche contemporanee e che è conosciuta con il nome di polykatoikia [1].

Maison Dom-ino
Progettata nel 1914 come sistema mirato all'edilizia spontanea, la Maison Dom-ino è diventata la forma costruttiva più diffusa nei Paesi in via di sviluppo: una struttura di cemento armato aperta a ogni tipo di suddivisione e, quindi, d'interpretazione spaziale. Nello sviluppare questo modello, Le Corbusier si era ispirato sia all'architettura tradizionale ottomana e ai suoi edifici su pilastri in legno[2], sia alla ripetitività delle case fiamminghe. Nel tentativo di avvicinare edilizia e architettura, Le Corbusier aveva guardato con attenzione a questi sistemi costruttivi vernacolari, reinterpretandoli all'interno della logica del tipico piano industriale e dei più aggiornati sviluppi nella costruzione in cemento. Le Corbusier sviluppò il suo prototipo immaginando una fase postbellica di ricostruzione, nella quale l'urgente necessità di alloggi avrebbe richiesto soluzioni nuove e più flessibili per costruire abitazioni, in particolare per le classi meno abbienti. In questo senso, la Maison Dom-ino rappresenta la migliore dimostrazione del motto dell'architetto francese: "Architettura o Rivoluzione". Infatti, in essa l'architettura non si traduce semplicemente nella necessità di offrire un mero riparo bensì, citando Michael Foucault, diventa un vero e proprio 'dispositivo', vale a dire un apparato che impiega e, in tal modo, 'controlla' il potenziale della manodopera non specializzata. In tal senso, l'apparente 'informalità' della Maison Dom-ino rappresenta il perfetto pendant abitativo della rigida organizzazione fordista-taylorista del lavoro, in base alla quale gli operai venivano sradicati dal loro ambiente natale e immessi come pura forza lavoro, priva di qualsivoglia competenza specifica, nell'automatismo della catena di montaggio. Tuttavia, grazie alla sua estrema genericità e adattabilità, la Maison Dom-ino si è dimostrata efficace anche dopo la fine dell'era industriale.
In apertura: Manolis Baboussis, Veduta della struttura di una polykatoikia in costruzione, 1987. Qui sopra: Vista prospettica del sistema Dom-ino, 1914. Tratto dal volume di Le Corbusier e Pierre Jeanneret, Œuvre Complète Volume 1, 1910–1929, Les Editions d’Architecture Artemis, Zurigo 1964
In apertura: Manolis Baboussis, Veduta della struttura di una polykatoikia in costruzione, 1987. Qui sopra: Vista prospettica del sistema Dom-ino, 1914. Tratto dal volume di Le Corbusier e Pierre Jeanneret, Œuvre Complète Volume 1, 1910–1929, Les Editions d’Architecture Artemis, Zurigo 1964
In effetti, nel sistema Dom-ino la flessibilità è certamente una qualità positiva, ma, al tempo stesso, rappresenta anche uno strumento fondamentale d'ingegneria sociale, mirato allo sviluppo economico d'insediamenti apparentemente spontanei—dalla favela brasiliana al gecekondu turco. Infatti, pur sfruttando la manodopera 'informale' a basso costo, il sistema Dom-ino è basato su materiali prodotti industrialmente, che portano profitto soprattutto alle grandi aziende del settore. In secondo luogo, con la scusa di "offrire una casa a tutti", questo sistema tende a gonfiare artificialmente il settore edile e a favorire la creazione di una vasta rete di piccole imprese da esso dipendenti. In tal modo, lo scontento sociale e la possibilità di conflitto politico sono prevenuti semplicemente favorendo una nuova classe di proprietari e micro-imprenditori che, per quanto non economicamente privilegiati, rimangono tuttavia scettici verso ogni forma di condivisione e richiesta di maggiore equità. Contro le speranze di Le Corbusier, il sistema Dom-ino ha prodotto una soggettività incapace di sforzi condivisi e lontana da ogni tentativo di costruire ambienti urbani leggibili, alimentando piuttosto il mito dell'imprenditoria individuale. La radicalità di questa condizione è spesso poco evidente, dato che questa micro-imprenditorialità si sviluppa in ambienti molto poveri, ma diventa, al contrario, estremamente visibile nei casi in cui questo scenario viene a svilupparsi in una condizione dominata dalla classe media. Una delle migliori illustrazioni di questo fenomeno è probabilmente la polykatoikia greca—una forma di architettura, il cui impatto ha segnato in modo definitivo il panorama della Grecia del Secondo dopoguerra.
Dimitris Philippidis, un insediamento informale in Atene, 1966. Tratto da: Dimitris Philippidis, “Town Planning in Greece”, in <i>20th Century Architecture in Greece</i>, Prestel Publishers, 1999. Photo courtesy Dimitris Philippidis Archive
Dimitris Philippidis, un insediamento informale in Atene, 1966. Tratto da: Dimitris Philippidis, “Town Planning in Greece”, in 20th Century Architecture in Greece, Prestel Publishers, 1999. Photo courtesy Dimitris Philippidis Archive
La polykatoikia
La polykatoikia fu concepita originariamente negli anni Trenta come edificio a più piani per appartamenti, destinato alla borghesia ateniese[3]. La proliferazione di questa tipologia fu sostenuta dallo Stato tramite la promulgazione di un regolamento edilizio generale e di una nuova legge sulla proprietà[4]. Questa legge consentiva ai proprietari di un terreno edificabile di scambiarlo, senza alcuna imposizione fiscale, con una certa quantità di spazio abitabile costruito—una decisione che toglieva allo Stato ogni possibilità di controllo sul settore edile che venne, in tal modo, deregolarizzato a tutti gli effetti. Il modello della polykatoikia mirava dunque a sviluppare e a rendere produttive le competenze tecniche del comparto edile locale, creando così un sistema coerente ma flessibile di tecniche costruttive, materiali, dettagli e schemi strutturali. Come nella Maison Dom-ino, questo sistema combinava soluzioni industriali avanzate con lo sfruttamento di manodopera non qualificata. Per mezzo della polykatoikia, il progetto della città veniva implementato non più attraverso una pianificazione generale decisa dall'alto, ma per mezzo di un quadro legislativo astratto, reso effettivo tramite la pratica della costruzione informale. Questa logica costruttiva diventò particolarmente importante e diffusa soprattutto con la ricostruzione postbellica di Atene. Al termine della Seconda guerra mondiale, la Grecia precipitò in una sanguinosa guerra civile, terminata con la sconfitta delle forze comuniste. Il nuovo governo 'democratico' mise a punto un piano per prevenire potenziali rivolte della classe operaia; parte di questa strategia si basava sulla decisione di evitare grandi concentrazioni industriali, incoraggiando piuttosto un'economia legata alla produzione edilizia su piccola scala, allo scopo di frammentare, e perciò controllare, la popolazione. Sostenendo il sistema della polykatoikia, il regime poté promuovere la ricostruzione del Paese e la conseguente ripresa economica con un intervento minimo da parte dello Stato[5]. In tal modo, il crescente bisogno di abitazioni era soddisfatto senza alcun programma di aiuti pubblici[6], mentre per una larga parte della popolazione si apriva la possibilità di diventare proprietari privati[7]. La forma generica della polykatoikia è stata capace di assorbire tutte le classi sociali e ha permesso qualsiasi tipo di arrangiamento spaziale, diventando così una tipologia adatta per ogni livello di densità urbana.
Con questo progetto, vorremmo rivelare la natura generica della polykatoikia e, al tempo stesso, leggere l’architettura della città nella sua interezza
Dimitris Philippidis, <i>Veduta di Atene</i>, 2000. Tratta da: Dimitris Philippidis, <i>Modern Architecture in Greece</i>, Melissa, Atene 2001. Courtesy of Dimitris Philippidis Archive
Dimitris Philippidis, Veduta di Atene, 2000. Tratta da: Dimitris Philippidis, Modern Architecture in Greece, Melissa, Atene 2001. Courtesy of Dimitris Philippidis Archive
Dagli anni Cinquanta fino a tempi molto recenti, il settore edile ha rappresentato la più importante risorsa dell'economia greca. In questo modo, la polykatoikia ha trasformato la città stessa in una gigantesca fabbrica: "La città come fabbrica di se stessa". Lo sviluppo di questo processo costruttivo ha prodotto un soggetto medio-borghese, simultaneamente proprietario, produttore e consumatore di spazio: poco prima della crisi economica, in Grecia l'84,6% della popolazione possedeva la propria abitazione, una percentuale superata in Europa, ironicamente, solo dalla Spagna[8]. A dispetto dell'ambiguità del progetto politico che l'ha generata, la polykatoikia è stata spesso celebrata quale esperimento riuscito di edilizia informale. Tuttavia, la sua diffusione ha prodotto una soggettività basata su un profondo individualismo, in cui la famiglia stessa era il fulcro della speculazione economica; è proprio questa soggettività a essere oggi in crisi, con l'avvento della recessione che ha investito la Grecia dal 2008. Se con l'inizio della Guerra fredda il Paese era stato obbligato a sviluppare la sua agenda politica sulla base di una forma estrema di laissez-faire che promuoveva deliberatamente la frammentazione sociale della classe operaia, nell'attuale crisi economica questa frammentazione si è dimostrata estremamente problematica, dato che in tempi di recessione la proprietà immobiliare perde valore, rivelandosi un investimento pericoloso. Al contempo, l'architettura stessa della polykatoikia, con la sua scala ridotta e la mancanza di spazi collettivi, ha sviluppato un ethos urbano completamente bloccato all'interno del suo estremo individualismo. Così, se la politica della Grecia postbellica è stata sostenuta dall'architettura di un singolo archetipo, è precisamente alterando tale archetipo che pare possibile promuovere una riforma della città su vasta scala, pur senza ricorrere a un utopico piano generale. Una premessa importante di questa riforma è mostrare come, nonostante la frammentazione urbana, la polykatoikia come "linguaggio architettonico" renda manifesto il carattere di sistema costruttivo comune—e perciò profondamente collettivo—dell'architettura. Un possibile progetto di riforma della polykatoikia dovrebbe guardare oltre la frammentazione provocata da questa tipologia, e cercare nuove opportunità per creare spazi collettivi e luoghi di condivisione.
Una mappa analogica di Atene
Una mappa analogica di Atene
Un progetto per Atene
Il lavoro su Atene, che abbiamo svolto con un gruppo di ricercatori del Berlage Institute, è stato profondamente influenzato dall'urgenza sociale di nuove prospettive creata dalla crisi economica e urbana che ha colpito la Grecia dal 2008. Il progetto parte quindi da una valutazione critica del protocollo della polykatoikia e della soggettività che ha prodotto, dal momento che sia la logica economica sia il funzionamento sociale della città della polykatoikia hanno mostrato i propri limiti. Con questa proposta vorremmo anzitutto mettere a tema la natura generica della polykatoikia e, al tempo stesso, cercare di leggere l'architettura della città nella sua interezza, andando oltre la scala della singola abitazione. Non proponiamo un piano generale, ma un catalogo di azioni architettoniche che ripensano il frammentato tessuto delle singole residenze secondo forme urbane coerenti e precisamente definite. Queste forme sono la corte, l'isolato, la via e lo strato più collettivo della città: il piano della strada. La flessibilità della polykatoikia viene così riveduta e corretta secondo uno scenario opposto a quello in cui si è sviluppata. Se la Maison Dom-ino incoraggia l'intraprendenza del singolo proprietario, spingendolo a comporre il proprio spazio, e a organizzare e manipolare la sua parte dello scheletro della palazzina, le soluzioni che proponiamo implicano forme diverse di volontà collettiva e di collaborazione. La corte, l'isolato, la via e il piano strada diventano figure che possono essere recuperate dal tessuto della polykatoikia; la nostra proposta radicalizza tali figure in 'archetipi' architettonici distinti. Paradossalmente, ripetizione e discontinuità sono i due tratti peculiari dell'Atene contemporanea: su grande scala, l'urbanizzazione della capitale greca è ripetitiva e omogenea—manca di senso gerarchico, di spazi pubblici e di un'anatomia chiara—mentre, se guardiamo alla scala dell'architettura, ogni isolato risulta costruito in maniera caotica e frammentaria. Gli archetipi che proponiamo fanno parte della grammatica di ogni città mediterranea, ma risultano illeggibili nell'Atene di oggi. Le corti sono tagliate da recinzioni, poco curate e mai usate, semplicemente perché suddivise tra troppi proprietari; gli isolati della città sono costruiti senza alcuna logica, perché le proprietà sono eccessivamente frammentate, mentre le vie e i piani strada sono compromessi da migliaia di tentativi discontinui e mancati di realizzare delle stoa, che finiscono per diventare sgradevoli insaccature piuttosto che spazi pubblici.
A sinistra: Chiostro. Costituendosi in una comunità di isolato, gli abitanti possono trasformare insieme lo spazio vuoto al suo interno, facendo così emergere la possibilità di una nuova e ampia corte. Quest’ultima può diventare un ‘chiostro’ capace di ospitare un ampliamento delle proprietà esistenti sotto forma di un terrazzo comune che incornicia lo spazio collettivo (Ji Hyun Woo, Berlage Institute, 2011). A destra: Piattaforma. Con la demolizione delle pareti non portanti che dividono gli spazi al pianterreno—spazi che non sono quasi mai usati, se non nelle zone commerciali—il piano strada diventa una piattaforma privata e tuttavia accessibile a tutti. La piattaforma mette così a nudo la genericità della polykatoikia: uno spazio continuo punteggiato da strutture portanti, pronto a essere usato per nuove attività (Ivan K. Nasution, Berlage Institute, 2011)
A sinistra: Chiostro. Costituendosi in una comunità di isolato, gli abitanti possono trasformare insieme lo spazio vuoto al suo interno, facendo così emergere la possibilità di una nuova e ampia corte. Quest’ultima può diventare un ‘chiostro’ capace di ospitare un ampliamento delle proprietà esistenti sotto forma di un terrazzo comune che incornicia lo spazio collettivo (Ji Hyun Woo, Berlage Institute, 2011). A destra: Piattaforma. Con la demolizione delle pareti non portanti che dividono gli spazi al pianterreno—spazi che non sono quasi mai usati, se non nelle zone commerciali—il piano strada diventa una piattaforma privata e tuttavia accessibile a tutti. La piattaforma mette così a nudo la genericità della polykatoikia: uno spazio continuo punteggiato da strutture portanti, pronto a essere usato per nuove attività (Ivan K. Nasution, Berlage Institute, 2011)
I nostri archetipi suggeriscono di riconsiderare il potenziale di queste strutture per tornare a costruire spazi condivisibili: come, per esempio, gli archetipi chiostro e piattaforma. Questi ultimi si basano sulla volontà di 'abbattere' le separazioni, allo scopo di usare quegli interstizi che possono diventare spazi architettonici del 'comune' inteso sia in senso fisico sia in quello rappresentativo; altre proposte si concentrano sul bisogno di 'inserire' nuove disposizioni spaziali, dato che ad Atene lo spazio per il lavoro, la produzione e l'interazione è spesso costretto in appartamenti borghesi inadatti ai bisogni di una società in trasformazione (vedi gli archetipi trabeazione, tetto e stoa). Oltre alla manipolazione di forme esistenti per mezzo della demolizione e dell'inserimento puntuale, la grammatica che proponiamo suggerisce anche archetipi che rimettono in discussione la polykatoikia come modello tettonico. La stessa struttura della Dom-ino può essere ripensata come una cornice in cui possano svolgersi differenti attività sociali e produttive (vedi teatro, muro e in-transito). Ma tutti questi archetipi—chiostro, piattaforma, stoa, tetto, trabeazione, teatro, in-transito e muro—non sono ovviamente intesi quali progetti finiti o come parti di un piano su larga scala: si tratta semplicemente di esempi[9] di come sia possibile agire sul tessuto esistente. Tali modelli non sono normativi: il loro principio può essere applicato con scale, forme e caratteri differenti in relazione al contesto. Sono azioni paradigmatiche, capaci di determinare differenti reazioni ed evolvere in modi imprevisti. Allo stesso tempo, non sono principi universali, diagrammatici: sono presentati, invece, come esempi di un'architettura concreta, perché gli esempi funzionano 'agendo': mostrando un effetto, piuttosto che prescrivendo regole astratte. In questo senso, l'idea di ricostruire l'anatomia di una città per mezzo di modelli si contrappone in modo radicale alla logica del piano urbanistico. Una proliferazione di tali applicazioni cambierebbe Atene solo per mezzo dell'architettura, aggiungendo giardini, gallerie, passeggiate e attici: creando spazio.
A sinistra: Trabeazione. Gli isolati urbani possono essere ridefiniti tramite l’inserimento di un piano supplementare sopra i tetti degli edifici esistenti. La nuova trabeazione continua ospita ampi spazi di lavoro, in contrasto con la frammentazione dello spazio costruito, tipico oggi di Atene. Alla scala urbana, la trabeazione offre, al tempo stesso, all’isolato una nuova leggibilità come parte distinta della città (Davide Sacconi, Berlage Institute, 2011). A destra: Tetto. Una struttura lineare aggiunta, che si libra sopra le facciate frammentate della <i>polykatoikia</i>, conferisce definizione al profilo stradale, offrendo agli abitanti degli edifici esistenti aree da utilizzare per la produzione e per l’insegnamento. Il nuovo tetto mette in risalto la strada quale spazio architettonico e consolida la continuità della struttura urbana esistente (Lingxiao Zhang, Berlage Institute, 2011)
A sinistra: Trabeazione. Gli isolati urbani possono essere ridefiniti tramite l’inserimento di un piano supplementare sopra i tetti degli edifici esistenti. La nuova trabeazione continua ospita ampi spazi di lavoro, in contrasto con la frammentazione dello spazio costruito, tipico oggi di Atene. Alla scala urbana, la trabeazione offre, al tempo stesso, all’isolato una nuova leggibilità come parte distinta della città (Davide Sacconi, Berlage Institute, 2011). A destra: Tetto. Una struttura lineare aggiunta, che si libra sopra le facciate frammentate della polykatoikia, conferisce definizione al profilo stradale, offrendo agli abitanti degli edifici esistenti aree da utilizzare per la produzione e per l’insegnamento. Il nuovo tetto mette in risalto la strada quale spazio architettonico e consolida la continuità della struttura urbana esistente (Lingxiao Zhang, Berlage Institute, 2011)
Questa nuova città non sarebbe un'altra Atene. Sarebbe Atene quale essa è veramente, nascosta sotto il caos di uno sviluppo apparentemente 'informale' che, in realtà, rappresenta uno dei progetti biopolitici più violenti del secolo passato. Le differenze superficiali, che offrivano alla nascente borghesia greca l'illusione di scegliere il proprio originale stile di vita, hanno creato, sul lungo percorso, un ambiente urbano marcato dall'estrema monotonia. Allora, la speranza di questo progetto è che, attraverso la condivisione—piuttosto che la frammentazione—ridiventi possibile pensare una reale varietà spaziale. E che, forse, esponendo lo scheletro della polykatoikia nella sua genericità invece di celebrare la falsa originalità dei suoi infill, possa in futuro emergere una città più abitabile e più onesta. Pier Vittorio Aureli, Maria S. Giudici, Platon Issaias (@cityasaproject) Pier Vittorio Aureli e Maria S. Giudici insegnano presso l'Architectural Association di Londra; Platon Issaias è PhD candidate presso la Delft University of Technology
A sinistra: Stoa. Una <i>stoa</i> continua viene aggiunta di fronte alle facciate attuali, riducendo la carreggiata per offrire un nuovo portico pubblico. La stoa, strutturalmente autonoma dalle case adiacenti, consente anche di trasformare in spazi produttivi semiprivati i portici esistenti, ora discontinui e inutilizzati (Roberto Soundy, Berlage Institute, 2011). A destra: In transito. Gli spazi logistici proliferano al pianterreno, rendendo le vie di comunicazione completamente invivibili. In-transito propone di raggruppare tali spazi e combinarli con soluzioni abitative temporanee per lavoratori e visitatori. Questa infrastruttura è concepita come uno schermo che mette al riparo dal traffico la parte residenziale dei quartieri, e offre degli sfondi architettonici su grande scala alle grandi arterie di comunicazione suburbane (Juan Carlos Aristizabal, Berlage Institute, 2011)
A sinistra: Stoa. Una stoa continua viene aggiunta di fronte alle facciate attuali, riducendo la carreggiata per offrire un nuovo portico pubblico. La stoa, strutturalmente autonoma dalle case adiacenti, consente anche di trasformare in spazi produttivi semiprivati i portici esistenti, ora discontinui e inutilizzati (Roberto Soundy, Berlage Institute, 2011). A destra: In transito. Gli spazi logistici proliferano al pianterreno, rendendo le vie di comunicazione completamente invivibili. In-transito propone di raggruppare tali spazi e combinarli con soluzioni abitative temporanee per lavoratori e visitatori. Questa infrastruttura è concepita come uno schermo che mette al riparo dal traffico la parte residenziale dei quartieri, e offre degli sfondi architettonici su grande scala alle grandi arterie di comunicazione suburbane (Juan Carlos Aristizabal, Berlage Institute, 2011)
Note
1. Poly-katoikia è una parola greca composta, formata dai termini poly, tradotto come multi, e katoikia, abitazione. Indica una costruzione per appartamenti a più piani, e ha finito per diventare il termine con cui si indica qualunque esempio di edilizia residenziale, a eccezione delle case unifamiliari suburbane
2. Vedi: Adolf Max Vogt, Le Corbusier, The Noble Savage, MIT Press, Cambridge 2000
3. Per un'approfondita analisi della nascita e dell'evoluzione della tipologia della polykatoikia negli anni Venti e Trenta, vedi Dimitris Emmanuel, The Growth of Speculative Building in Greece: Modes of Housing Production and Socioeconomic Changes, tesi di dottorato, London School of Economics and Political Science, Londra 1981
4. Vedi "Il Regolamento Edilizio Generale dello Stato" (3 aprile 1929) e la legge 3741/1929 "Sulle Divisioni Orizzontali della Proprietà e altri provvedimenti"
5. Sulle particolarità di questo modello economico (in greco): Panos Kazakos, Tra Economia di Stato e di Mercato e Politica Economica in Grecia, 1944-2000, Patakis, Atene 2009
6. Dimitris Emmanuel, Housing Public Policies in Greece: The Scale of an Absence, Centro Nazionale per le Ricerche Sociali, Atene 2006
7. Questo particolare processo e le implicazioni politiche di questo progetto economico sono stati discussi in modo approfondito e descritti in un testo fondamentale del 1951: il rapporto "Sui Problemi Economici della Grecia" dell'economista greco Kyriakos Varvaressos. Prevedeva e analizzava le particolarità di questa importante riforma. Recentemente pubblicato (in greco): Varvaressos Kyriakos, Rapporto sui Problemi Economici della Grecia, Savalas, Atene 2002
8. N. X. Rousanglou (in greco), La percentuale dell'84.6% di abitazioni in proprietà in Grecia, Kathimerini, 04/01.2006, dati dal Rapporto Generale sulle Attività dell'Unione Europea, 2005, Commissione Europea, Bruxelles, Lussemburgo 2006
9. Per la nozione di esempio ci riferiamo a Paolo Virno, Virtuosismo e rivoluzione, in Mondanità, Manifesto Libri, Roma 1994
A sinistra: Teatro. Trasformando la circolazione verticale in una <i>promenade</i>, lo scheletro diventa una scena teatrale per la vita di ogni giorno e uno spazio pubblico coperto a diposizione degli abitanti del quartiere. Questo archetipo mette a nudo lo scheletro della polykatoikia, abolendo tutte le strutture non portanti. In questo modo, la palazzina torna a essere una Maison Dom-ino e, come tale, rifiuta l’uso del muro per prediligere una sequenza continua e aperta di spazi (Hyun Soo Kim, Berlage Institute, 2011). A destra: Muro. Questo archetipo guarda alle qualità spaziali che un’architettura di muri, l’opposto della polykatoikia, è in grado di offrire: la possibilità di definire i confini, distinguere interno e esterno, e creare intimità. Il muro è un’alternativa alla polykatoikia: una lastra opaca in direzione della strada, che contiene servizi e sostiene ampi appartamenti a balcone affacciati sulla corte interna. Mentre la parete di servizio può essere fissa, offrendo continuità verso l’esterno, i balconi possono essere occupati in modo flessibile, riutilizzando così la logica della suddivisione della Maison Dom-ino (Yuichi Watanabe, Berlage Institute, 2011)
A sinistra: Teatro. Trasformando la circolazione verticale in una promenade, lo scheletro diventa una scena teatrale per la vita di ogni giorno e uno spazio pubblico coperto a diposizione degli abitanti del quartiere. Questo archetipo mette a nudo lo scheletro della polykatoikia, abolendo tutte le strutture non portanti. In questo modo, la palazzina torna a essere una Maison Dom-ino e, come tale, rifiuta l’uso del muro per prediligere una sequenza continua e aperta di spazi (Hyun Soo Kim, Berlage Institute, 2011). A destra: Muro. Questo archetipo guarda alle qualità spaziali che un’architettura di muri, l’opposto della polykatoikia, è in grado di offrire: la possibilità di definire i confini, distinguere interno e esterno, e creare intimità. Il muro è un’alternativa alla polykatoikia: una lastra opaca in direzione della strada, che contiene servizi e sostiene ampi appartamenti a balcone affacciati sulla corte interna. Mentre la parete di servizio può essere fissa, offrendo continuità verso l’esterno, i balconi possono essere occupati in modo flessibile, riutilizzando così la logica della suddivisione della Maison Dom-ino (Yuichi Watanabe, Berlage Institute, 2011)

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