I primi contatti con la comunità benedettina ungherese risalgono a una lettera ricevuta da Pawson nell'estate del 2006. Nella lettera, padre Asztrik descriveva la visita compiuta con un confratello all'abbazia cistercense di Nostra Signora di Novy Dvurm, nelle campagne boeme, progetto al quale Pawson stava lavorando da sette anni: "Lo scopo del nostro viaggio era vedere con i nostri occhi il monastero, la costruzione del quale avevamo seguito a distanza. E non siamo rimasti delusi. Abbiamo subito capito che ha molto in comune con la nostra chiesa del XIII secolo, costruita in stile cistercense da architetti italiani e francesi. Al ritorno, grande fu la nostra gioia perché avevamo trovato un architetto in grado di interpretare sia l'antico linguaggio degli spazi medievali sia la richiesta che sorge dalla preghiera viva di una comunità monastica".
Al tempo di questa lettera, i monaci avevano già compiuto una profonda riflessione sulle priorità della loro chiesa, partendo dall'analisi delle tre più importanti fasi della sua costruzione e trasformazione. Il nucleo iniziale della basilica venne costruito all'inizio del XIII secolo per una comunità relativamente ristretta. In questo periodo, l'edificio ospitava solo la messa e gli otto uffici divini che scandiscono la giornata dei monaci. Questi ultimi identificavano la forza dell'architettura medievale nel suo "uso dei simboli più che della didattica, il che le consentiva di essere universalmente comprensibile, costituendone, in un certo qual modo, la sua modernità".
Secondo la comunità monastica, il vasto programma di restauri, intrapreso negli anni Sessanta dell'Ottocento da Ferenc Storno, aveva invece frammentato questo linguaggio architettonico olistico e simbolico, sostituendolo con "l'allegoria, la didattica e lo storicismo, ai quali lo spazio medievale fornisce un eccellente sfondo romantico". Nel corso del XX secolo, la terza fase di trasformazione, realizzata sull'onda delle riforme del Concilio Vaticano II, aveva concentrato l'azione liturgica in una ridotta area al centro della chiesa, spogliando il santuario e la cripta degli obiettivi liturgici. Scopo preminente dell'intervento del XXI secolo doveva essere il recupero di ciò che i monaci identificavano come perduto, in termini di semplicità visiva, di globalità simbolica e di coerenza funzionale; in un processo di calibratura dei rapporti tra la congregazione, l'altare e il celebrante; e il recupero della luminosità della sezione ascendente e della pianta assiale della chiesa, simbolo dell'ascesa dell'essere umano verso Dio.
In termini funzionali, il planum costituisce la scena centrale delle attività che si svolgono nel corpo principale della chiesa: lo spazio dove si celebrano la liturgia e il cerimoniale, tra cui la professione solenne e i funerali. In questo punto mancava lo spazio necessario. La rimozione del pulpito, di dimensioni eccessive e funzionalmente obsoleto, costruito quando la chiesa veniva ancora usata come cattedrale, ha liberato in pianta altro spazio. Un altro alleggerimento spaziale è stato ottenuto aumentando l'inclinazione della scalinata che va da est a ovest, in coerenza con la precedente scala medievale.
Le azioni della vestizione, del momento della statio (un tempo di pausa) e della processione dei monaci erano tutte compromesse dalla sistemazione preesistente. Pawson ha lasciato sostanzialmente intatta la sacrestia barocca, spostando la statio dal corridoio della navata settentrionale alla sacrestia inferiore, dove la comunità può prepararsi alla liturgia in condizioni di indisturbata tranquillità. Una nuova apertura, dotata di scale, collega la sacrestia inferiore all'area della vestizione (già parte del complesso della biblioteca), mentre un nuovo ingresso permette alla comunità di passare direttamente dalla sacrestia inferiore alla chiesa, tramite una sequenza di scalini.
Il rosone di Storno rappresentava in qualche modo un'anomalia teologica, poiché collocava la figura di san Martino sopra quelle della Trinità. I suoi vetri scuri, inoltre, aggravavano la scarsa penetrazione luminosa. Il progetto di Pawson, invece, si rifà a precedenti antichi nell'uso della luce bianca nell'architettura monastica, tipicamente tramite vetro trasparente o alabastro. A Pannonhalma, gli elementi della finestra sono stati ritagliati da sottili lastre di onice laminata su vetro, in cui lo strato di pietra si assottiglia al centro per ottenere una maggiore intensità luminosa. Al posto delle consuete legature di piombo o di pietra, le sezioni di onice sono divise da strette separazioni di vetro trasparente inciso, in modo che i particolari del progetto si articolino in linee luminose.
Il nuovo rosone della basilica di Pannonhalma diventa il centro logico della trascendenza, in una narrazione teologica scandita dall'onice
Alison Morris
Progetto: John Pawson
Design team: Stefan Dold Anna Schulenburg
Lighting design: Speirs and Major Associates, Mark Major, Philip Rose
Progetto esecutivo: 3h architecture
Zsolt Gunther, Katalin Csillag
Orsolya Pataj, Tamás Tavaszi
Progetto strutturale: András Vándor, Emese Olosz
Progetto degli impianti: ÉGTI 2003, Imre Benko
Progetto dell'impianto elettrico: OHM-PLAN, György Sleiner
Consulente per l'illuminazione: Be light Kft., Zoltán Morvai,
Gergely Papp, Péter Farkas
Consulente per l'acustica: aQrate Kft., Andor Tamás Fürjes
Superficie costruita: 650 mq
Fase di progettazione e costruzione: 2006–2012